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scheda di Roccato, P., L'Indice 1993, n.11
E se lo psicoterapeuta s'innamora davvero della propria paziente (o, che è lo stesso, la psicoterapeuta del proprio paziente) e cede all'impulso amoroso, intrattenendo rapporti sessuali concreti? Accade? E accade molto o poco frequentemente? E perché succede? E che succede poi ai due partner? Possono venirne a capo? E come? La pratica psicoterapica si fonda su una relazione che, fondamentalmente, è una relazione amorosa basata sull'astinenza, condizione necessaria per la mentalizzazione degli accadimenti relazionali. Ma con una frequenza superiore a ciò che si immagini (dal 6,4 al 10 per cento negli Stati Uniti), l'astinenza viene infranta, e fin dagli albori della psicoanalisi, a partire da Breuer che fugge di fronte all'amore di Bertha Pappenheim (la "Anna O." degli "Studi sull'isteria"), vi è sempre stata grande reticenza fra gli addetti ai lavori a trattare della questione, tanto che il grave ritardo con cui si iniziò a studiare il controtransfert (oggi ritenuto dai più lo strumento principe per la comprensione del paziente) può essere collegato alla paura di affrontare il desiderio amoroso del terapeuta. Desiderio che fu concretamente agito anche da personaggi illustri, quali Jung, Ferenczi, Aichorn, Jones, Groddeck, Rank, Steckel, Tausk, Reich, Allendy, Radò, Hartmann, Frieda Reichmann che sposerà il proprio paziente Erich Fromm. Gli autori intendono rompere la reticenza e aprire la discussione, patrocinando l'abbandono della paura di pensare l'amore del terapeuta, che deve sentirsi libero di sperimentare fino in fondo anche il desiderio, pur senza agirlo.
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