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Quando amavamo Hemingway - Naomi Wood - copertina

Descrizione



Bestseller da oltre 60.000 copie in Inghilterra. Presto una miniserie con Jude Law e Ben Jackson nel ruolo di produttori esecutivi.

«Una storia coinvolgente e ricca d’atmosfera, meravigliosamente scritta: non sono riuscita a staccarmene nemmeno un istante.» Jojo Moyes, autrice di Io prima di te

«Un romanzo appassionato pieno di intrighi, tradimenti e momenti di struggente intimità.» Marie Claire

«Incalzante, godibilissimo e abilmente congegnato.» The Boston Globe

«Semplicemente sublime.»
The Bookseller

La prima è Hadley, la moglie dei giorni "poveri e felici" che precedono la fama e il successo. Hadley nel minuscolo appartamento a Parigi - due sedie soltanto, uova sode per pranzo e un freddo da battere i denti; la stessa che alla Gare de Lyon, in un momento di distrazione, perde irreparabilmente la valigetta contenente i manoscritti del marito. Poi c'è Pauline, per tutti Fife, dal fisico acerbo e perfetto, ricchissima ed elegante, inevitabile fin dall'istante in cui gli appare avvolta in un soprabito di cincillà. Dopo viene Martha, reporter leggendaria, compagna coraggiosa nel cuore della Guerra Civile Spagnola. E infine Mary, l'ultima - sposata a Cuba e abbandonata nell'Idaho in modo persino più crudele e definitivo delle altre. Hadley, Fife, Martha e Mary: sono le "Signore Hemingway" cui dà voce questo romanzo. Quattro mogli, quattro donne tra le tante amate e tradite dallo scrittore più famoso e tormentato della sua generazione. Tra la Parigi degli Anni Venti e Key West, tra Cuba e l'America della Guerra Fredda, le quattro Mrs. Hemingway si passano il testimone per raccontare una storia vera densa di passioni e tradimenti, di intrighi, ambizioni e gelosie. Perché dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna. E qualche volta persino più di una.
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Dettagli

2016
25 ottobre 2016
319 p., Rilegato
9788851141134
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Indice


Un brano dell'intervista di Naomi Wood sul Venerdì di Repubblica

Perché Hemingway si ostinava a sposarsi per poi divorziare?

«Perché era attratto dal matrimonio nella sua fase più intensa: l'inizio. Poi i riti quotidiani della domesticità gli risultavano immancabilmente noiosi. La stessa fame di avventura che lo spingeva a esplorare il mondo a fondo spiega il perché non sia mai riuscito a rimanere a lungo sposato con la stessa donna. Era un inquieto».

Parigi, Key West, L'Avana, Idaho. A ogni moglie città nuove. Un modo per buttarsi il passato alle spalle?
«Sì, desiderava ricominciare da capo a ogni matrimonio. Ma ci sono anche ragioni più concrete. Parigi negli anni Venti era un luogo difficile in cui vivere, perché molti degli amici di Ernest erano anche amici di Hadley. Così come rimanere a Key West con Pauline Pfeiffer e Martha Gellhorn nei Trenta sarebbe stato claustrofobico. Mary Welsh, in controtendenza, decise di restare nella casa che Martha aveva scelto Cuba».

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Del grande Hemingway conosciamo le opere e i capolavori, ma la sua vita privata? Se siete curiosi, questo libro fa per voi. Spulcia nella vita di Hemingway attraverso quattro donne e quattro città. le quattro donne sono state tutte sue mogli ed è molto interessante "ascoltarle". Molto consigliato.

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Voce della critica

Mansuete, forti, generose, indipendenti, gelose, ossessive, traboccanti di personalità, eppure così fedeli, sottomesse, disperatamente innamorate di Ernest Hemingway. Hadley Richardson, Pauline Pfeiffer, Martha Gellhorn e Mary Welsh, le quattro mogli del celebre premio Nobel, hanno accompagnato dalla giovinezza alla morte una delle figure più geniali e conturbanti del Novecento, fondamentali per l’equilibrio – purtroppo instabile – dello scrittore americano, ma continuamente adombrate dal suo successo.


È Naomi Wood a dare loro voce, in questo brillante romanzo che si fa leggere con la voracità dei pettegolezzi sulle riviste patinate – l’attrattiva della storia a tre, una costante delle relazioni di Hemingway – e il piacere scaturito da una narrazione elegante e fluida, anche se spesso paratattica. I dettagli di cui il libro è costellato si focalizzano su elementi velati di sensualità: il trucco, la bocca, la sigaretta, particolari che manifestano il fascino umbratile di queste donne, ognuna espressione di un Novecento che si snoda tra gli anni Venti e Sessanta, sullo sfondo di Antibes, Key West, L’Avana, Ketchum.

