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Descrizione


Per la prima volta vengono riuniti i romanzi che Kerouac aveva scritto non come unità a sé stanti, ma con l'intento di costruire proustianamente una propria Recherche. Romanzi che, quindi, si richiamano l'un l'altro, il tutto in uno stile che cerca le cadenze sincopate del jazz. Il volume si apre con "Sulla strada", seguono "I sotterranei", "I vagabondi del Dharma", "Big Sur" e "Angeli della desolazione". In appendice sono raccolti esempi della saggistica e della narrativa breve di Kerouac e una decina di pagine in lingua originale del romanzo postumo "Vision of Cody".
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Dettagli

2001
6 novembre 2001
CXXXIX-1623 p.
9788804486138

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Symphony
Recensioni: 5/5

Opera omnia dedicato all'autore della collana più raffinata della Mondadori. Citando il catalogo: "L’operazione editoriale compiuta con questo Meridiano ha una forte rilevanza critica: per la prima volta infatti vengono riuniti – in traduzioni accuratissime, molte delle quali nuove – i romanzi che Kerouac aveva scritto non come unità a sé stanti, ma con l’intento di costruire proustianamente una propria Recherche. Romanzi che quindi – come mette in luce Mario Corona nello splendido saggio introduttivo – si richiamano l’un l’altro, trame fitte di echi e di riprese, il tutto in uno stile che volutamente cerca le cadenze sincopate del jazz. Jack Kerouac, o della contraddizione: storie degli anni Cinquanta". Sicché, nel dettaglio, troviamo: Cronologia dell'autore Nota all’edizione Sulla strada I sotterranei I vagabondi del Dharma Big Sur Angeli della desolazione Scritti vari Note Bibliografia essenziale

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andrea
Recensioni: 5/5

Come "Huck Finn" di Twain, "On the road" di Kerouac è un appassionato omaggio alla libertà e alla vita. Un grande romanzo americano.

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dario
Recensioni: 5/5

"on the road" è semplicemente uno dei libri più densi, vissuti, e avvincenti che abbia mai letto. Kerouac è un narratore/poeta di qualità rara...e anche per questo un po' allucinata e sognante, proprio come i sui libri. Il trucco però sta nell'entrare nell'atmosfera del periodo, di un America sconfinata, vista con il chiaro scuro, un po' a volte decadente ma molto attraente e sognante. che dire...kerouac è un talento come ce ne sono pochi, e proprio per questo ha i suoi denigratori che gli invidiano questo talento e modo di raccontare, che è lampante e fuori discussione..x tutti.

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Voce della critica

Se non fosse morto a soli quarantasette anni, nel 1969, stroncato dalle conseguenze di una vita sregolata ed eccessiva, Jack Kerouac compirebbe ottant'anni il prossimo 12 marzo. Era nato a Lowell, in Massachusetts, non quello del mainstream intellettuale harvardiano e né quello dei wasp (White Anglo-Saxon Protestants) eredi diretti dei padri fondatori puritani; ma piuttosto quel Massachusetts operaio, sconosciuto ai più, localizzabile in una sacca a nordest non distante dal New Hampshire, costellata di textile mills, manifatture tessili impiantate sin dall'Ottocento per dar lavoro a un proletariato di sempre nuova immigrazione: italiani, franco-canadesi, polacchi e centro-europei in genere. Appartenevano costoro a quella significativa fetta di americani che, benché di pelle bianca, costituiva comunque gruppi minoritari e insulari, vuoi per lingua parlata, vuoi per estrazione sociale o status economico, vuoi per credo religioso.

Ultimo di tre figli di una famiglia originaria del Quebec, Kerouac si trovò perciò ad appartenere a molte delle minorities del melting pot nordamericano: era franco-canadese e non "anglo" (a casa sua si parlava il joual, un dialetto francofono, e solo intorno ai sei anni imparò la lingua inglese); era di tradizione cattolica e non protestante; proveniva dal proletariato e non dalla middle class.

La chance di uscire da quel destino minore se l'era guadagnata grazie al suo talento per il football, che gli aveva fatto vincere una borsa di studio della Columbia University. La sua carriera sportiva e universitaria si interruppe entro breve tempo, ma a New York conobbe alcuni dei compagni dell'avventura umana e intellettuale che segnò il suo destino e la sua fortuna: tra questi, il poeta Allen Ginsberg (che fu tra i principali promotori della sua fortuna letteraria), l'allora ballerino d'avanguardia William Burroughs (maestro di vagabondaggi e teorico dello sballo, futuro autore di Naked Lunch) - entrambi suoi compagni di studi - e, soprattutto, Neal Cassady, personaggio funambolico, vitale, astuto e spregiudicato, quintessenza della vita on the road, ispiratore delle scorribande kerouachiane attraverso l'America ed eroe centrale dell'intera sua saga letteraria (è lui il mitico Dean Moriarty/Leroy/Cody Pomeray).

