Scherzetto
Domenico Starnone
- EAN: 9788806232351
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Recensioni dei clienti
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Un contrasto profondo tra il nonno e, apparentemente, il suo nipotino. In realta, a mio avviso una guerra feroce tra il nonno e se stesso; tra il tempo andato e quello attuale, tra la capacità di esprimersi con l'arte e la consapevolezza di non esserne più in grado. La lunghissima catartica scena del balcone è angosciante e coinvolgente. Dopo tanta tensione, in effetti, il finale, sembra un po' troppo "trascurato", messo giù in fretta. D'altronde, il fulcro della storia è altrove...
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Letto forse troppo velocemente, ma sinceramente non mi è piaciuto molto... di solito mi immedesimo nel protagonista, ma questo è affetto da un ego debordante; tutto il libro è autoreferenziale, le scuse e il capo cosparso di cenere aggiunti in appendice non mi sono sembrati sufficienti a rivalutare la figura di questo nonno. Peccato!
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Mi è piaciuto, molto scorrevole. Una storia molto vicino alla realtà. Rapporto nonno/nipote stupendo e bellissime le parole di Saverio per definire la gelosia, commoventi. Unica nota stonata, non ho capito bene l' appendice finale... forse per mia incapacità . Senza dubbio consigliato
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Mi è piaciuto, scorre via bene, anche se devo ammettere che l'episodio clou della storia mi è sembrato un po' forzato. Anche il finale poteva essere migliore, mi è parso troppo frettoloso, l'autore poteva dilungarsi un po' di più e raccontare il ritorno dei genitori del piccolo Mario. Non capisco invece il senso dell'appendice finale; erano pezzi eliminati dal romanzo o sono stati messi lì apposta come una sorta di diario? In ogni caso non aggiungono niente alla storia; i disegni poi non mi sono piaciuti, la mia immaginazione aveva prodotto di meglio.
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Preferisco il dolcetto! Scrittura filante per storie di ordinaria malinconia famigliare; troppo ordinaria, a dire il vero. Due stelle giusto per la simpatia che nutro per Starnone, ma da 'Autobiografia erotica di Aristide Gambìa' ('Lacci' compreso), il vuoto.
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lettura godibilissima, anche se con qualche leziosità di troppo e un finale di maniera.

Quello che Starnone ?ci offre è uno scherzetto? adulto: un testo relativamente breve ma co?struito con grande padronanza dei mezzi, dalla struttura complessiva ottimamente calibrata al passo svelto e coinvolgente, ottenuto soprattutto grazie a un abile uso del dialogo. E tutt’altro che leggeri sono gli argomenti che tocca: la possibilità di costruire sé stessi e la quota di destino; l’ereditarietà e la libertà del volere (…); il senso di una vita dedicata all’arte (…). E naturalmente i momenti-limite dell’esistenza: la vecchiaia e l’infanzia, visto che il protagonista e voce narrante è un artista settantacinquenne, che vive da solo a Milano dopo la morte della moglie, chiamato dall’unica figlia a tornare a Napoli, per rimanere alcuni giorni col nipote di quattro anni. Si sente vecchio ed è in ritardo con un lavoro da finire: le illustrazioni per un racconto di Henry James del 1907, The Jolly Corner, che fin dal dialogo iniziale che innesca il ritorno viene presentato così: “un tale torna in una sua vecchia casa di new York e lì trova un fantasma, cioè lui stesso come sarebbe stato se fosse diventato un uomo d’affari”.
La domanda che assilla il protagonista di James, in effetti, è: se fossi rimasto, cosa sarebbe stato di me, cosa avrebbe fatto di me questa città? Sono esattamente i temi del racconto di Starnone. La riflessione su chi diventare (…), su chi si è diventati, su chi si sarebbe potuto essere (…). I fantasmi sono quindi anche quelli del proprio lavoro, della vocazione di una vita; sono anche in questo senso apparizioni labili di quanto poteva essere ma non è stato. Il rapporto tra nonno e nipote si rivela difficile, per l’inscindibile commistione di vicinanza e fastidio, (…) complicità e aggressività, in uno spazio pieno di ricordi involontari e di pericoli presenti, legati alla debolezza della vecchiaia. (…). Il ritorno nella casa dell’infanzia è scontro con i fantasmi dei possibili sé che il protagonista ha annullato diventando artista; e pure con quelli dei genitori (…).
Nel suono del dialetto – che Starnone modella seguendo la sua vocazione alla resa del suono con contratti segni di quei suoni veloci, contundenti (“chilluscassacàzz”) – ritrova insieme la violenza e la cura. L’io quasi-autobiografico di Starnone non rifiuta con orrore i propri possibili sé, ma riesce in qualche modo ad accoglierli. (…).
Recensione di Davide Dalmas
6 recensioni