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Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere
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Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere - Antonio Tabucchi - copertina
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Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere

Descrizione


Ora con tenerezza, ora con sensualità, nostalgia, rimpianto, struggimento, rancore, ferocia o delirio, diciassette personaggi maschili attraverso diciassette lettere ad altrettante figure femminili, tessono i fili di una trama narrativa fatta di cerchi concentrici che paiono allargarsi nel nulla, povere voci monologanti forse avide di una risposta che non potrà mai venire. Ad esse risponde infine, raccogliendo le diverse vicende in un romanzo epistolare polifonico, una voce femminile distante, implacabile e allo stesso tempo colma di pena per loro. L'insieme è un percorso tra le passioni umane dove l'amore è l'illusorio punto centrale, in realtà punto di fuga che conduce verso le zone più oscure dell'animo.
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Dettagli

7
2016
Tascabile
23 giugno 2016
228 p., Brossura
9788807887987
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Indice


Le prime frasi

Un biglietto in mezzo al mare

Mia Cara,

credo che il diametro di quest'isola non superi i cinquanta chilometri, al massimo. C'è una strada costiera che la gira tutta in tondo, stretta, spesso a picco sul mare, altrimenti pianeggiando in coste brulle che scendono a solitarie spiaggette di ghiaia orlate di tamerici bruciate dal salino, e in alcune a volte mi fermo. Da una di queste ti parlo, a bassa voce, perché il meriggio e il mare e questa luce bianca ti hanno fatto chiudere le palpebre, stesa qui accanto a me, vedo il tuo seno che si solleva al ritmo pausato della respirazione di chi sta dormendo e non voglio svegliarti. Come piacerebbe questo luogo a certi poeti che conosciamo, perché è così scabro, essenziale, fatto di pietre, montagnole brulle, spini, capre. Mi è perfino venuto a pensare che quest'isola non esista, e di averla trovata solo perché la stavo immaginando. Non è un luogo, è un buco: intendo della rete. C'è una rete nella quale pare sia ormai impossibile non essere catturati, ed è una rete a strascico. In questa rete io insisto a cercare buchi. Ora mi pareva quasi di aver sentito la tua risatina ironica: "E dàgli, ci risiamo!". E invece no: hai le palpebre chiuse e non ti sei mossa. Me lo sono solo immaginato. Che ore saranno? Non ho portato l'orologio, che del resto qui è del tutto superfluo. Ma ti stavo descrivendo questo luogo. La prima cosa a cui fa pensare è a com'è troppo il troppo che il nostro tempo ci offre, almeno a noi che per fortuna stiamo dalla parte migliore. Invece guarda le capre: sopravvivono con niente, mangiano anche i pruni e leccano perfino il sale. Quanto più le guardo, più mi piacciono, le capre. Su questa spiaggetta ce n'è sette o otto che si aggirano fra i sassi, senza pastore, probabilmente appartengono ai proprietari della casetta dove mi sono fermato a mezzogiorno. C'è una specie di caffè sotto un'incannicciata dove si possono mangiare olive, formaggio e melone. La vecchietta che mi ha servito è sorda e ho dovuto gridare per chiedere queste poche cose, mi ha detto che suo marito arrivava subito, ma suo marito non l'ho visto, forse è una sua fantasia, oppure ho capito male. Il formaggio lo fa lei con le sue mani, mi ha portato nel cortile di casa, uno spiazzo polveroso circondato da un muro a secco pieno di cardi dove c'è l'ovile delle caprette. Le ho fatto un segno con la mano a falce, come per significare che dovrebbe tagliare i cardi che bucano e nei quali si inciampa. Lei mi ha risposto con un segno identico, ma più deciso. Chissà cosa voleva dire con quella mano che tagliava l'aria come una lama. Accanto alle stalle il casale si prolunga in una specie di cantina scavata nella roccia dove lei fabbrica il suo formaggio, che è poco più di una ricotta salata fatta stagionare al buio, con una crosta