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Rapsodie gitane - Blaise Cendrars - copertina
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Rapsodie gitane - Blaise Cendrars - copertina

Descrizione


Blaise Cendrars è stato il grande avventuriero della letteratura moderna, l’eterno nomade, vorace, curioso, affabulatorio, oscillante fra la Legione Straniera e il music hall, fra le roulettes degli zingari e la pampa, fra la moviola e la Transiberiana. Da quando scappò di casa, nel 1903, a sedici anni, la sua vita non ha fatto che cambiare rapinosamente scenari, lo ha immerso in mondi sbarrati e cifrati per gli estranei, dove però si trovava ogni volta ad abitare con naturalezza. Viaggiava senza tregua, ma non è stato mai un turista. Quasi senza farci caso, fu tra gli inventori della poesia moderna. Ma si sottrasse subito a quella trappola che era il mestiere dell’avanguardia. Con strafottenza e fierezza, proclamava: «Io non intingo la penna in un calamaio, ma nella vita». Col suo gusto infallibile per il concreto, per la peculiarità dei sapori, trovava ovunque l’enormità, l’immagine dirompente, traboccante: nella periferia di Parigi come nei suoi vagabondaggi sudamericani (mentre i suoi colleghi andavano a Mosca: «Gli altri credevano all’avvento del socialismo perché sono di formazione universitaria, io no. Io prevedevo soltanto l’antico massacro… la guerra sofisticata dalla scienza»). Gli mancava senz’altro la «formazione universitaria», ma forse appunto per questo Cendrars fu anche una sorta di erudito selvaggio, uno dei pochi che sapevano riconoscere nelle biblioteche un’ultima giungla.
Nelle Rapsodie gitane (1945) Cendrars traversa a zigzag la sua vita – e mai come in queste pagine lo sentiamo presente, in tutta la densità della sua persona. Qui Cendrars si abbandona senza ritegno all’arte della narrazione orale, in cui sapeva maestri i suoi amici gitani, quando si raccontano le storie della tribù, nelle veglie notturne accanto al fuoco.
Vivere non basta, bisogna raccontare. Così, in mezzo a fascinose digressioni, maestose anse, fulminee deviazioni, lo seguiamo mentre evoca figure incancellabili: l’eccentrico poligrafo Gustave Le Rouge e i suoi armadi a specchio, la messicana Paquita, «strega depravata», dal colossale patrimonio, con la sua sbalorditiva collezione di bambole di cera, il gitano Sawo e le sue atroci storie di vendette, rivalse, gelosie tribali. E qui la letteratura, che Cendrars aveva finto di voler abbandonare, si prende la sua tarda vittoria: perché ogni storia lievita e si dilata di là da ogni possibile documentabilità biografica. C’è qualcosa di continuamente eccessivo e improbabile e, insieme, di palpabilmente vero in ciascuna di queste «rapsodie». Forse anche perché ci arrivano traversando una vita che era tutta una affabulazione. E, ci ricorda un personaggio di Cendrars, «quando uno racconta, ricama su qualcosa di già ricamato. Così la verità viene chiusa in una rete da cui non scapperà più».

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Dettagli

3
1979
14 maggio 1979
228 p.
9788845903861

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Erika Vecchietti
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Ramingo, guascone, irriverente, grandissimo affabulatore: "Io non intingo la penna in un calamaio, ma nella vita. Scrivere, non è vivere. È forse sopravvivere a se stessi".

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hatos95
Recensioni: 5/5

Nelle Rapsodie gitane (1945) Cendrars traversa a zigzag la sua vita e mai come in queste pagine lo sentiamo presente, in tutta la densità della sua persona. Qui Cendrars si abbandona senza ritegno all’arte della narrazione orale, in cui sapeva maestri i suoi amici gitani, quando si raccontano le storie della tribù, nelle veglie notturne accanto al fuoco. Da quando scappò di casa, nel 1903, a sedici anni, la sua vita non ha fatto che cambiare rapinosamente scenari, lo ha immerso in mondi sbarrati e cifrati per gli estranei, dove però si trovava ogni volta ad abitare con naturalezza. Viaggiava senza tregua, ma non è stato mai un turista. Quasi senza farci caso, fu tra gli inventori della poesia moderna. Ma si sottrasse subito a quella trappola che era il mestiere dell’avanguardia.  C’è qualcosa di continuamente eccessivo e improbabile e, insieme, di palpabilmente vero in ciascuna di queste «rapsodie». Forse anche perché ci arrivano traversando una vita che era tutta una affabulazione. Ve lo consiglio.

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Cristiano Cant
Recensioni: 5/5

"Se ami questo è il momento di partire. /Lascia tua moglie, lascia il tuo bambino,/lascia il tuo amico, lascia la tua amica,/ lascia la tua amante, lascia il tuo amante./ Quando si ama si deve andar via./ Il mondo è pieno di negri e di negre, donne, uomini, uomini, donne./ Guarda i bei negozi./ Questa carrozza, quest'uomo, questa donna, questa carrozza e tutte le belle merci in vetrina./ C'è l'aria, c'è il vento, le montagne,/ l'acqua il cielo e la terra./ I bambini, gli animali, le piante e il carbon fossile./ Impara a vendere a comprare, a rivendere,/ dà, prendi, dà, prendi./ Quando si ama si deve sapere,/ cantare correre mangiare bere, /fischiare./E imparare a lavorare./ Quando si ama si deve partire,/non sorridere fra le lacrime,/ non farti il nido fra due seni./ Respira, cammina, parti, vattene./ Faccio il bagno e guardo,/vedo la bocca che so io,/la mano, la gamba, il...l'occhio,/faccio il bagno e guardo./ Il mpndo intero e' sempre qui,/ la vita con le sue cose sorprendenti./Esco dalla farmacia,/ scendo appena dalla bilancia,/peso i miei soliti 80 chili./ Ti amo". Chiedo al cielo e agli uomini cosa possa lontanamente aggiungersi a questi versi che non li offenda o non li sporchi. Una tale scioltezza, un tale senso della brevita' di un destino, di un rapire le cose perche' altrimenti esse rapiscono noi, di un mordere, un patire ma sempre nella tenerezza, splendidi, stupiti e imperfetti in ogni caso, un soffiare, un credere lo stesso. Perche' anche (e forse soprattutto) da semplicissimi passanti il nettare delle cose si riesce davvero a mandare nei cavi piu' profondi dell'anima. Un libro che salva e che incanta, la speranza delle piccole cose nutrita con l'unico pane dei sensi: la poesia.

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Blaise Cendrars

(La Chaux-de-Fonds, Svizzera, 1887 - Parigi 1961) poeta e narratore francese di origine svizzera. Condusse vita errabonda, viaggiando in tutti i continenti. Dopo alcune raccolte di versi (La leggenda dell’oro grigio e del silenzio, La légende de Novgorod, 1909; Pasqua a New York, Les Pâques à New York, 1912; La prosa del transiberiano e della piccola Giovanna di Francia, La prose du transsibérien et de la petite Jehanne de France, 1913), scrisse numerosi romanzi, spesso di carattere autobiografico, avventuroso ed esotico: L’oro, L’or, 1925; Moravagine, 1926; Le confessioni di Dan Yack, La confession de Dan Yack, 1929; La vita pericolosa, La vie dangereuse, 1938; La mano mozza, La main coupée, 1946; Bourlinguer, 1948. Lavorò anche in...

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