«Divertiti. Non tutte possono farsi chiamare Signora Hemingway». Da queste parole, che Martha rivolge a Mary, ricaviamo una delle chiavi del rapporto che lega Hemingway alle sue consorti: il prestigio di essere la Signora Hemingway (il riflesso di un uomo affascinante, di un talento letterario unico) lusinga tutte le donne che gli si accostano. Nonostante il personaggio che emerge sia tutt’altro che esemplare – Hemingway sembra un uomo votato principalmente al culto di se stesso, egocentrico, fragile e violento allo stesso tempo – il mito che irraggia conquista anche le più tenaci, alcune delle quali – Mary Welsh – rinunceranno alla loro carriera di reporter per assecondare il marito.

È comunque un romanzo di donne. Neanche Ernest Hemingway riesce ad accaparrarsi tutto lo spazio che forse pretenderebbe: sono comunque più forti e il loro amore, a volte cieco, a volte rancoroso, a volte rassegnato, connota il romanzo in modo irreparabile. È attraverso esso che vivono, si muovono, respirano. Non, quindi, attraverso Ernest Hemingway, ma grazie a un sentimento che le definisce come individui. Questo, sorprendentemente, non rende “Quando amavamo Hemingway” un romanzo d’amore, ma piuttosto una storia d’identità, di ricerca, di devozione.


Forse sono proprio loro, le mogli, ad aver utilizzato Hemingway per soddisfare il proprio ego.

Recensione di Federica Urso

 

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La recensione di IBS

Mansuete, forti, generose, indipendenti, gelose, ossessive, traboccanti di personalità, eppure così fedeli, sottomesse, disperatamente innamorate di Ernest Hemingway. Hadley Richardson, Pauline Pfeiffer, Martha Gellhorn e Mary Welsh, le quattro mogli del celebre premio Nobel, hanno accompagnato dalla giovinezza alla morte una delle figure più geniali e conturbanti del Novecento, fondamentali per l’equilibrio – purtroppo instabile – dello scrittore americano, ma continuamente adombrate dal suo successo.

È Naomi Wood a dare loro voce, in questo brillante romanzo che si fa leggere con la voracità dei pettegolezzi sulle riviste patinate – l’attrattiva della storia a tre, una costante delle relazioni di Hemingway – e il piacere scaturito da una narrazione elegante e fluida, anche se spesso paratattica. I dettagli di cui il libro è costellato si focalizzano su elementi velati di sensualità: il trucco, la bocca, la sigaretta, particolari che manifestano il fascino umbratile di queste donne, ognuna espressione di un Novecento che si snoda tra gli anni Venti e Sessanta, sullo sfondo di Antibes, Key West, L’Avana, Ketchum.
«Divertiti. Non tutte possono farsi chiamare Signora Hemingway». Da queste parole, che Martha rivolge a Mary, ricaviamo una delle chiavi del rapporto che lega Hemingway alle sue consorti: il prestigio di essere la Signora Hemingway (il riflesso di un uomo affascinante, di un talento letterario unico) lusinga tutte le donne che gli si accostano. Nonostante il personaggio che emerge sia tutt’altro che esemplare – Hemingway sembra un uomo votato principalmente al culto di se stesso, egocentrico, fragile e violento allo stesso tempo – il mito che irraggia conquista anche le più tenaci, alcune delle quali – Mary Welsh – rinunceranno alla loro carriera di reporter per assecondare il marito.
È comunque un romanzo di donne. Neanche Ernest Hemingway riesce ad accaparrarsi tutto lo spazio che forse pretenderebbe: sono comunque più forti e il loro amore, a volte cieco, a volte rancoroso, a volte rassegnato, connota il romanzo in modo irreparabile. È attraverso esso che vivono, si muovono, respirano. Non, quindi, attraverso Ernest Hemingway, ma grazie a un sentimento che le definisce come individui. Questo, sorprendentemente, non rende “Quando amavamo Hemingway” un romanzo d’amore, ma piuttosto una storia d’identità, di ricerca, di devozione.

Forse sono proprio loro, le mogli, ad aver utilizzato Hemingway per soddisfare il proprio ego.

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