rossastra di peperoncino. Il suo laboratorio è una stanza scavata nella pietra, freschina, direi gelida. C'è uno scrematoio di granito dove lascia cagliare il latte e un mastello dove lavora il siero, su una tavola rugosa e inclinata sulla quale impasta il caglio come se fossero dei panni su un lavatoio, strizzandolo perché ne esca tutta l'acqua; e poi lo infila in due forme dove esso rassoda, sono forme di legno che si aprono e si chiudono a morsa, una è rotonda, e questo è normale, mentre l'altra ha la figura di un asso di picche, o almeno a me è sembrato così, perché ricorda il seme delle nostre carte da gioco. Ho comprato una forma di formaggio e avrei voluto quella fatta come l'asso di picche, ma la vecchia me l'ha rifiutata e mi sono dovuto accontentare di quella rotonda. Le ho chiesto una spiegazione e ne ho cavato dei mugugni sgraziati e gutturali, quasi stridenti, accompagnati da gesti indecifrabili: si circondava la circonferenza del ventre e si toccava il cuore. Chissà: forse voleva significare che quel tipo di formaggio è riservato solo a certe cerimonie essenziali alla vita: la nascita, la morte. Ma come ti dicevo, forse è solo l'interpretazione della mia fantasia che di sovente galoppa, come sai. Ad ogni modo il formaggio è squisito, fra queste due fette di pane scuro che sto mangiando dopo avervi versato un filo d'olio d'oliva, che qui non manca, e qualche foglia di timo che condisce ogni piatto, dal pesce al coniglio selvatico. Avrei voluto chiederti se anche tu avevi appetito: guarda, è squisito, ti ho detto, è una cosa irripetibile, fra un po' sarà sparito anche lui nella rete che ci sta avvolgendo, per questo formaggio non ci sono buchi né vie d'uscita, approfittane. Ma non volevo disturbarti, era così bello il tuo sonno, e così giusto, e ho taciuto. Ho visto passare un bastimento in lontananza e ho pensato alla parola che ti stavo scrivendo: bastimento. Ho visto passare un bastimento carico di?... Indovina.
Sono entrato nel mare piano piano con una sensazione panica, come il luogo richiedeva. Mentre entravo nell'acqua, con i sensi già disposti a ciò che il sole meridiano e l'azzurro e il sale marino e la solitudine suscitano in un uomo, ho sentito una tua risatina ironica dietro le spalle. Ho preferito ignorarla e sono avanzato nell'acqua fino a quasi l'ombelico, quella stupida fa finta di dormire, ho pensato, e mi prende in giro. Come per sfida sono andato avanti, e sempre per sfida, ma anche per farti uno sberleffo, mi sono girato di scatto esibendomi nella mia nudità. Oplà!, ho gridato. Non ti sei mossa di un millimetro, ma la tua voce mi è giunta chiarissima e soprattutto il tono, che era sardonico. Bravo, complimenti, sembri ancora in forma!, ma la Spiaggia del Miele era vent'anni fa, è passato un po' di tempo, attento a non fare un buco nell'acqua! La frase era piuttosto velenosa, devi ammetterlo, indirizzata a qualcuno che entrava nel mare giocando a fare il maturo fauno, mi sono guardato, e ho guardato l'azzurro intorno a me e mai metafora mi è parsa più appropriata, e il senso del ridicolo mi ha colto, e con esso uno stupore, come un disorientamento, e una specie di vergogna, cosicché mi sono portato le mani davanti per coprirmi, insensatamente, visto che di fronte a me non c'era nessuno, soltanto mare e cielo e nient'altro. E tu eri lontana, immobile sulla spiaggia, troppo lontana per avermi bisbigliato quella frase. Sto sentendo voci, ho pensato, è un'allucinazione sonora. E per un attimo mi sono sentito paralizzato, con un sudore gelido sul collo, e l'acqua mi è sembrata di cemento come se vi fossi restato imprigionato e vi dovessi soffocare murato per sempre, come una libellula fossile rimasta in un blocco di quarzo. E a stento, passo dopo passo, senza voltarmi all'indietro, ho cercato di evadere dal panico che ora mi aveva colto davvero, quel panico che fa perdere i punti cardinali, sono arretrato fino alla spiaggia dove almeno sapevo che comunque c'eri tu come punto di riferimento, quel sicuro punto di riferimento che mi hai sempre dato, stesa su un asciugamano accanto al mio.

