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Fra i reati gravi é particolarmente odioso il femminicidio, perché si tratta di un delitto compiuto su una donna solo perché è di sesso femminile e più passa il tempo più si diffonde, soprattutto nel nostro paese, in modo veramente inquietante. Non vado oltre, perché quel tanto che ci sarebbe da dire in proposito esula da quanto mi accingo a scrivere, cioè la mio opinione su questo romanzo di Alessandro Pugi, che non solo ha a che fare con il femminicidio, ma estende ad altri reati, sempre gravissimi, la narrazione. L’autore fa bene a parlarne e dissertandone nella trama di un romanzo è in grado di rendere più viva e attenta la partecipazione del lettore. La figura del procuratore della Repubblica Elena Banti, posta a capo di un pool che non solo deve assicurare alla giustizia i rei di femminicidio, ma nel limite del possibile anche impedirlo, è, pur nella forte personalità come viene descritta, sostanzialmente una debole nel momento in cui, svestiti i panni del magistrato, ritorna femmina, con un segreto che l’attanaglia e che condizionerà tutta la sua vita. Non mi dilungherò certamente sulla trama, ricca di colpi di scena e senz’altro avvincente, dando solo un’idea e cioè che nelle indagini di femminicidio si inseriscono quelle rivolte a scoprire chi sia il serial killer che sopprime giovani donne dopo inenarrabili torture. Il tutto si svolge sull’Isola di Sant’Andrea (Isola d’Elba), un posto dagli scorci naturali meravigliosi che fanno da sfondo a orrendi delitti, un’ambientazione ben ricostruita a cui occorre aggiungere anche una non indifferente capacità di realizzare atmosfere che quasi esigono la partecipazione del lettore che, pur se lasciato libero di fantasticare, vede scorrere immagini quali fossero parte di una pellicola del genere thriller. Inoltre Pugi non limita alla sola indagine, ma scende in profondità, al fine di concretizzare un quadro psicologico, che è motivo di ulteriore pregio.
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