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Il significato dell'esistenza umana - Edward O. Wilson - copertina
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Il significato dell'esistenza umana
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Il significato dell'esistenza umana - Edward O. Wilson - copertina
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Descrizione


Uno dei maggiori biologi viventi affronta le domande più ambiziose che l'uomo, unica specie animale capace di riflettere su di sé e sul senso della propria vita, si pone da sempre. Oggi, ci dice Edward Wilson, gli enormi progressi fatti dalla scienza ci offrono gli strumenti concettuali per inquadrare in un discorso credibile fenomeni come la religione, la fede in un'entità sovrannaturale, l'idea di una finalità e la presenza di altre forme di vita nell'universo. La spiegazione di tutti questi aspetti, che rimandano al più generale significato dell'esistenza umana, secondo Wilson risiede nella storia biologica ed evolutiva dell'uomo: quell'epopea, cominciata con i primi passi mossi da Homo Sapiens nell'Africa orientale duecentomila anni fa, in grado di gettare luce sul motivo per cui su questo pianeta esiste una specie come la nostra.
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Dettagli

2015
15 gennaio 2015
170 p., Brossura
9788875785079

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alida airaghi
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L'autore spiega con ironia e chiarezza divulgativa le origini della nostra specie e indica come sia possibile riprogettarla per renderla migliore, fisicamente e intellettualmente. Secondo Wilson lo sviluppo della storia umana non è stato determinato da un disegno soprannaturale, bensì dal dispiegarsi di un comportamento naturale, molto raro nel mondo vivente (riguarda solo venti specie), che viene definito "eusocialità", e che ha avuto origine con la comparsa dell'Homo habilis, due milioni di anni fa. In cosa consiste l'eusocialità? Si tratta di una forma avanzata di comportamento sociale esistente solo tra alcuni insetti e crostacei marini, in due famiglie di ratti-talpa, e appunto nell'uomo: riguarda la capacità di collaborare nell'allevamento dei piccoli e nella divisione del lavoro. Il passo iniziale per creare una colonia eusociale fu la costruzione di un nido protetto per difendere la prole, quindi la divisione tra foraggiatori disposti a uscire dal nido per procacciare cibo, da una parte, e riproduttori e nutrici destinati alla protezione e alla cura dei figli, dall'altra. Con questa scelta altruistica e cooperativa, ebbe inizio lo sviluppo mentale (favorito dall'istituzione degli accampamenti, dalla caccia e dalla nutrizione carnivora) che portò il cervello a svilupparsi dai 600 cc delle scimmie antropomorfe ai 1400 cc dell'Homo sapiens. Wilson dedica pagine avvincenti al mondo degli insetti, alla loro rigida ma collaborativa struttura sociale; e poi a tutte le forme di vita presenti nella biosfera, dai batteri fino alla probabile ma indimostrata esistenza degli alieni. Per concludere che l'essere umano, con le sue contraddizioni e manchevolezze, è comunque il più evoluto tra le cento milioni di specie esistenti sulla terra: e solo sulla terra può raggiungere e mantenere la sua immortalità, fatta di una particolare e sensibilissima predisposizione culturale verso la conoscenza, la bellezza, l'arte, il progresso tecnico e scientifico.

