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Storie di animali e altri viventi
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Storie di animali e altri viventi - Alberto Asor Rosa - copertina
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Storie di animali e altri viventi

Descrizione


Il cane, il gatto, io e te. Questa che ci racconta Asor Rosa è un arca di Noè in formato domestico. Un quartetto di voci che si fondono armonicamente senza solisti. Quattro vite che si compenetrano nei piccoli gesti quotidiani e nelle più complesse strategie relazionali. Perché (in rigoroso ordine di apparizione) un gatto più un uomo più una donna più un cane femmina non fanno solo quattro persone intelligenti e affettivamente predisposte: fanno un gruppo straordinario, un'entità in grado di intuire qualche briciola di realtà profonda, di condividere ritmi e cicli dell'universo.
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Dettagli

2005
8 febbraio 2005
173 p., Brossura
9788806172763

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Laura
Recensioni: 3/5

Una bella storia d’amore tra esseri viventi raccontata dal punto di vista delle due creature animali da compagnia più emblematiche: un cane ed un gatto. Mi è sembrata anche una intensa dichiarazione d’amore dell’essere umano uomo (lo scrittore) alla co-protagonista essere umano donna. La donna dagli “occhi color pervinca” ammalia gli altri tre protagonisti intrecciando un legame intenso e profondo fra le quattro creature. Per chi ama gli animali è dolce fantasticare che i nostri compagni di vita non umani possano trovare parole così empatiche per raccontare la loro relazione con la nostra natura umana. Lettura decisamente piacevole.

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Mara
Recensioni: 3/5

Confesso che non ce l'ho fatta a seguire il famoso linguista "Cicero de Mor" (evidentemente Tullio De Mauro) mentre spiegava i vari chiasmi fra le quattro persone/animali, ciascuno visto e interpretato dagli altri tre. Invece mi ha divertito l'autorevole filosofo Mario (suppongo Mario Tronti: so di certo che ha un gatto), il quale inizialmente si spaventava un po' quando Micio Nero gli balzava sulle ginocchia (e per questo diradò le visite a casa Asor Rosa), e poi fu da lui sorpreso mentre giocava con un suo gattino ("lo Spirito soffia dove vuole", si giustificò). Forse più riuscita la parte dedicata a Micio, o forse io sono più in grado di capirla, perché più avvezza alla convivenza con la mia Micia Sapiens.

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Laura
Recensioni: 5/5

solo un'animo insensibile indipendentemente dal fatto che abbia o no avuto la fortuna di condividere una porzione di vita con un gatto, non può non apprezzare questo libro per la capacità di cogliere l'essenza dei nostri amici a 4 zampe e per la sottile ironia con cui è scritto.

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Voce della critica

Chi dice io in Storie di animali e altri viventi, il secondo sorprendente libro di narrativa – dopo L'alba di un mondo nuovo, del 2002 – di Alberto Asor Rosa? Propriamente le voci narranti sono quelle dei due animali protagonisti, Micio Nero e la "cana" (il "neo-femminile" di cane) Contessa. In effetti, però, la situazione è diversa, perché "un gatto non ha voce, non ha parola, di regola non ha pensieri, tanto meno sa scrivere. Ma se è un personaggio letterario, allora è diverso: può fare tutto ciò che vuole". Lo stesso, ovviamente, vale per un cane. Come Flaubert con Madame Bovary o Tolstoj con Nataša Rostova, dietro ai due narratori c'è – e Asor Rosa ci suggerisce di riconoscerlo – l'umana natura dell'autore, che, inevitabilmente, si riversa anche nel Po o Pa (la prima è la versione di Contessa, la seconda di Micio nero) personaggio maschile, e dà vita a Ma o Mo (sempre nell'ordine indicato in precedenza), personaggio femminile.

Siamo dunque di fronte all'antica strategia di prestar voce e pensiero umano ai non umani? Quelle che ascoltiamo sono le parole di un uomo-autore che si nasconde dietro a maschere animali per sottolineare la bestialità dei suoi compagni di specie secondo una prospettiva straniante? Se così fosse – o meglio, se fosse solo così – il libro non determinerebbe quella serie di disorientanti (e ri-orientanti) sensazioni che invece è in grado di produrre. Quanto Asor Rosa è riuscito a configurare – e se insistiamo è perché c'è riuscito mirabilmente – è una voce ibrida, che si sottrae sia all'abitudine di estendere agli animali sentimenti umani, sia di farne simboli, metafore, figure dell'immaginario. Chi parla è un Gattuomo – "il prodigioso personaggio delle leggende medievali, dotato d'intelligenza felina e di sentimenti umani (…) ricongiunto in unità dopo la sua dolorosa millenaria separazione, per ridar vita alla medesima esistenza primordiale, quella che sicuramente ha preceduto la divisione della specie" –, che sa diventare una Canfemmina e, addirittura, un Cangatto.

