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Amedeo Anelli, poeta e critico letterario lombardo, ha meritoriamente ed egregiamente riparato, con questa pubblicazione, a un grosso torto della nostra cultura: la sottovalutazione in vita, e l'oblio post mortem della produzione di un grande, limpido, essenziale scrittore, quale fu Roberto Rebora (1910-1992), che fece della discrezione nell'esistenza, e della ricerca introspettiva (spirituale e severa) sulla pagina la cifra costante della sua non facile vita. Nato a Milano da famiglia di intellettuali "dagli alti ideali e di solida eticità" (suo zio era il poeta Clemente Rebora, che tanta influenza ebbe sulla sua scrittura), dovette presto abbandonare gli studi ed impiegarsi in mestieri umili; poi combattere in Abissinia e nella seconda guerra mondiale, e trascorrere lungo tempo di prigionia internato in campi tedeschi. Anelli ripercorre con attenta fedeltà e partecipazione le tappe fondamentali di quegli anni difficili, fino alla vecchiaia trascorsa in indigenza: ma soprattutto individua nella produzione in versi di Roberto Rebora una coerente e vigile linearità, impastata di "alta sorveglianza morale". Quindi nei suoi versi evidenzia un "movimento di svuotamento dell'io, resistenza osservativa e meditativa, in un dire prosciugato...con la minima economia dei mezzi retorici", senza tuttavia che il suo isolamento intellettuale ("il suo sostare nell'introspezione, nella riservatezza e nella reticenza, nel silenzio, traendosi dai furori e dalle delusioni della storia") lo allontanasse da "un radicale bisogno di senso di vitalità, un calarsi nei tessuti dell'umano, del suo radicamento temporale...". E allora ci si deve augurare che si ristampi l'intera opera letteraria di Roberto Rebora, oggi del tutto introvabile, in modo che i lettori di poesia possano ancora godere di versi intensi come questi: "Premono le dita sul tempo/ come su un vetro./ Al di là si ripete l'unico volto/ con irraggiungibili aspetti".
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