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Voce della critica

  Qualche riferimento alle proprie personali esperienze e un paio di gustosi aneddoti attinti ai ricordi della propria vita non guastano in un saggio ed è abbastanza scontato aspettarseli se l'autore ha una lunga vita alle spalle. Niente di male, quindi, se Wilson accenna alle sue fobie, le involontarie concessioni all'irrazionale contro le quali sente di non poter combattere. E dobbiamo anche accettare che ci parli estesamente di formiche, non solo perché al loro studio ha dedicato buona parte della sua lunga attività scientifica, ma anche, o soprattutto, perché è dallo studio di questi insetti sociali che è emerso il suo più generale interesse per le comunità animali, sulle quali ha costruito un intero programma di ricerca, complesso e molto dibattuto, quello della sociobiologia. Dall'ormai lontano 1975, l'anno in cui uscì il suo grosso volume intitolato appunto Sociobiology, il pensiero di Wilson si è progressivamente sviluppato, accompagnando il suo crescente interesse per la specie umana testimoniato da diversi saggi, fino a quest'ultimo sul significato dell'esistenza umana, uscito in America lo scorso anno e disponibile da qualche mese anche nella nitida traduzione italiana di Isabella C. Blum. Dell'impianto originario della sociobiologia, peraltro, Wilson ha conservato due colonne portanti: una visione gene-centrica della struttura corporea degli animali, uomo compreso, e la convinzione che, oltre alla genetica, tutto ciò che c'è di importante, per interpretare anche i più complessi comportamenti degli animali sociali, sia una dose adeguata di neurobiologia. Ne deriva un sostanziale riduzionismo che nel saggio qui recensito tocca il suo punto estremo nell'affermazione che il desiderio di odissee e avventure in luoghi remoti è scritto nei nostri geni: un'espressione, quest'ultima, che siamo purtroppo abituati a sentire nella pubblicità di ogni giorno e che nel 2007 fu fatta propria dall'allora vicepresidente del Cnr. Ma non è che un inciso, per fortuna. La visione di Wilson è ricca di ottimismo. Dalle sue pagine emerge il quadro di un'umanità che, a dispetto dei suoi molti problemi e dei suoi molti errori, è sostanzialmente ben adattata a vivere sulla terra. Se arrivassero degli extraterrestri, afferma, non dovremmo preoccuparci troppo, perché da un confronto con l'umanità i primi a perire sarebbero proprio gli alieni. Una visione, questa, che contrasta singolarmente con gli scenari potentemente tratteggiati da Jared Diamond in Armi, acciaio e malattie, dove il confronto fra umani appartenenti a civiltà diverse, nel corso dei secoli, ha visto quasi sempre il prevalere degli invasori. Soffermiamoci un attimo sulle pagine in cui l'autore ci presenta il suo ritratto di E.T. L'esercizio intellettuale necessario per costruire degli extraterrestri dotati di proprietà fisiche e biologiche plausibili corrisponde, naturalmente, a uno sforzo parallelo per individuare i vincoli fisici e biologici a confronto con i quali ha preso forma l'umanità attuale. Anche se la distanza da noi alla quale si collocano questi extraterrestri, nell'immaginario dell'autore e del lettore, è formalmente assai maggiore di quella che separava gli Uroni o i Cinesi di Voltaire dai suoi connazionali, l'esercizio alla fine è simile a quello del filosofo francese. Ipotetici parallelismi o somiglianze suggerite con aperta ironia presuppongono in ogni caso una corrispondenza tra "noi" e "loro" che può derivare solo dalla convinzione che la natura abbia gradi di libertà ben ristretti. In un biologo di oggi, questa è un'evidente riprova della sua adesione a una visione sostanzialmente deterministica del vivente, che può andare d'accordo con certe forme di neodarwinismo, ma che non siamo obbligati ad accettare. Tutte queste, comunque, sono questioni sulle quali possiamo considerare aperto il dibattito ed è possibile che la lettura del nuovo libro di Wilson ne stimoli un proficuo sviluppo. Ma il tema centrale del libro è un altro. O, almeno, dovrebbe essere un altro. Il titolo promette, infatti, un saggio sul significato dell'esistenza umana. Nelle prime pagine l'autore dichiara apertamente la propria posizione laica in proposito, articolandola in