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Descrizione


Coniugando la dimensione storica con quella storiografica, Bernard Bailyn ci offre un'introduzione agile, sintetica ma esaustiva alla storia atlantica, una disciplina ancora giovane ma in rapida evoluzione, il cui sviluppo è stato determinato sia da un impulso interno agli stessi studi storici sia dalle pressioni politiche del secondo dopoguerra, e il cui terreno di indagine è assai vasto e complesso. Essa include infatti elementi molteplici della storia moderna di tre continenti (Africa, Europa, Americhe), operando confronti e identificando denominatori comuni, e spazia dai primi contatti tra le due sponde dell'oceano Atlantico, ai moti rivoluzionari coloniali per la conquista dell'indipendenza, fino alla rivoluzione industriale con le sue istanze di globalizzazione. La percezione dell'alterità e l'incontro - spesso tragicamente cruento - con i nativi americani, il ruolo svolto dalla popolazione africana nell'economia schiavistica, i movimenti migratori degli abitanti dei paesi europei, le identità religiose nelle comunità di coloni, il commercio panatlantico, la diffusione delle idee espresse dall'Illuminismo sono soltanto alcuni dei temi che rientrano in questo orizzonte estremamente variegato: l'intento è quello di comporre un nuovo e più articolato profilo della civiltà occidentale illuminandone le dinamiche, i legami, i conflitti e le interazioni tra le sue diverse componenti.
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Dettagli

