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Rapporto dalla città assediata - Zbigniew Herbert - copertina
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Descrizione


La crudele Natura, scrive Brodskij nella appassionata Lettera al lettore italiano che apre questo libro, «con un minimo intervallo di tempo ha affibbiato alla Polonia non solo Czesław Miłosz ma anche Zbigniew Herbert. Che cosa ha cercato di fare, che cosa aveva in mente? Preparare la nazione al suo fosco avvenire, in modo che i polacchi potessero reggerlo?». Di fatto, la compresenza di due poeti di tale altezza – un’altezza dove «non c’è più gerarchia» – in una terra devastata sembra accennare a qualcosa. Lo scoprirà il lettore italiano, incontrando in queste pagine per la prima volta l’essenziale dell’opera di Herbert. Ma che specie di poeta è Herbert? Nessuno può rispondere meglio di come ha fatto Brodskij nella sua introduzione: «È un poeta di straordinaria economia. Nei suoi versi non c’è niente di retorico o di esortativo, il loro tessuto è quanto mai funzionale: è brusco piuttosto che “ricco”. La mia impressione complessiva delle sue poesie è sempre stata quella di una nitida figura geometrica (un triangolo? un romboide? un trapezio?) incuneata a forza nella gelatina della mia materia cerebrale. Più che ricordare i suoi versi, il lettore se li ritrova marchiati nella mente con la loro glaciale lucidità. Né gli succederà di recitarli: le cadenze del tuo linguaggio cedono, semplicemente, al timbro piano, quasi neutro, di Herbert, alla tonalità della sua discrezione».