due linee principali. Da un lato, l'uomo è un essere vivente e più precisamente un animale, anche se con sue peculiarità specifiche assai notevoli: in particolare, è dotato di un cervello capace di prestazioni eccezionali, tra le quali lo sviluppo di sofisticate forme di comunicazione che a loro volta hanno permesso l'evolversi di società complesse e capaci di realizzazioni straordinarie. Ne consegue che per comprendere la natura dell'uomo occorre partire dalla biologia, seguire le tappe che hanno portato uno dei tanti rami dell'albero della vita a dare forma alla specie Homo sapiens e poi imboccare la strada della sociobiologia – con qualche ammiccamento diretto agli altri animali sociali, le formiche in particolare – per capire origine, sviluppo, natura attuale e forse anche prospettive future dell'uomo come animale sociale. In tutto questo percorso intellettuale, dice Wilson, mettiamo da parte tutto ciò che non è scienza, le religioni in particolare, perché non ci servono, anzi ci portano fuori strada. Dall'altro lato, l'uomo non ha prodotto solo scienza, ma anche le cosiddette humanities. E qui, pur senza lasciarsi andare all'ennesima postilla all'annoso dibattito sulle due culture, Wilson auspica – sempre sorretto dal suo inguaribile ottimismo – un dialogo fattivo fra le humanities e il pensiero scientifico, a favore di un arricchimento del futuro dell'uomo. Ma di quale uomo? Giunto all'ultima pagina del libro di Wilson e soffermando nuovamente lo sguardo sulla copertina, mi chiedo: chi è l'uomo della cui esistenza l'autore pretende di aver spiegato (o, almeno, contribuito a spiegare) l'esistenza? È l'uomo come specie, l'Homo sapiens uscito – come tutte le altre specie con cui condivide la dimora sul pianeta terra – da una lunghissima vicenda evolutiva, oppure è il singolo individuo umano come te, lettore, o come me, o come lo stesso Edward O. Wilson? È ben vero che nessun uomo è un'isola, anche se – sul breve e medio termine – la dipendenza di un essere umano dai suoi legami sociali non è sempre e necessariamente così stretta come lo è per una formica, ma è anche vero che la società alla quale ciascuno di noi appartiene – o, meglio, l'inestricabile groviglio di strutture sociali alle quali ciascuno di noi appartiene – non è sinonimo di specie umana. Non pretendo di sapere con precisione quale sia il significato della mia esistenza, o quella delle diverse realtà sociali alle quali appartengo, ma temo che l'uomo, come specie, non ne abbia una. Se esistesse davvero una "natura umana" come proprietà della specie, allora dovremmo essere pronti a riconoscere una loro natura anche a ciascuna delle altre specie viventi. Ci fermeremmo allora agli altri primati? Oppure allargheremmo il nostro riconoscimento a tutte le specie dei mammiferi? E gli uccelli? E i pesci? Ecco, a conti fatti, cosa manca, nel libro di Wilson. Manca l'individuo umano, quello che – quando è compos sui – ogni tanto si interroga sul significato della propria esistenza. Una circostanza, questa, nella quale sarebbe cosa preziosa se il nostro individuo fosse cosciente di quanto la scienza, la biologia in particolare, gli può dire a proposito dei suoi antenati, più o meno remoti, e delle proprietà del suo cervello e di quello dei suoi simili. Allora, forse, l'unificazione fra quanto hanno da insegnarci la scienza e le humanities non sarà un mero esercizio accademico, come accadrebbe se l'una e le altre si applicassero solo all'uomo come specie, anche perché ciascuno di noi potrà fare il possibile per dosarlo a modo suo, nel cercare di dare un significato alla sua esistenza personale.   Alessandro Minelli

 

 

 

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Conosci l'autore

Edward O. Wilson

1929, Alabama

Riconosciuto come uno dei più importanti biologi e naturalisti del mondo, è stato professore emerito di Biologia alla Harvard University. Vincitore di due premi Pulitzer per la saggistica, ha pubblicato, nella collana Scienza e idee di Raffaello Cortina, La conquista sociale della Terra (2013), Lettere a un giovane scienziato (2013), Le origini della creatività (2018), Le origini profonde delle società  Umane (2020) e Storie dal mondo delle formiche (2021).

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