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Questa antologia dei saggi raffaelleschi di John Shearman (1931-2003) riunisce in un unico e maneggevole volume testi che rappresentano un autentico tesoro, non solo per lo studioso di Raffaello: molte acquisizioni vanno considerate definitive, ma più in generale è la lezione di metodo che se ne trae a farne un compagno indispensabile per lo studioso del Rinascimento.
Impossibile esaminare in dettaglio i molti spunti di riflessione: ma non si può non sottolineare, a esempio, il modo in cui, a partire da copie di bottega di disegni perduti, e da una conoscenza capillare della grafica raffaellesca, Shearman sia in grado di ricostruire il modus operandi di Sanzio, dagli abbozzi quasi informi per le prime idee, agli studi compositivi ad acquarello, poi a matita delle figure nude, fino agli ultimi modelli e infine ai cartoni; o come dalla medesima base di partenza giunga a individuare un cambio in corsa nell'iconografia della Stanza della Segnatura, dettata dalle mutate necessità politiche e propagandistiche di Giulio II (tutto in un saggio del 1969); o la differenza tra la grafica di Perugino e quella del giovane Raffaello; o con quale maestria individui nella Psiche di Nicolò da Correggio la fonte principale degli affreschi della Loggia dipinta per Agostino Chigi alla Farnesina.
E persino chi è poco incline all'iconologia deve mandare a memoria la lezione metodologica che si trae dalla lettura iconografica compiuta da Shearman sulla Cacciata di Eliodoro nel 1983 (qui una citazione un po' lunga davvero è d'obbligo): "In questa situazione è opportuno darci tre regole. Primo, in assenza di qualche segnale che indichi chiaramente il contrario, si deve mantenere soltanto la lettura del testo più piana. Secondo, in assenza di qualche altro chiaro segnale visivo, dobbiamo seguire soltanto l'interpretazione del testo che risulta più familiare rispetto al contesto e al periodo in questione, perché diversamente vuol dire che stiamo affermando che l'opera d'arte in esame è un significante inefficace; e se è così, non siamo autorizzati a procedere oltre. Terzo, in particolare se stiamo proponendo per quell'opera un significato politico-ecclesiologico, questo non deve fare riferimento a una contingenza momentanea, perché così essa si ridurrebbe al valore di un manifesto; un affresco costoso, frutto di una lunga gestazione, si suppone veicoli il proprio significato nel corso di dieci, venti o anche cinquant'anni". Quanti disastri interpretativi si eviterebbero se si rispettassero sempre queste norme auree, che, a ben vedere, sono le stesse sulle quali l'autore aveva già costruito il suo memorabile Mannerism (1967).
È pertanto utilissimo poter disporre di quei saggi in un italiano fluido (non si può onestamente dire che l'inglese di Shearman sia semplice e lineare: la traduzione offre un non indifferente servizio al lettore italofono). Rende ancora più accostabile la silloge l'ottimo scritto introduttivo di Vittoria Romani, che da un lato illustra l'evolvere del pensiero raffaellesco di Shearman, e dall'altro inizia a farci vedere l'urbinate già attraverso le lenti dello studioso inglese. E si può dire che questi saggi costituiscano la più adeguata cornice al monumentale Raphael in Early Modern Sources, uscito postumo nel 2003 e da considerare un autentico capolavoro critico (anzi capolavoro tout court). Edoardo Villata
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