Che cosa rimane del genocidio rwandese dopo vent'anni? La risposta che emerge dal fitto dialogo tra Daniele Scaglione, all'epoca dirigente di Amnesty International, e Françoise Kankindi, giovane tutsi che nel 1994 studiava in Italia mentre la sua famiglia si trovava in Burundi, è duplice: la conoscenza e la consapevolezza di quel crimine e dei diversi livelli di responsabilità sono ancora assai deboli, ma oggi esiste una molteplicità di strumenti, di ricerche storiche e di narrazioni pubbliche che non lascia alcuno spazio all'ignoranza e all'indifferenza. Sotto questo profilo, la cattiva memoria dell'Occidente, al pari della sua pessima coscienza, costituisce l'aspetto più appariscente. Le classi dirigenti che nel 1994, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, tacquero (pur conoscendo con quali modalità il genocidio veniva perpetrato) o furono persino complici, come nel caso francese, hanno fatto carriera oppure hanno versato inutili lacrime nei luoghi dei massacri o sulle ribalte pubbliche, salvo poi dimostrare la stessa indifferenza nei tempi più recenti, per esempio nei confronti della Siria o del Darfur. Le politiche pubbliche della memoria non hanno quasi mai, nei diversi paesi, inscritto il genocidio rwandese nel proprio calendario civile o perlomeno in una storia dei crimini dell'umanità del Novecento, quasi che la storia africana rappresenti un altrove che non ci riguarda ("un genocidio in Africa non è importante" dichiarò Mitterand nel 1994) in termini né di responsabilità né di vicenda collettiva. L'unica voce controcorrente, quella del generale Romeo Dallaire, che comandava i caschi blu dell'Onu e che chiese inutilmente di intervenire all'allora segretario generale dell'Onu Boutros-Ghali, è rimasta isolata e il suo fondamentale resoconto della vicenda Shake Hands with the Devil. The Failure of Humanity in Rwuanda (Da Capo Press, 2004) non è mai stato tradotto, per esempio, in Italia. Il dialogo tra i due autori fa poi emergere il progressivo ramificarsi, nel corso dei vent'anni successivi, di resoconti storici, memorie, opere teatrali, fumetti, film, iniziative pubbliche che hanno costruito un insieme prezioso di strumenti a disposizione di chiunque voglia conoscere cosa è accaduto. Così, se nella prima parte del volume, i temi di discussione proposti da Scaglione si trasformano, nelle parole di Kankindi, in una sorta di racconto del genocidio rwandese, intrecciato continuamente con puntualizzazioni storiche ed etiche sulle colpe dell'Occidente; nella seconda gli autori ci introducono nella significativa produzione storiografica, memorialistica, letteraria e cinematografica sull'argomento. In questo modo il libro si caratterizza come efficace sintesi del passato e del presente, il cui punto di collegamento dovrebbe essere il monito finale di Kandinki: "Vent'anni di cattiva memoria sono troppi, ora basta". Bruno Maida
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