2007
15 marzo 2007
128 p., Brossura
9788833917535

Voce della critica

Questo libro è un'ottima introduzione a quel particolare ambito di ricerca, detto "storia atlantica", che si è sviluppato nel secondo dopoguerra, e in modo particolare a partire dagli anni ottanta, diventando oggi uno dei settori più prolifici della storiografia internazionale. Il volume si compone di due parti, ma logicamente di tre, delle quali la terza è la più significativa. Le prime due riguardano la ricostruzione del clima politico-culturale che, specie dalla metà degli anni quaranta del Novecento, vide la comparsa di concetti come "civiltà atlantica" o "mondo atlantico". Nate nel linguaggio del giornalismo e della politica internazionale, tali espressioni entrarono anche nel vocabolario degli storici e fecondarono successive stagioni di studi dalla grande e non ancora esaurita spinta innovativa. Alla ricapitolazione delle tappe e dei temi di ricerca più significativi della storiografia "atlantica" (commercio, demografia, storia della schiavitù, storia delle religioni, storia delle élitecoloniali e dei sistemi imperiali) – a partire dai lavori di Pirenne, Chaunu, Mauro, Godinho, Godechot e Palmer, Curtin, via via fino ai tempi più recenti – è dedicata la seconda parte che si distingue per tre aspetti principali.
Il primo è l'affermazione dell'indipendenza della ricerca storica, che, pur dietro gli stimoli provenienti dalla politica mondiale, ha saputo sviluppare una prospettiva "atlantica" seguendo essenzialmente non priorità ideologiche, ma i meccanismi interni del lavoro di indagine. Il secondo aspetto è la costante enfasi posta sul valore della prospettiva "atlantica" in funzione del superamento delle impostazioni tendenti a privilegiare la dimensione nazionale o anche imperiale – di cui una variante è l'"eccezionalismo" patriottico americano, giudicato una forma obsoleta di provincialismo – a scapito della ricerca delle interconnessioni profonde tra sistemi appartenenti a un'unica realtà geografico-storica. Il terzo aspetto è dato dal carattere policentrico e politematico della storiografia "atlantica", che ha trovato cultori in ambiti storiografici diversi e avviato l'esplorazione di una varietà di questioni di storia materiale non meno che culturale. Si è data così sostanza all'immagine efficace adoperata nel 1998 dal geografo Daniel Meinig, il quale ha sostenuto che "invece della scoperta europea del Nuovo Mondo, faremmo meglio a prendere in considerazione l'improvviso e brutale incontro tra due vecchi mondi che trasformò entrambi e li integrò in un singolo Nuovo Mondo". Appunto, il mondo atlantico.
La ricostruzione di questo mondo, delineata nella terza parte del libro, procede dalla formulazione di precisi interrogativi. Esiste, nell'arco cronologico dei tre secoli dell'età moderna (dalla fine del Quattrocento al primo Ottocento), uno schema evolutivo comune, con dinamiche interne discernibili e peculiari, tale da poter discorrere di una Atlantic history dotata di coerenza interna? È possibile individuare una morfologia comune del mondo atlantico, fasi di trasformazione e sviluppo indipendenti dalle strutture formali-legali e perciò capaci di evocare una realtà diversa da quella a cui queste ultime rimandano? Esiste una traccia narrativa alternativa a quella basata sulle storie nazionali, con i suoi ritmi di ascesa e decadenza (Spagna e Portogallo) sfida e conflitto (Olanda, Inghilterra e Francia), affermazione egemonica (Inghilterra)? E che sia contrassegnata da passaggi comuni, capaci di abbracciare Europa, Africa e Americhe? La risposta di Bailyn è sempre affermativa, a patto che si accettino prima la storia atlantica come storia di un processo, e poi la storiografia atlantica non come un canone, ma come risultato di ricerche prodotte da punti di vista in continuo cambiamento.
Quali sono, allora, le esperienze comuni, tali da delineare una reale dinamica atlantica? Innanzitutto il fatto che la storia atlantica, complessivamente intesa, è la storia dell'apertura di una frontiera su scenari d'incontro con popoli alieni trasformati dalla conquista europea in spazi selvaggi in cui avvennero guerre di devastante brutalità e caratterizzate da una barbarie sconfinante in progetti di sterminio. Secondo carattere è l'opera di intenso sfruttamento del lavoro umano che accompagnò la fase dello stanziamento. Terzo carattere è dato dall'interscambiabilità delle esperienze, ossia dalla fungibilità di esperienze consumate in contesti particolari, come l'Irlanda o la Spagna moresca, in contesti americani. Quarto carattere è l'emergere di uno spazio di sospensione delle norme del vivere civile e dunque di un mondo fluido, senza stabili strutture o identità, con appartenenze e forme di dominio politico in continuo mutamento e con conseguente offuscamento delle fedeltà nazionali. Quinto carattere dell'emisfero occidentale atlantico è dato dalla pervasività del disordine sociale e del disorientamento civile e morale, che fecero di questo un mondo barbaro per tutti coloro che vi appartennero e che ne animarono l'intensa vita.
Anche il mondo atlantico conobbe poi una successiva fase storica che Bailyn pone sotto il segno dell'affermazione della stabilità e di un ordine la cui apparizione in parte coincise temporalmente con il consolidamento delle forme imperiali di governo e di amministrazione, ma non dipese affatto in modo esclusivo da queste ultime. Si trattò infatti di un processo di stabilizzazione, caratterizzato da aggiustamenti e negoziati istituzionali, sociali, economici, demografici tra i diversi gruppi coinvolti, che condusse al consolidamento di ruoli, gerarchie politico-sociali, reti di scambi e formazioni produttive, in parte anche come risultato dell'emergere di un sistema atlantico di comunicazioni e scambi ruotanti attorno ad alcuni prodotti e merci-chiave, tale da rendere l'Atlantico un grande spazio permeabile policentrico e dinamico, scenario di affermazione di un'economia euro-afro-americana profondamente interrelata ben al di là delle barriere formali erette dalle legislazioni delle nazioni coloniali in competizione.
Ne risultò un tessuto di interessi talmente ampi e consistenti, capaci di legare tra loro realtà economiche teoricamente separate e distinte, come i Caraibi francesi, il Brasile portoghese, le Antille olandesi, i mercati nordamericani, i porti dell'America spagnola e quelli della penisola iberica, da non poter essere efficacemente controllati dai sistemi doganali e costieri imperiali. È in questo formicolante contesto che secondo Bailyn il mondo atlantico assunse il proprio volto integrato non solo economicamente, ma anche socialmente, culturalmente e demograficamente, grazie alla circolazione dei gruppi di popolazione, delle informazioni, delle fedi religiose.
È inoltre osservabile, al culmine dell'età moderna, l'affermazione di élitecreole, legate ai centri metropolitani del commercio, della politica, della religione e della cultura, e di vivacità tale da costituire una minaccia per la sopravvivenza dei sistemi imperiali di controllo politico e amministrativo messi in atto dalle autorità metropolitane e da ispirare l'ultima fase della storia atlantica nella prima età moderna, una fase caratterizzata dall'avvio dei processi di indipendenza. Le rivoluzioni coloniali e la costituzione di reti di esperienze riformatrici e di programmi politici costituzionali rappresentano così la fase conclusiva della storia atlantica moderna, quella nel corso della quale movimenti indipendentistici dai contenuti affini, alimentati da ideali illuministici europei, apparvero dal Nordamerica alla Colombia e, soprattutto attraverso l'esempio del costituzionalismo nordamericano, al Brasile, al Cile, all'Ecuador, al Messico, e poi con un movimento di ritorno verso il Vecchio mondo, alla Francia e agli spazi tedeschi, per tornare nuovamente oltre atlantico, in Argentina.
La visione, proposta cinquant'anni fa da Jacques Godechot e Robert Palmer, di una cultura politica atlantica capace di alimentare processi di trasformazione politica liberale e democratica e di mettere in discussione anche il sistema della tratta e della schiavitù, pure abolite in tempi molto diversi nelle diverse realtà atlantiche, è sostanzialmente fatta propria da Bailyn, che proprio nella diffusione di valori di libertà, diritti umani, governo della legge, autogoverno individua la linfa capace di unificare in profondità le culture di un mondo atlantico, pure non privo di angoli, a ben vedere, decisamente meno illuminati. Ma Bailyn è storico troppo accorto per non vedere come siano ancora tutte da scrivere, da un lato, la storia dell'emergere di una comunità atlantica per l'azione congiunta di forze economiche aggressive, crudeli e creative al tempo stesso, e di una cultura illuministica condivisa, e, dall'altro lato, la storia del modo in cui tutto questo ha prodotto la fondamentale e duratura eredità della storia atlantica proiettandola nel mondo di oggi.
  Guido Abbatista

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