Fu proprio lo stile epistolare di Cassady, immediato, estatico, schiettamente orale, a ispirare a Kerouac - insoddisfatto dell'esito del suo primo romanzo pubblicato, The Town and the City (scritto tra il 1945 e il 1948 e uscito sue anni dopo) - quella "prosa spontanea" che egli riteneva in grado di dare voce all'esperire fondato sull'allargamento della percezione, sul recupero di energie vitali originarie e sull'immediatezza del sentire che i viaggi verso ovest, intrapresi a partire dal 1947 proprio in compagnia di Cassady, gli avevano dischiuso. Kerouac sperimentò quella voce nel secondo romanzo, On the Road (1957), che lo consacrò al successo internazionale e lo elevò a icona di una nouvelle vague socioculturale che passò sotto il nome di "beat generation".

Era stato proprio Kerouac, insieme a Ginsberg e allo scrittore e giornalista John Clellon Holmes, a coniare quella definizione intorno alla fine degli anni quaranta, riprendendo un termine di strada corrente - "beat", appunto - che significava inizialmente "sconfitto", "senza una lira", ma che conteneva una più ampia connotazione di "fortemente autoconsapevole", "posseduto di una spiritualità particolare", o ancora - per dirla con lo stesso Kerouac, con una accezione fortemente esistenziale - "solitario Bartleby con lo sguardo fisso fuori dalla cieca finestra della nostra civiltà". Per Kerouac, i beat erano una sparuta schiera di "pazzi hipster illuminati che improvvisamente spuntano e scorrazzano per l'America, seri, curiosi, vagabondi che si spostano ovunque in autostop, straccioni, beat, belli di una nuova aggraziata bruttezza", dove il carattere ossimoronico dell'"aggraziata bruttezza" richiamava quel senso di eccezionalità che di quel gruppo costituiva la cifra dominante. Essere beat significava appartenere agli happy few che individuavano le nuove potenzialità spirituali dell'America nei mondi alternativi della musica nera - e del jazz in particolare - delle filosofie orientali, di una ricerca di coscienza che andava di pari passo con il decadimento fisico conseguente all'uso delle sostanze (droghe e alcol) che quella coscienza contribuivano a dischiudere.

Applicato a Kerouac, tuttavia, beat finì per rivelarsi un marchio di fabbrica che lo immolò a simbolo e portavoce di un certo concetto di America - un'America in cui libertà è sinonimo di anticonformismo e gioventù è sinonimo di ribellione all'establishment. Ciò avvenne all'indomani della pubblicazione di On the Road, che il "New York Times" celebrò tout-court come "testamento della Beat Generation". Ma se ciò da un lato gli regalò il successo istantaneo, contribuì anche, insieme all'alcol e alla droga, ad annientarlo, oltre che come uomo, proprio come letterato. Lui che fortemente aveva rivendicato l'eccezionalità della sua esperienza, venne suo malgrado trasformato nel "dannato 'King of the Beats'", guru di generazioni che di lì a poco avrebbero messo a ferro e fuoco, metaforicamente e letteralmente, il sistema dei valori americano. Simbolo di una generazione. Fenomeno di costume. E lo scrittore, che pure la recensione del "New York Times" definiva capace di pagine "di una bellezza quasi mozzafiato", passò rapidamente in secondo piano.

Eppure Kerouac è stato autore tanto prolifico quanto innovativo. Tra il 1941 e il 1969 scrisse trenta romanzi, di cui diciassette pubblicati prima della sua morte, oltre a una mole non indifferente di poesie e di altri scritti. Lavori concepiti come parte di un progetto d'insieme, sia per il disegno unitario che sottendeva le loro tematiche sia nella prospettiva della concettualizzazione del romanzo in quanto forma. La bella edizione nei "Meridiani" Mondadori a cura di Mario Corona di cinque romanzi kerouachiani, corredati da scritti brevi di varia natura, si prova innanzitutto a ricollocare sul versante della letteratura, intesa come scrittura, specificità di stile e articolazione di motivi, l'opera di Kerouac nel suo complesso.

Prescindendo dai clamori "generazionali" che continuano a fare da contorno a On the Road (romanzo che peraltro figura - giustamente - come prima delle opere presentate) l'edizione mira primariamente, nei densi saggi introduttivi e nelle attente note ai testi, a recuperare Kerouac alla tradizione dominante della letteratura americana, i cui motivi canonici corrono profondi nelle vene delle sue opera: dal trascendentalismo, che lo lega a una lunga tradizione che parte da Emerson e Melville, al regionalismo di Twain, allo sperimentalismo di Faulkner, al vitalismo di Hemingway. Kerouac ci viene restituito dunque non tanto come il re dei ribelli d'America, quanto piuttosto come il fine letterato pienamente partecipe al mainstream della cultura americana, mosso delle stesse ambizioni dei grandi che lo hanno preceduto: la ricerca di autonomia dalla tradizione europea e di una voce autenticamente propria, l'inseguimento della propria eccezionalità, la costante ambivalenza tra aspirazioni urbane e aneliti di vita migliore nella natura e, last but not least, il tentativo di condurre in porto il "grande romanzo americano".

