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1956 - Festival di Cannes - Grand Prix Speciale della Giuria
Oggi l'uomo ha scelto di ignorare il mistero della morte: essa è taciuta, occultata, di essa non si deve parlare, quasi fosse tabù; oggi non diciamo più "morto", ma "scomparso", Il rifiuto collettivo della nostra fragilità e del dolore (sul tema si legga per esempio il filosofo Byung Chul-Han) è una peculiarità del nostro tempo. Eppure, affermava il filosofo Franz Rosenzweig, "Dalla morte, dal timore della morte, prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto". Bergman è convinto di ciò e propone allo spettatore una profonda riflessione sull'argomento. Il film prende il titolo dall'emblematica citazione con cui inizia: l'Apocalisse di S. Giovanni (8, 1-2) e si capisce sin da subito che il regista pone il Cristianesimo al centro della narrazione. A tal riguardo è significativo che la storia sia ambientata durante il Medioevo, epoca in cui la presenza di Dio è ubiquitaria e senza il quale tutto diverrebbe incomprensibile. I dialoghi sono di grande attualità ed il cavaliere Block è il modello dell' odierno uomo occidentale, un agnostico alla ricerca continua di Dio: "Vorrei confessarmi - egli dice - ma non ne sono capace; perché il mio cuore è vuoto ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei riconoscibili simili. Vi scorgo immagini da incubo, nate dai miei sogni e dalle mie fantasie". Gli risponde la Morte: "Non credi che sarebbe meglio morire?" - e Block di rimando - "E' vero". In poche parole troviamo espressa la nietzschiana "morte di Dio" in tutta la sua drammaticità e disperazione; l'uomo è inghiottito dal dubbio. Dunque, cosa gli resta? Bergman ce lo spiega per bocca dello scudiero: "Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo, l'amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione". Personalmente non condivido il pensiero nichilista del regista, ma giudico questo film un vero capolavoro.
Film capolavoro sul confronto con la morte, “I settimo sigillo”, è semplicemente uno dei più bei film di tutti i tempi. A lungo considerato dalla critica solo ed esclusivamente come un grande drammaturgo e sceneggiatore, in realtà Ingmar Bergman è stato anche un grande creatore di forme cinematografiche, come dimostra in questo film, e ciò lo rende uno dei maestri più completi della settima Arte. Fotografia in bianco e nero superba (basterebbe la prima scena, con il cavaliere e la Morte che giocano a scacchi sulla spiaggia, per capire anche la grandezza visiva di Bergman) ed un’interpretazione da storia del cinema di Max Von Sydow. Chiaramente la sceneggiatura e i dialoghi sono di un certo spessore e di una certa profondità, così come la narrazione che può risultare lenta ai più, ma penso sia inutile dire che ovviamente non ci troviamo di fronte ad un film d’intrattenimento, ma ad un film d’autore di un certo spessore estetico-filosofico
Grande cult per un film immortale. Da avere assolutamente.
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