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I racconti del Signor Dido che qui appaiono per la prima volta raccolti in volume, sono l’ultima e molto sorprendente apparizione del Savinio narratore. Giunto agli anni estremi della sua vita, fra il 1949 e il 1952, Savinio disegna in queste pagine un proprio Doppio, questo Signor Dido che sembrerebbe voler prendere posto accanto a illustri precedenti letterari come il Monsieur Teste di Valéry o il Monsieur Plume di Michaux. Ma, ferocemente consequenziale nella sua ironia, Savinio coglie piuttosto quest’occasione per tracciare un memorabile Ritratto dell’Artista da Vecchio, calato dai coturni in «grosse pantofole a orecchie, imbottite di pelo di gatto», visitato da una Musa che è solo il cognome di uno zelante dattilografo. Ma quanto più ciò che lo circonda può apparire incolore e trito, tanto più il Signor Dido galoppa nei suoi sogni, con furia infantile, e spesso cozzando grottescamente contro gli spigoli del mondo: anzi, si direbbe che proprio qui, rinchiuso in quella obbligatoria «trappola» che è la Casa e la Famiglia, nelle vesti domestiche del Signor Dido, il visionario Savinio si esalti al massimo. Fuori dalle finestre, un quartiere residenziale di una città in cui è facile riconoscere Roma. Dietro le finestre, la moglie, i figli e un avvicendarsi di domestiche dai nomi improbabili. Savinio sa benissimo che lo scrittore ha perso la sua «aureola» almeno fin dai tempi di Baudelaire. Sa benissimo anche che i più intensi amori familiari sono necessariamente legati a profonde correnti di odio e di insofferenza. Sa tutto questo e lo accetta quasi con soddisfazione. Addirittura se ne serve per dare impulso alla sua grande arte del comico – e a volte di un comico disperato –, che in questo libro si manifesta con splendore. La mente del Signor Dido abita in troppi mondi diversi: eppure, con una sorta di insistenza sorniona e desolata, Savinio vuol farceli vedere tutti dal basso, con un tocco di precisione inesorabile. Ma non per questo i Sogni e gli Dei del Signor Dido ne escono diminuiti: e apparirà del tutto naturale che un giorno, intruppato con la giuria di un premio di poesia (e rispettive mogli) in una gita sull’Etna, abbandoni il gruppo per buttarsi nel vulcano, così ripetendo il gesto leggendario del suo amato Empedocle. Ma, prima di farlo, quando comunica l’idea alla moglie, dovrà anche sentire la Signora Dido replicargli: «Ti sei guardato allo specchio?».
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Una parodia fin troppo intelligente di tutto il peggio dei vizi italici: soltanto una penna capricciosa come quella di Savinio poteva riuscire ad elevare un genere solitamente triviale. Alcune scene sono memorabili: la visita alla tomba di Dante, le discussioni sulla famiglia, l'auto moderna come poltrona in movimento! Tre righe di Singer migliorano l'umore, una pagina di Savinio indirizza la giornata sul binario giusto.
Un uomo anziano e ironico, arguto e malinconico, buffo e sublime: ecco chi è per me il signor Dido. Tutti i suoi problemi quotidiani, dal rapporto con la moglie e con i figli ai ricordi della giovinezza, dalla casa piena di trappole insidiose a viaggi in macchina in cui il nostro eroe verrà sempre superato con disprezzo da guidatori meno pazienti di lui, dai problemi con la domestica di casa al suo lavoro di scrittore, fino all'incredibile finale che lascerà a bocca aperta ognuno di voi. Credo che un po' tutti possono riconoscere se stessi nel buon signor Dido.
Il testamento intellettuale e spirituale di un magnifico artista, una tragicommedia sospesa fra sogni, ricordi e meditazioni, leggerezza e profondità allo stesso tempo, il vecchio signor Dido alter ego di Savinio stesso, metafora, emblema di una borghesia pensante ormai estinta da tempo. Solita mirabile surreale bizzarra ed inquietante reinterpretazione della mitologia greca. Finale ispirato alla presunta morte di un certo...Empedocle. Ha pienamente ragione il precedente recensore, leggere Andrea de Chirico è sempre un grande piacere mentale.
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