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Il teatro italiano. Vol. 4\1: La commedia del Settecento. - copertina
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Descrizione


Curato da Roberta Turchi, questo volume documenta i tentativi di riforma del teatro comico nella prima metà del secolo.Sono qui raccolti, dopo lungo silenzio, i testi dei toscani Girolamo Gigli e Jacopo Angelo Nelli; del veronese Scipione Maffei; del napoletano Pietro Trinchera; di Pietro Chiari, bresciano, ma operante a Venezia.La necessità di riformare la commedia spinse questi autori a percorrere strade diverse. La lezione di Molière, nonostante gli ostacoli delle censure, fu inarrestabile e agì diversamente su due autori come Gigli e Trinchera. Nell’uno si collegò alla commedia dell’arte, nell’altro l’esigenza del realismo si avvalse del dialetto, il cui uso si era già imposto nell’opera buffa. Jacopo Angelo Nelli, invece, temperò il molièrismo con la tradizione rinascimentale. Ma il legame con il Cinquecento, più adombrato nel commedigrafo senese, fu sostenuto con convinzione e con forza argomentativa da Scipione Maffei, che si giovò anche del sostegno teorico del conterraneo e amico Giulio Cesare Becelli. Affinché la recita delle commedie uscisse dagli spazi delle sale private dei nobili, dei seminari, dei collegi e delle accademie, si dovette aspettare Pietro Chiari. Il suo confronto con Carlo Goldoni avvenne sulle scene pubbliche, e per lui si trattò di sottrarre gli spettatori all’avversario, di misurarsi ogni sera con la cassetta.Come consuetudine della serie dedicata al teatro italiano, la raccolta è corredata da una ricca appendice di documenti che illustrano le principali tappe del dibattito settecentesco intorno alla commedia.

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Dettagli

1987
1 gennaio 1997
XXXIII-576 p.
9788806598822

Voce della critica

TURCHI, ROBERTA (A CURA DI), La Commedia del Settecento (2 tomi), Einaudi, 1987

GUCCINI, GERARDO (A CURA DI), Il Teatro italiano del Settecento, Il Mulino, 1988
recensione di Taviani, F., L'Indice 1989, n. 6

