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Lo "strappo atlantico" ebbe inizio, secondo Rita di Leo, dopo il 1989, quando l'Europa si convinse che l'integrazione economica "potesse evolvere in unità politica". Le scelte conseguenti vennero sentite oltreoceano come un'ingrata presa di distanze, "un addio al benefattore". Questo è il terreno fertile su cui i neoconservatori americani hanno coltivato il loro progetto degli Stati Uniti come unica superpotenza del XXI secolo, affermando ripetutamente la marginalità del Vecchio continente. Un indubbio merito dell'analisi condotta dall'autrice è di mettere in luce come questi ispiratori dell'aggressività americana post 11 settembre siano intellettuali "alla europea" (e forse proprio per questo hanno colpito la nostra opinione pubblica colta, che li ha scoperti e si è confrontata con loro molto prima, e molto più facilmente, di quanto non sia avvenuto con il fondamentalismo evangelicale). I neoconservatori hanno spinto gli Stati Uniti ad agire secondo i canoni aggressivi della vecchia politica di potenza europea dell'Ottocento. Hanno puntato sul primato della politica, e non sul rispetto del "governo minimo" che ha caratterizzato la precedente cultura conservatrice americana. La loro presenza nellÆestablishment repubblicano si scontra con la forte pulsione antintellettuale della mentalità statunitense. E, paradossalmente, la loro origine risale agli anni sessanta, quando giudicarono l'opposizione alla guerra in Vietnam, la lotta per i diritti civili e le politiche della Great Society di Johnson "una sconfitta dell'identità americana", in nome del pensiero ideologico, o comunque di astrazioni intellettualistiche. Così nacque il loro antieuropeismo "alla europea".
Giovanni Borgognone
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