I romanzi presentati nel volume coprono un arco compositivo che va dal 1947 al 1961 (quello indubbiamente di maggiore creatività) e ben rappresentano i due volti della narrativa kerouachiana. Da un lato, opere-resoconto di viaggi attraverso l'America (ma anche Messico, Canada, Nordafrica ed Europa): On the Road, The Dharma Bums (1958) e Desolation Angels (???), tutte storie di viaggi visti dalla prospettiva dell'universo umano che ne è protagonista e che si rincorre, malgrado l'uso di pseudonimi imposto dagli editori, attraverso tutta la sua produzione narrativa (molto utile, a questo proposito, la mappa dei nomi fornita in appendice a questa edizione). Dall'altro lato, scritti più introspettivo-contemplativi, frutto di periodi di stanzialità urbana (The Subterraneans, 1958) o auto-isolamento nella wilderness dell'Ovest americano (Big Sur, 1962), in cui si dipanano i grandi temi trascendentalisti della fiducia in sé e del rapporto con la natura e con la modernità.

Dal punto di vista linguistico e stilistico, questi Romanzi rivelano un Kerouac meno sperimentale ed estremo rispetto a opere quali Visions of Cody (???) o Doctor Sax (???), ma proprio questa scelta (cito dalla nota all'edizione del curatore) "classico-conservatrice" che ne privilegia "la narratività e la (relativa) accessibilità linguistica" dimostra la complessità della tecnica e delle soluzioni narrative kerouachiane che pongono più volte i traduttori - bravi, ma con qualche necessario distinguo - di fronte a difficoltà di resa sostanzialmente insuperabili.

Non abbiamo qui lo spazio per entrare nei dettagli della tecnica compositiva di Kerouac, tutta fondata - coerentemente con la sua visione hipster dell'esistenza - sul tentativo di restituire alla scrittura la spontaneità del vissuto e l'immediatezza dell'esperienza, attraverso un procedere rapsodico ma al contempo controllatissimo. È tipico di Kerouac il cercare di conciliare conscio e inconscio attraverso una prosa che egli definiva "l'unica possibile letteratura del futuro", un prosa moderna fatta di "ondate spontanee e prive di revisioni, rapide, mozzafiato, come il jazz". Ciò si traduceva da punto di vista formale in esperimenti compositivi d'avanguardia pura: la scrittura di getto (la stesura di On the Road che andrà alle stampe venne scritta in sette giorni, The Subterraneans fu completato in "tre notti di luna piena coadiuvate da benzedrina", tanto per fare degli esempi); la ricerca dei suoni e delle inflessioni dell'oralità nelle pieghe della scrittura (dopo Twain, Kerouac è nella tradizione americana tra gli scrittori che più si sono sforzati di piegare la scrittura alla lingua parlata); fino - e soprattutto nei lavori più sperimentali - alla dissoluzione della sintassi e delle regole formali della composizione narrativa.

Fedele alla sua ambizione eccezionalista, Kerouac concepiva le sue opere "come quelle di Proust", e cioè "un unico grande libro, salvo che i miei ricordi sono scritti strada facendo e non a posteriori in un letto d'infermo". Un libro rigorosamente autobiografico, in cui i tanti romanzi che lo compongono costituiscono idealmente i capitoli di un'unica opera che Kerouac si diceva intenzionato in vecchiaia a raccogliere e uniformare sotto il titolo de La leggenda di Duluoz, "un'immane commedia vista attraverso gli occhi del povero Ti Jean (io), altrimenti noto come Jack Duluoz, il mondo dell'azione furibonda, della follia e anche della tenerezza visto attraverso il buco della serratura del suo occhio".

Per quanto gli esiti risultino in fondo lontani dall'unitarietà della Recherche proustiana, Kerouac rimane scrittore di grande talento che lascia dietro di sé un corpus letterario di indubbio rilievo. Possedeva quell'alchemica combinazione di qualità che fanno grande uno scrittore; aveva uno straordinario talento e una innata predisposizione per la letteratura, che gli consentì tra le altre cose di produrre di getto, in un settimana, una delle opere letterarie di maggior rilievo del Novecento. Questa nuova edizione italiana ce lo restituisce in una dimensione letteraria compiuta, di cui solo nell'ultimo decennio si è incominciato da parte dei critici a prendere piena e unanime consapevolezza.

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Jack Kerouac

1922, Lowell, Massachusetts

Interrotti gli studi universitari, vagabondò per gli Stati Uniti esercitando disparati mestieri – marinaio, frenatore ferroviario, guardia forestale – sulle tracce degli scrittori che amava: J. London, E. Hemingway, Th. Wolfe. Intorno al 1950, conosciuti W.S. Burroughs e A. Ginsberg, praticò con loro, a New York e a San Francisco, quello che divenne il modello di vita della «beat generation»: il nomadismo, il rifiuto dell’opulenza americana, la ricerca di nuove dimensioni visionarie nella droga. Queste esperienze sono descritte nel romanzo Sulla strada (1957), che divenne, per la generazione di Kerouac, una sorta di manifesto, e che resta forse la sua opera più riuscita sia per la novità stilistica (il tentativo di creare una prosa...

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