Questa curata da Guccini è un'antologia "d'autore": invece di ricapitolare un sapere stabilizzatosi nella storia degli studi, costruisce il suo discorso nuovo usando come tasselli numerosi brani critici settoriali, montati e legati in modo da tratteggiare forse per la prima volta un quadro storicamente credibile del teatro italiano settecentesco. Parrà strano che si dica "forse per la prima volta", trattandosi del teatro di Goldoni e d'Alfieri, di Metastasio e Carlo Gozzi. Ma del contesto spettacolare in cui si inserisce l'opera di questi classici permane un'immagine imprecisa. Una volta letti da capo a fondo, per esempio, i due volumi curati da Roberta Turchi, la storia di quel teatro continuiamo a non capirla. Il problema nasce dal fatto che continuiamo a pensare il teatro al singolare.Non era un teatro, erano teatri. Passare alla comprensione storica di questo plurale implica, innanzi tutto, l'abbandono d'una vecchia leggenda sul Settecento, resistentissima, presso gli storici della letteratura che si occupano di spettacolo.
La leggenda racconta che nel XVIII secolo si sarebbero contrastate due forze opposte in un unico campo: la senescente commedia dell'arte e la nuova idea d'una riforma teatrale. La prima avrebbe vissuto il suo ultimo fuoco di paglia per il genio di Carlo Gozzi e delle sue "Fiabe". La seconda, dopo inizi difficili e tentennanti, avrebbe visto il suo trionfo con Goldoni, pur imbastardendosi un po', sul finire del secolo, col repertorio francese, le commedie "lagrimose", le tragedie borghesi, i drammi romanzeschi. È uno schema semplice: progresso contro conservazione (oppure - che è lo stesso - il contrario: pianificazione contro fantasia). È collaudato: lo inventarono gli stessi riformatori settecenteschi. È scolasticamente chiaro. Ripetuto e variato infinite volte, diventa il simbolo delle nostre scarse conoscenze della storia teatrale del periodo. Dal punto di vista del buon senso storico, difatti, è inconsistente: racconta soltanto la storia delle discussioni dei drammaturghi, dei letterati, dei trattatisti, ma immagina di riassumere, invece, la storia dei teatri. È lo schema che ancora regge la peraltro utilissima silloge curata dalla Turchi. Ma si osservi la correzione d'ottica operata dal volume di Guccini: il carattere unitario della problematica teatrale non è, qui, un presupposto, ma una linea di tendenza che attraversa un reticolo teatrale strutturalmente disomogeneo, composto di ambienti spettacolari diversi, da distinti livelli produttivi, da statuti culturali spesso non dialoganti. La sorpresa è costituita da ciò, che in quest'ottica si rivela come la forza concretamente operante per una riunificazione delle problematiche teatrali: non l'astratta - e per lo più nominale - idea di Riforma, ma una "progressiva riorganizzazione della vita mondana, che fin per riunire in un'unica sfera operativa [...] riunioni accademiche, iniziative editoriali, rappresentazioni dilettantesche e gestioni teatrali", favorendo, fra l'altro, l'attività di "aristocratici e notabili a favore di comici, cantanti, danzatori, librettisti" (p. 12 del saggio introduttivo al volume di Guccini).
Teatro scritto e teatro agito; teatri pubblici da una parte, e teatri di collegio, d'accademia, di salotto dall'altra; teatri cittadini e teatri itineranti; teatri festivi e teatri quotidiani si confrontano e confondono le proprie pratiche e le proprie diverse lingue di lavoro in una situazione culturale frammentata e spesso rissosa. Da una tale confusione di voci giungono con maggior forza ai posteri quelle articolate in discorsi teorici, le voci degli scrittori. Ma la tensione storicamente fondamentale va probabilmente riconosciuta nel contrasto fra teatri che vivono in condizione d'autonomia e teatri commerciali. Meno preciso sarebbe dire: "fra dilettanti e professionisti", sia perché il termine dilettanti evoca immagini che mal s'adattano a quel che Guccini definisce giustamente come un vero e proprio "laboratorio diffuso"; sia perché il termine "professionista" implica una specializzazione che certo non caratterizza i soli teatri commerciali. Ancor più in profondità, bisogna forse riconoscere un grave degrado dell'arte dell'attore, priva quasi totalmente di guide (gli attori e le attrici-guida del periodo sono inglesi e francesi), generalmente incapace di risolvere secondo i propri principi il problema dei rapporti con gli spettatori. Degrado dell'arte dell'attore, confusione di lingue, fratture fra teatri diversi, scarsa comunicazione fra teatri autonomi e teatri commerciali sono tutti elementi che - malgrado le più vistose differenze - rendono profondamente simile il teatro settecentesco al teatro di questi nostri anni. Forse per ciò lo sentiamo vicino ed estraneo, facile a incuriosire e difficile da capire. Può darsi che sia questa una delle ragioni della strana persistenza della vecchia leggenda storiografica, incongruente ma ancora comoda per sorvolare le difficoltà.
L'incongruenza si rivela appieno quando quel vecchio contenitore viene riempito d'un'informazione seria ed abbondante, come è quella raccolta da Roberta Turchi per corredare la sua scelta di commedie (Gigli, Nelli, Maffei, Trinchera, Chiari nel primo volume, Gozzi, Albergati Capacelli, Pepoli, De Gamerra, Federici nel secondo, chiuso, non molto giustificatamente, dal testo per la pantomima giacobina del Salfi, "Il Generale Colli a Roma"). Alcuni anni fa, la Turchi aveva ripubblicato, con una scelta intelligente e benemerita, il romanzo settecentesco di Antonio Piazza "Il Teatro, ovvero fatti che lo fanno conoscere" (con il titolo editoriale "L'Attrice", Guida, Napoli '84). Subito dopo, dalla multiforme vita comica è però rifluita all'ordine apparente della tradizione scolastica con il volume "La Commedia del Settecento" (Sansoni, Firenze '85) molte pagine del quale passano identiche nelle introduzioni ai singoli autori dell'antologia einaudiana. Sono libri che per la ricchezza dell'informazione bio-bibliografica sarebbe ingiusto deprezzare, ma che - come s'è detto - restano deludenti.
Nei due tomi einaudiani, i singoli testi non riescono ad entrare in contatto, a reagire l'uno con l'altro, mentre le introduzioni generali sono disorientate: invece di introdurci alla materia, svolgono le due metà d'un saggio su Goldoni indebolito da innumerevoli ed obbligate sfrangiature. Le appendici di documenti sulla vita teatrale raccolgono manciate di frammenti d'ogni tipo, senza alcuna nozione di contesto, fino all'estrema confusione, quando nel caso di Gozzi si salta dal Settecento al Novecento, antologizzando brani che si riferiscono a regie moderne delle sue opere (quella di Vachtangov del 1922 e quella di Strehler del '49). Qui la curatrice paga colpe in parte non sue: l'impostazione della collana einaudiana, infatti, solo raramente permette un uso non vagamente feticistico e insieme ancillare dei frammenti documentari, appendici al florilegio drammatico, insufficienti a dotare di spessore storico-teatrale antologie organizzate per generi letterari.
In questi ultimi anni, a parte un importante studio di Elena Sala Di Felice su Metastasio e alcuni approfonditi interventi di Alberto Beniscelli e Paolo Bosisio su Carlo Gozzi, la maggior parte dei lavori sul teatro settecentesco italiano hanno indagato orizzonti regionali (e di essi l'antologia critica di Guccini tiene ampiamente conto: "Teatro napoletano del Settecento", a c. di F. Greco, Pironti 1981; "Civiltà teatrale e Settecento emiliano", a c. di S. Davoli, Il Mulino 1986; "Pietro Chiari" a.c. di C. Alberti, Neri Pozza 1986; "La Parma in festa", a.c. L. Allegri e R. di Benedetto, Mucchi 1986; il convegno dell'82, "Roma e il Teatro nel Settecento", i cui atti sono ancora in corso di pubblicazione in più volumi a cura dell'Ist. dell'Enc. It.; "Uomini di teatro nel Settecento in Emilia e Romagna", Mucchi 1986, ma in realtà 1987). L'ultimo dei volumi citati è certamente il più significativo: è il risultato d'un lavoro d'équipe (E. Casini Ropa, M. Calore, G. Guccini e C. Valenti) che ha individuato tutti i livelli di cultura teatrale d'una stessa regione, dalla dimensione pubblica a quella strettamente biografica. Stratigrafie teatrali di questo tipo, che scendono tanto più in profondità quanto più limitato è il campo, fanno emergere l'esigenza di rinnovate metodologie anche per il quadro d'insieme. È attraverso di esse, soprattutto, che lo sguardo s'allena a considerare il teatro al plurale, sfuggendo i luoghi comuni.

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