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Giuliana M.
Recensioni: 5/5

Parole chiave: nostalgia, rimorsi, malinconia. Leitmotiv: panta rei, insensatezza dell'esistenza, anacronia, amori infelici. Libro meraviglioso. Sicuramente non per tutti, ma per chi ama le "tematiche" sopra menzionate, sicuramente un piccolo gioiello da recuperare. A mio parere, addirittura meglio del suo capolavoro più conosciuto e acclamato "Sostiene Pereira".

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AdrianaT.
Recensioni: 3/5

È facile perdere il filo, con questo Tabucchi. Sono lettere relativamente brevi, eppure, anche solo dopo dieci righe dall'esordio di ognuna, ti ritrovi a pensare ad altro. Allora torni 'ndrè e con maggiore concentrazione riprendi da dove il tuo pensiero aveva biforcato. 'Fatica' doppia, sí, ma allora capita che ti imbatti in frasi come questa: «Lo so che sto facendo un volo pindarico, e che tutto questo non ha logica, ma certe cose, lo sai, non seguono nessuna logica, o almeno una logica che sia comprensibile per noi che siamo sempre alla ricerca della stessa logica: causa effetto, causa effetto, causa effetto, solo per dare un senso a ciò che è privo di senso. È per questo, come direbbe il mio amico, che hanno scelto il silenzio le persone che nella vita in un modo o nell'altro hanno scelto il silenzio: perché hanno intuito che parlare, e soprattutto scrivere, è sempre un modo di venire a patti con la mancanza di senso della vita.» È uno zibaldone di registri e di pensieri; dal poetico al delirante, dal delicato e lineare all'ostico. In fin dei conti sono solo storie, belle o non belle che siano, scritte non necessariamente per essere lette, ma se capita di farlo, qualcosa di impalpabilmente bello lasciano.

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Julio
Recensioni: 5/5

Antonio Tabucchi ci manca. Per la sua scrittura gentile e profonda. In questo libro tocca temi molto importanti con delicatezza e intensità, con la grazie e l'asciuttezza del grandissimo scrittore.

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La recensione di IBS


«Però può succedere che il senso della vita di qualcuno sia quello, insensato, di cercare delle voci scomparse, e magari un giorno di crederle di trovarle, un giorno che non aspettava più, una sera che è stanco, e vecchio, e suona sotto la luna, e raccoglie tutte le voci che vengono dalla sabbia.»