Non siamo allora alle prese con un uomo e un donna che si fingono gatto e cane, oppure con un gatto o con un cane che hanno tratti umani o, ancora, con un gatto che parla di un cane e viceversa, ma abbiamo a che fare con dei "metamorfanti", cioè dei viventi che hanno sviluppato la capacità di "subire o produrre metamorfòsi" (e non metamòrfosi), e quindi possiedono la forza che produce il cambiamento. Rifuggendo dall'antropocentrismo e dall'antropomorfizzazione, Storie di animali e altri viventi arriva in tal modo a proporre una prospettiva consonante con quella del post-human delineata da Roberto Marchesini (per esempio in Animal appeal), e, se cercassimo di paragonarlo ad altri libri di narrativa sul tema, potremmo avvicinarlo a Timbuctù di Paul Auster. Perché quanto leggiamo è contemporaneamente il percorso di un uomo e di una donna che hanno vissuto con un gatto e un cane, e quello di un gatto e di un cane che hanno trascorso i loro giorni con un uomo e una donna, e di un gatto e di un cane che hanno imparato a convivere tra loro, addizionando percezioni, sguardi, sensibilità e scavalcando progetti individualistici, risentimenti, incomprensioni, repulsioni.

Il libro è allora la storia di un io multiplo che narra la sua costruzione. È, di fatto, il bildungsroman di una "figura chiasmatica", alla cui definizione concorrono tutti i personaggi in azione, allacciati dalla forza della comunicazione telepatica. Sul piano narrativo è con la descrizione dei processi di cambiamento che si sviluppa la fabula, snodandosi nelle prime tre parti sul filo dell'ironia e della leggerezza per lasciare spazio alla struggente elegia nella quarta sezione. Micio Nero (Misch'ò per Contessa), il primo a convivere con Po-Pa, dopo gli arrivi di Mo-Ma e di Contessa (Hon'ess'à secondo lui) deve ristabilire la "catena degli affetti", ritrovando il gusto dell'immobilità e della contemplazione del nulla che, come le avventure notturne, sono assolutamente felini. Contessa, la nobile cagnolina di razza Esterházy, è costretta ad affrontare l'aggressività di Micio Nero prima di fargli capire il suo desiderio di tranquillità, restituendogli quello spazio affettivo che la sua presenza ha ristretto. Entrambi sono nella necessità di sintonizzarsi con i due umani, trovando una collocazione a gesti inspiegabili (la lettura dei giornali, gli occhi fissi sui libri, l'andirivieni frenetico), imparando a ricevere e a dare affetto, sviluppando la capacità di dialogare con loro.

E Po-Pa e Mo-Ma? A loro viene chiesto di guardare al di là del proprio io. Soprattutto devono capire che non esiste una gerarchia tra i viventi, perché unica è la matrice della vita. L'esperienza comune, del resto, si forma attraverso la comprensione della diversità: così quando Po-Pa prova a mettersi a quattro zampe e a camminare in quel modo, scopre che il mondo visto con gli occhi di un animale è un altro mondo. Perché procedere avendo gli occhi rivolti a terra è diverso dal camminare con gli occhi rivolti al cielo. E non è detto che sia peggio.

Certo Po-Pa e Mo-Ma non possono capire tutto dei gatti e dei cani. Alcune convinzioni – quella di esser loro indispensabili per esempio, o di volerli educare "all'umana" – non mutano. Perché Gattuomo e Canfemmina sono umani. Ma che l'apertura verso l'altro si sia verificata, lo cogliamo quando, nello stesso periodo, Micio nero muore e Contessa partorisce. Mentre Po-Pa piange la perdita come aveva fatto per padre e madre (e non avverte differenza), Mo-Ma si sente madre dei sei cuccioli nati dalla "cana" (come narra Contessa, "lei stava pensando che quei sei bimbi erano suoi, li aveva fatti insieme a me, anzi, li aveva fatti lei con quel medesimo corpo con cui così splendidamente metamorfava con me, e che perciò era nella stessa misura sia suo che mio, sia mio che suo").

E poi che tutto il racconto capovolga la prospettiva da cui abitualmente osserviamo gli animali, risulta evidente a lettura conclusa, quando con nettezza si avverte che la narrazione è opera di un io-metamorfante. Perché non c'è una parola che non venga da lui, da questo vivente teriomorfo, in cui umano e animale sono ormai – anche contraddittoriamente – una sola cosa.

 

andrea giardina

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Conosci l'autore

Alberto Asor Rosa

1933, Roma

Alberto Asor Rosa è stato un critico letterario, saggista e politico italiano. Scrisse di sentirsi come «quegli animali primitivi che a un certo punto uscirono di scena per il totale mutamento delle condizioni generali del pianeta», perché ogni sua scelta lo portava, in modo ineludibile, controcorrente. Nato nel 1933 a Roma, ha insegnato per molti anni all’Università «La Sapienza». Ha diretto la Letteratura italiana Einaudi nelle sue varie forme ed estensioni. Per lo stesso editore ha pubblicato Scrittori e popolo, Genus italicum, Stile Calvino, Storia europea della letteratura italiana e un volume di aforismi esistenziali, L’ultimo paradosso. Fra i suoi volumi di saggistica politica, Le due società. Ipotesi sulla crisi italiana e...

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