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Dettagli

1993
21 aprile 1993
280 p.
9788845909665

Voce della critica


recensione di Tomassucci, G., L'Indice 1994, n.10

La pubblicazione di una vasta scelta di poesie di Zbigniew Herbert (classe 1924, poeta, saggista e drammaturgo polacco) porge finalmente l'occasione di parlare di questo autore, noto in Italia fino a qualche anno fa solo attraverso sporadiche comparse in antologie e riviste. Herbert, che ha esordito nel 1956 e che ha al suo attivo otto raccolte poetiche, è considerato una delle voci più originali e indipendenti della cultura polacca: dagli anni sessanta è stato tradotto negli Stati Uniti e nelle due Germanie, in Francia, Cecoslovacchia, Svezia, Grecia e Argentina. Da noi la prima traduzione integrale di un suo volume, curata anch'essa da Pietro Marchesani, risale invece al 1985 ("Rapporto da una città assediata. 24 poesie", All'insegna del pesce d'oro). Il lettore non si lasci trarre in inganno dalla quasi totale identità con l'odierno titolo adelphiano, che riprende in effetti - per volere dello stesso Herbert - quello della raccolta proposta da Scheiwiller, scritta all'indomani del colpo di stato di Jaruzelski e pubblicata originariamente da Kultura, la casa editrice dell'emigrazione polacca a Parigi. Malgrado la non felicissima ripetizione del titolo, il volume dell'Adelphi offre invece una nutrita panoramica - la più ampia sinora disponibile in traduzione - di quasi tutta l'opera herbertiana, dal '56 al '90: ne resta esclusa solo la più recente fatica dell'autore, "Rovigo" (1992), per la quale sappiamo esistere un progetto di traduzione da Einaudi.
Costretto al silenzio negli anni dello stalinismo (come testimonia la poesia "Potenza del gusto", divenuta in Polonia quasi un oggetto di culto, soprattutto da parte di coloro che per motivi biografici non erano stati coinvolti da quel periodo), Herbert cominciò a esser conosciuto solo con il disgelo. Le sue prime raccolte, "Corda di luce" e "Hermes, il cane e la stella", rivelavano già una vena pienamente matura e contenevano in nuce temi coltivati nella produzione successiva. Come si potrà verificare anche nella scelta italiana, tornano qua e là le allusioni a un passato violentemente reciso dalla storia, spesso raffigurato come sfera dell'infanzia: sorta di paesaggio ideale, esso si impone coi suoi simboli nelle situazioni più diverse (come in "Monna Lisa", in cui si sovrappone inaspettatamente allo sfondo del ritratto leonardesco, sconvolgendone la prospettiva e l'equilibrio). È questo un riflesso della biografia dello scrittore, originario di Leopoli (la Lemberg asburgica, occupata dai sovietici nel '39, dopo Jalta conglobata nella repubblica ucraina), che ha militato nella formazione partigiana dell'Armia Krajowa, duramente perseguitata in Polonia nel dopoguerra. Accanto a questo filo conduttore, che porta coerentemente fino alle poesie del "Signor Cogito" (1974) e oltre, Herbert inizia a coltivare il gusto della descrizione. Si dedica così alla prosa breve, genere che perfezionerà con rara maestria. I suoi inediti ritratti di oggetti (il bottone, il violino, lo sgabello, "piccolo quadrupede su gambe di quercia") rappresentano una forma di teismo assolutamente antimaterialista, anzi tendente all'animismo: "Non ho mai visto una sedia poggiarsi ora sull'urlo, ora sull'altro piede, n‚ un letto impennarsi", scriveva nel '57. "Anche i tavoli, perfino quando sono stanchi, non osano inginocchiarsi. Sospetto che gli oggetti si comportino così a scopo pedagogico, per rinfacciarci di continuo la nostra incostanza". In questo l'attenzione dello scrittore polacco è affine più alla zoologia fantastica borghesiana che all'ossessione pseudoscientifica per le cose di Francis Ponge, autore cui da alcuni è stato accostato e con il quale condivide alcune voci del catalogo di oggetti. Contemporaneamente Herbert rivela una propensione a sconfinare verso la fiaba e l'apologo. Rimando perciò il lettore a quei deliziosi e arguti 'divertissements' dedicati all'orso, al muro, alla gallina o al piccolo Padre, in cui la descrizione di un animale, di un personaggio o di un avvenimento, condotta dal punto di vista di un osservatore infantile, ingenuo o partecipe di una logica particolare, non serve in realtà che a guidare abilmente il lettore verso una rilettura critica del messaggio. Segno caratteristico della poesia herbertiana è la propensione per il fantastico, il magico, l'assurdo. Colpisce anche il frequente ricorso a una simbologia di ambito filosofico, storico, iconografico, dalla pittura fiamminga (alla cui stagione secentesca Herbert ha dedicato recentemente un saggio), fino al surrealismo, al cubismo e al suprematismo. La marcata figuratività dei testi, l'attenzione ai particolari dei personaggi e dello sfondo sono tuttavia tenute a freno da un robusto filo narrativo: nelle prose, ma soprattutto nei testi in versi, si rivela un narratore-cronachista compiaciutamente visionario, mai allucinato. L'intreccio gioca un ruolo evidente: vengono rivisitati, con capacita di inventiva straordinaria, i miti greci (Prometeo, il Minotauro, il duello tra Apollo e Marsia, il sacrificio di Ifigenia), l'escatologia giudaico-cristiana ("Alle porte della valle"), i personaggi della storia romana (Caligola, l'imperatore Claudio) o il nostro passato meno remoto (l'anarchico Kropotkin, Isadora Duncan).
La poesia di Herbert è inoltre interessante per la molteplicità di voci che la popolano. Fin dai primi anni sessanta essa ha infatti dato la parola a figure del mito, della storia e della letteratura (Procuste, Caligola, Fortebraccio, un proconsole romano ecc.), permettendo loro di rivolgersi al lettore in prima persona ed esporre le ragioni del loro comportamento. L'uso di questo monologo o soliloquio (a volte preceduto da una breve introduzione a cornice) conferisce un saldo spessore narrativo ai testi, una comune marca stilistica: dietro la voce del soggetto lirico tradizionale sentiamo la presenza di un autore implicito che, calibrando l'uso dell'ironia e del grottesco, crea un atteggiamento di evidente distacco dall'enunciato.