«La lettera è un equivoco messaggero», dice Tabucchi nel suo Post scriptum, e le diciotto lettere da cui è composto quest'ultimo romanzo (il sottotitolo è in questo senso esplicativo Romanzo in forma di lettere) rappresentano l'ambiguità del vivere e dell'amare in ogni sua forma e manifestazione. Le parole, strumenti essenziali della comunicazione letteraria, sono qui magistralmente utilizzate, con tutto il potere descrittivo ed evocativo che possiedono: rimandi, allusioni, citazioni, salti logici e parlato quotidiano, strofe di canzoni, modi di dire, linguaggio alto e aulico. Prova d'autore, quindi? No, in Tabucchi la discrezione e il silenzio costituiscono una componente importante della scrittura, così come della personalità, scevra da ogni attrazione per il circo mediatico che intorno agli scrittori si è affermato negli ultimi anni. Lettere d'amore: lo dichiara lui stesso e lo esplicitano le diverse dediche delle missive. Ma ugualmente lettere di solitudine e di lontananza, non nella formula dell'"amore lontano" di provenzale memoria, ma nella scelta di porre sia il ricordo di qualcosa di concluso, sia l'immaginazione per qualcosa di mai vissuto, al servizio di un'indagine sui sentimenti. «La memoria rievoca il vissuto, è precisa, esatta, implacabile, ma non produce niente di nuovo: è questo il suo limite. L'immaginazione invece, non può evocare niente, perché non può ricordare, ed è questo il suo limite: ma in compenso produce il nuovo, un qualcosa che prima non c'era, che non c'è mai stato.» Ciò che ha suggerito all'autore le varie tematiche delle lettere (scritte diciassette da uomini e solo una, l'ultima, da una donna) sono stati incontri, letture, episodi marginali della vita e spesso questi "suggerimenti" vengono esplicitati, altre volte l'allusione è più oscura, ma sempre risulta chiara la fonte: è il malessere del vivere, la difficoltà a realizzare nel presente i propri desideri. Per questo è il passato, reale o sognato, ad essere protagonista. L'abbandono, subito o attuato, la separazione dall'amata nata da una frattura (un tradimento, un rifiuto) o dal caso, più spesso appaiono invece dipendere dall'assenza definitiva dell'oggetto amoroso, cioè dalla morte, anzi dal suicidio della donna. Chi scrive non si chiede il perché del gesto, ne osserva invece le conseguenze su di sé: l'incompiutezza del sentimento, la fine irrevocabile del dialogo, l'impossibilità di riannodare un discorso interrotto.

Spesso c'è il rimpianto di aver rinunciato alla banale, ma rassicurante normalità che sa soddisfare tanti altri uomini, ma a questo si contrappone l'orgoglio della propria memoria, della propria unicità, e della capacità di vivere la quotidianità "come se" si fosse come gli altri, sapendosi diversi. L'orgoglio dell'intelligenza è, forse, l'orgoglio di saper usare le parole con maestria; proprio per questo è possibile ritrovare frasi del linguaggio comune, crude, intime, oppure frasi in francese, espressioni inglesi, termini tecnici o versi di canzoni, ma non si modifica il tono generale che resta alto.

La prima lettera, perfetta, indimenticabile nell'equilibrio tra descrizione reale e ambiguità del simbolo, avvia alla lettura di tutte le altre (voci diverse di un'unica vita?) e accenna a temi che altrove vengono pienamente sviluppati. Uno di questi mi sembra particolarmente interessante (con parola brutta, ma esplicita, si potrebbe dire "intrigante"): i ricordi più intensi e veri sono di ciò che non è stato. "Amore mio, ti ricordi quando non siamo andati a Samarcanda?": i sogni che più uniscono due persone sono quelli che non sono stati attuati, ma restano un segreto che non sarà mai condiviso con altri.

Tabucchi non sembra cercare nessun facile consenso, e in questo sta la sua grandezza ("preferisco di no" dice un suo personaggio) di certo l'autore preferisce non accarezzare né le orecchie di chi aristocraticamente cerca una letteratura d'élite, né di chi cerca nelle proprie letture una qualche forma di evasione e consolazione.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Antonio Tabucchi

1943, Pisa

Scrittore italiano, autore di romanzi, racconti, saggi, testi teatrali. Considerato una delle voci più rappresentative della letteratura europea, i suoi testi sono tradotti in tutto il mondo. «Tabucchi ci ha raccontato – come lui nessuno – quando il mondo accelera o decelera, quando il mondo si stanca.» Alberto RolloDurante gli anni dell'università viaggia per tutta Europa sulle tracce degli autori conosciuti attraverso la biblioteca dello zio materno. In uno di questi viaggi, a Parigi, trova su una bancarella, firmato con il nome di Álvaro de Campos, uno degli eteronimi del poeta portoghese Fernando Pessoa, il poema "Tabacaria", nella traduzione francese di Pierre Hourcade. Da allora Pessoa sarà per più...

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