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Il ritorno degli antichi - Giuseppe Cambiano - copertina

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1988
1 marzo 1988
186 p.
9788842030256

Voce della critica


recensione di Carchia, G., L'Indice 1988, n. 7

Una ragione critico-polemica è la principale sorgente ispiratrice di questa raccolta di saggi: scopo principale dell'autore sembra infatti essere quello di denunciare i rischi del massiccio "ritorno degli antichi" sulla scena della filosofia contemporanea. Il pericolo sta nella disinvoltura, quando non nell'arbitrio, con i quali interessi teorici legati all'attualità utilizzano, secondo l'autore, temi e materiali forniti dalla filosofia antica. Il volume si compone di sei capitoli, dei quali il primo e l'ultimo contengono le coordinate teoriche generali, mentre i quattro capitoli centrali sono altrettanti modelli rispetto ai quali Cambiano prova a rieseguire la sua idea di storiografia filosofica. Se si eccettua lo studio su Mondolfo, dedicato a una tematica (quella della tecnica antica) assai familiare all'autore ma sostanzialmente estraneo alle vere intenzioni del libro, gli altri tre saggi, dedicati rispettivamente a Gadamer, a Bloch e a Foucault, si dispongono tutti in un orizzonte decisamente critico. Spesso con ironia, talora con sarcasmo, Cambiano vuole porre in luce le insufficienze o, addirittura, gli errori materiali e di fatto nei quali incorrono quegli interpreti che nella filosofia greca cercano non già un serio ed obbiettivo oggetto d'indagine, bensì un pretesto, un sostegno comodo per la gratuità della loro propria teoresi. Cambiano vuol mostrare come, ad esempio, dal punto di vista di una rigorosa storiografia scientifica, l'utopia blochiana del "nuovo" si riveli invece intessuta, dal punto di vista della sua coscienza storiografica, di vecchi stereotipi, con un'immagine della filosofia antica tutta filtrata dalle formule del manuale neokantiano di Windelband (che, aggiungiamo noi fra parentesi, è costitutivo anche in rapporto all'immagine adorniana della classicità). Allo stesso modo, la morale antica dell'austerità riproposta dall'ultimo Foucault sarebbe anch'essa paradossalmente carica di presupposti idealistici e spiritualistici, priva di spessore e di articolazioni storiche. Il significato dell'opera di demistificazione che Cambiano si e proposto si palesa, però, in tutta la sua evidenza nel capitolo su Gadamer, che, nella prospettiva dell'autore, è certo il più riuscito del libro. Qui il confronto col Gadamer interprete di Platone non può non allargarsi fino a diventare un tentativo di resa dei conti con l'insieme della prospettiva ermeneutica, dalla quale provengono secondo l'autore i vizi complementari dell'arbitrio metodologico e del tradizionalismo storiografico. L'unione fra il soggettivismo prospettico e la quieta accettazione della tradizione si deve, secondo Cambiano, essenzialmente a due radicali insufficienze della proposta ermeneutica, almeno nella sua formulazione gadameriana. Si tratta, in primo luogo, del mancante riconoscimento dell'alterità, dell"'estraneità", che dobbiamo invece sempre avere presente quando parliamo in senso enfatico di "filosofia greca", si tratta, in secondo luogo, della creazione di paradigmi, di canoni che troppo nettamente sacrificano come residuale, come irrimediabilmente tramontato, ciò che non continua a diffondere attorno a sé la nobile aura del "classico".
Ora, la rivelazione critica di questi punti è certamente significativa; solo ci si chiede se l'autore ne abbia realizzato fino in fondo le implicazioni. La mera assunzione, come filo conduttore della polemica critico-scientifica, del tema della disparità radicale tra interessi della teoresi moderna e realtà della filosofia classica, non è di per sé affatto sufficiente a garantire, come sembrerebbe qui implicito, il salvataggio dell"'Altro". Il riconoscimento di alterità qui viene senz'altro identificato con la pratica della messa a distanza. A sua volta, quest'ultima è interpretata secondo la più ovvia concezione scientifica moderna come pratica dell'obbiettivazione. Ciò che non è indicato, non a caso, è il criterio che dovrebbe servire a segnare il limite oltre il quale messa a distanza ed obbiettivazione fanno tutt'uno con manipolazione, arbitrario potere di disposizione da parte del soggetto, proprio ciò che tanto si depreca nella prospettiva ermeneutica. È difficile, infatti, che il riconoscimento di alterità non si ribalti in reificazione, se il soggetto interpretante non esplicita il proprio interesse di conoscenza. Se non esplicita i propri presupposti, la prospettiva critico-scientifica si determina come un altro fra gli innumerevoli modi di quel prospettivismo moderno che si pretende di combattere. Da questo punto di vista, è probabile che, per salvare l'Altro (in questo caso la filosofia classica), ciò che occorre è riconoscere che per principio noi non potremo mai sapere, ad esempio, "che cosa ha veramente detto Platone". Se si nega questo, è perché surrettiziamente si confondono due piani di discorso totalmente diversi: il dialogo con il pensiero e con il significato, per estranei e lontani che possano essere, non può essere omologato alla ricostruzione della costituzione materiale dei testi, i quali non sono solo legna, pietra o altri materiali inerti. A tratti, invece, nella prospettiva dell'autore, più che di filosofia antica, pare che si tratti di fossili. Da questo punto di vista, la verve polemica di Cambiano assume movenze donchisciottesche: infatti, nella prospettiva della storiografia filosofica rigorosamente filologica che gli sta a cuore, non ha tanto senso un confronto critico con prospettive non tematizzanti e non scientifiche. Altrimenti, l'atteggiamento dello storico nei confronti della teoresi diventerà esattamente il medesimo, chiuso e incomprensivo, da lui imputato alla filosofia colpevole d'interessarsi dei filosofi greci. Tutto ciò fa rimpiangere che siano così poche le pagine, di certo le più interessanti del libro, che Cambiano dedica ad un ben più serio confronto con le ultime prospettive storiografiche, nell'ultimo saggio del libro, "La filosofia antica oggi fra sistemi e argomentazioni". Qui, sia pure a volte fra le righe e forse con eccessivo pudore, emergono acute proposte per la rilevazione di nuove, più articolate vie d'accesso alla "lettera" dei testi filosofici classici. Fra queste la più notevole ci sembra, oltre alla rilevazione della necessità di un indirizzo storico globale che fuoriesca dalle stantie certezze dalla filosofia come disciplina codificata, la proposta di saggiare nuove zone, nuovi territori fin qui trascurati dalla tradizione storiografica: le filosofie ellenistiche, la filosofia romana, Plotino, i commentatori antichi di Platone ed Aristotele considerati non più come semplici fonti. Qui, dove la critica è all'altezza del suo soggetto e la storiografia filosofica procede ad autocriticarsi, esplicitando i propri interessi di conoscenza, Cambiano non può non rendere onore all'ermeneutica che pure mostra di aborrire.

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