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Anno edizione: 1999
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recensione di Nadotti, A., L'Indice 1998, n. 5
"Nicholas era già di fronte al quadro. Era là, immobile, con brevi respiri rapidi a guardare l'unica prova che suo padre un tempo aveva avuto ragione. Eccola là, la tela dipinta quell'estate sulla costa del Clare (...) Un quadro dai colori furibondi, una fiaba di verdi e gialli e blu".
Direi che vale la pena di partire dalla felicità pittorica dell'unica tela superstite tra quelle dipinte dal padre del protagonista di questo romanzo, a mio parere molto bello e anomalo nella narrativa contemporanea - anche in quella irlandese. La storia è senza dubbio una storia d'amore, o meglio, di molteplici non facili amori, ma è soprattutto una storia di presagi, di vocazioni sentimentali e artistiche guidate da Dio, un Dio irlandese onnipresente e fiero, che dall'alto di un cielo tempestoso, sopra un mare perennemente agitato, manovra i fili dell'esistenza di quanti si affannano sulla terraferma, decidendone i destini. Sarà dunque Dio a condurre Nicholas da Isabel, e Isabel da Nicholas, lungo un itinerario di segni di straordinario fascino anche per chi, come chi scrive, ritiene che gli esseri umani abbiano una qualche responsabilità nel proprio destino.
Forse perché, a ben vedere, il "miracolo" di questo incontro risiede in primo luogo nel fatto che siano la pittura, la poesia e la musica a farsene tramiti. Un solo quadro prodigiosamente scampato al fuoco, una sola poesia amorosamente sottratta alla disperazione, un flauto quasi magico suonato sulle rocce da un ragazzetto lentigginoso, e improvvisamente zittitosi, creano il tessuto narrativo del romanzo, cui fa da sfondo una meravigliosa natura irlandese che l'autore conosce e ama appassionatamente (Niall Williams, qui al suo primo romanzo, è autore di quattro libri sulla contea di Clare). Il padre "pittore" di Nicholas e il padre "poeta" di Isabel hanno in comune uno strano, misterioso spessore, un'intimità dolente con se stessi, una fragile dipendenza dalle loro donne che pure in qualche modo abbandonano. Sicché non è difficile accettare, senza misticismi, il gioco di coincidenze che porterà i loro figli a incontrarsi.
Se Nicholas è fondamentalmente un romantico, Isabel sembra uscita da una leggenda irlandese e ha nello stesso tempo il passo inquieto e i gesti delle eroine bröntiane. Fa pensare a quelle antenate di Yeats a proposito delle quali uno zio del grande poeta diceva: "Noi abbiamo idee, non passioni, ma attraverso il matrimonio con una Pollexfen abbiamo dato voce alle scogliere del mare" (William Butler Yeats, "Autobiografia").
In anni recenti la scintillante produzione letteraria irlandese - oltre a darci un poeta come Seamus Heaney (cfr. "L'Indice", 1996, n. 3) - ci ha abituato a storie forti, spesso violente, ispirate dalla vita politica e sociale del paese, storie di povertà e migrazioni, storie in cui la religione è quello che è stata nei lunghi decenni del conflitto angloirlandese, ovvero un motivo di divisione, una giustificazione della guerra, e Dio un giudice quasi sempre impietoso delle azioni umane. In tale articolatissimo panorama (cfr. "L'Indice", 1997, n. 6 e n. 11; 1998, n. 2), la voce di Niall Williams - con un Dio che indossa l'insolita veste di istigatore di artistici talenti e messaggero d'amori terreni e carnali, ora recapitando, ora distruggendo le lettere d'amore, che in realtà sono sei, non quattro - appare diversa, difficilmente classificabile, evoca le grandi voci letterarie del passato eppure è assai personale, e val la pena di ascoltarla.
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