Dal '75 Herbert concentrerà invece la sua attenzione su una figura diversa, il signor Cogito, protagonista di varie decine di sue poesie pubblicate con regolarità su riviste, e divenuto ben presto il mito di uno stuolo di lettori (non solo polacchi: pare che nell'Oregon abbiano intitolato al suo nome un giornale universitario). La particolare popolarità di questo personaggio è dovuta forse alla sua parentela con l'uomo qualunque, alla sua tendenza a lasciarsi guidare da un intelligente buon senso nei suoi ragionamenti (alcuni titoli delle poesie in cui si rivela - 'nomen omen' - la sua propensione speculativa: "L'anima del Signor Cogito", "Il Signor Cogito osserva il suo viso allo specchio", "Il Signor Cogito sulla necessità dell'esattezza"). Troviamo poesie in cui Cogito è l'assoluto protagonista che si rivolge al lettore in prima persona, altre in cui "viene narrato" in terza persona, altre infine in cui la sua presenza è unicamente segnalata da una didascalia introduttiva, affine a quelle teatrali. In certi testi crediamo di riconoscere una sorta di alter ego che divide con Herbert il bagaglio di ricordi e simboli, la forte vena moralista, la nostalgia da emigrante per la patria. In altri invece muta la prospettiva con cui l'autore guarda al suo personaggio: come in un cannocchiale che si allunga o accorcia, avvertiamo allora la distanza ironica, l'alleanza stipulata alle sue spalle con il lettore, che ricorda Edmond Teste e Plume, le grottesche creature di Valéry e Michaux.
Non bisogna comunque dimenticare che la complessità della poesia dell'autore polacco, l'ambiguità che spesso caratterizza il suo linguaggio sono state condizionate anche dalla situazione politica di oltre un quarantennio. La continua ingerenza della censura ha del resto pesato non solo sulle scelte stilistiche, ma anche sulla stessa recezione dell'opera di Herbert. È accaduto così che certa critica polacca non ha saputo sciogliere alcuni nodi dei testi o ha creduto al contrario di decifrarvi significati inesistenti. Esemplare è da questo punto di vista la sorte di una poesia - non tradotta in quest'antologia di Marchesani - originariamente scritta per gli insorti ungheresi del 1956, che venne decapitata dal censore di data e dedica e tradita quindi per decenni con il solo incipit ("Stiamo sul confine..."). Ignari del contesto originario, due studiosi ne hanno interpretato il riferimento, in realtà letterale, a un "grande incendio" come una riflessione estetica sulle avanguardie pittoriche del primo Novecento o addirittura come un richiamo alla filosofia stoica... Del resto - come ricorda Marchesani nella sua postfazione - la poesia di Herbert è stata iscritta nei registri più disparati: accostata all'esistenzialismo, definita prima neoclassicistica e poi metafisica, accusata di farsi schermo del suo mondo di simboli e non trasparenti metafore, infine tacciata (da certa critica in odore di regime) di uno spiccato "occidentalismo" non solo culturale ma anche politico. Herbert ha sempre mantenuto una distaccata equidistanza dai vari tentativi di catalogazione della sua opera (per verificare il suo scetticismo nei confronti degli strumenti della critica letteraria basterà leggersi il magnifico "Episodio in biblioteca" del 1957). Ha rimandato ai suoi esegeti le accuse di intellettualismo, dichiarando il lettore capace di orientarsi in una materia culturalmente complessa, partner alla pari nel comune gioco "dell'immaginazione", da chiamare direttamente in causa nelle sue poesie (dove non è raro l'uso della seconda persona). Al di là di simili affermazioni, non sempre convincenti, ma comprensibilmente miranti a conquistarsi un contatto autonomo con il proprio pubblico, resta aperta la questione dello specifico stile herbertiano.
L'ingerenza della censura o l'attenzione ai bisogni del lettore non bastano certo a giustificare la scelta di una sintassi sempre lineare, per lo più impiantata su una struttura simmetrica di proposizioni coordinate (frequente la reiterazione di sintagmi soprattutto all'inizio di strofa). A questa estrema trasparenza corrispondono scelte stilistiche particolari: il rifiuto programmatico dei segni di interpunzione nel testi poetici, cosa che conferisce maggiore autonomia alle parti del discorso, la sentenziosità della clausola finale, la frattura del ritmo grazie a un uso quasi ossessivo dell''enjambement'. Non si tratta certo di caratteristiche specificamente herbertiane: costante ci sembra comunque la ricerca di una parola essenziale, la tendenza del fraseggio poetico a servirsi di figure retoriche che conferiscono al testo una certa lapidarietà, un afflato oratorio.
La critica ha messo già da tempo in discussione la pretesa linearità e semplicità della poesia di Herbert, la sua omologazione 'tout court' ai registri della lingua parlata. La limpidezza di alcuni suoi testi è spesso solo una prima impressione: la parola di Herbert, risultato di una continua ricerca, di un'esasperata attenzione, aspira alla polisemia, all'ambivalenza, ponendo problemi di interpretazione e di resa anche al traduttore più agguerrito.
Per questo non persuadono i giudizi del saggio introduttivo all'antologia adelphiana, in cui Brodskij cerca di convincere il lettore italiano che Herbert è un "poeta facile", che si serve di "una forma di linguaggio disadorna e diretta... e non usa certo la rima e la scansione". Come altri scrittori dell'Est Europa, egli avrebbe rifiutato la poesia "formale" in quanto emanazione del "vecchio ordine sociale che aveva portato le loro nazioni alla catastrofe". Ci stupisce francamente questa secca liquidazione della tradizione poetica tra le due guerre che - se non venisse dalla penna del russo Josif Brodskij potrebbe evocare i fantasmi di un cupo passato. Non si può del resto parlare di un rigetto della tradizione nella poesia di Herbert n‚ dal punto di vista dei temi (è innegabile un legame con la grande poesia del romanticismo polacco) n‚ di quello delle forme metriche. Per appurarlo basterebbe passare semplicemente dalla prefazione di Brodskij all'ampia e meditata postfazione di Marchesani, dove si ricorda come il poeta si serva di "una scansione ritmica assai varia (settenari ottonari, novenari giambici, endecasillabi, tridecasillabi), così come non rifugge dall'uso di rime interne, assonanze e svariate figure retoriche".

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Zbigniew Herbert

(Leopoli 1924 - Varsavia 1998) poeta polacco. Alla sua prima raccolta di versi, La corda di luce (1956, nt), seguirono Hermes, il cane e la stella (1957, nt), L’altra stanza (1958, nt), Ricostruzione del poeta (1962, nt) e Lalek (1962, nt). Temi della sua poesia, di grande semplicità lirica, sono la nostalgia dell’infanzia e la condizione dell’uomo contemporaneo in un mondo violento e alienante. Scrisse anche drammi e saggi critici (Il barbaro nel giardino, 1962, nt; Disonore Domestico, 1986, nt). Nel 1973 uscì il volume Scelta di poesie. Drammi (nt); nel 1983, in Francia, Rapporto dalla città assediata, che riprende le 18 Poesie già pubblicate clandestinamente in Polonia.

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