Se, come scrisse Whitehead, uno dei compiti principali della metafisica è la spiegazione della frase "tutto scorre", allora questo è un libro di metafisica: una metafisica del molteplice e della differenza, ma improntata a un rigoroso monismo. Concetto complesso, il tempo, che è uno, si sottrae tuttavia a ogni tentativo riduzionistico, e non può essere colto appieno né dall'interpretazione fisicalista (il tempo newtoniano, assimilato a una varietà dello spazio) né dal coscienzialismo (il tempo della mente, o meglio del "corpomente"). Il tempo è la differenza di ogni oggetto materiale nei diversi istanti del suo divenire, differenza inseparabile dall'identità dell'oggetto in ogni coscienza che lo coglie: "Identità e differenza si radicano nell'unità dell'essere e nella molteplicità senza fine del suo manifestarsi", scrive Biuso. Molti sono i temi che s'intrecciano in questo libro denso, lucido ed essenziale: la materia, la coscienza, la differenza tra vivente e macchinico, lo scorrere perenne degli eventi, in una visione eraclitea che si oppone alla fissità araldica dell'Essere parmenideo, incapace di evoluzione e di novità. Centro della trattazione è il corpo, "nel quale convergono le memorie, le attese, le angosce, le gratificazioni, i pensieri, gli obiettivi, gli affetti dell'intera vita che si stratifica nel tempo». Contro l'idea nichilista di Einstein che il tempo sia solo una "tenace illusione", l'autore rivendica la sua realtà onnipervasiva: il tempo è uno, ma è molti. È un universale materiale, biologico e storico che va compreso nella distinzione tra le sue strutture quantitative (le cose hanno un tempo) e qualitative ("La coscienza invece è tempo poiché è l'unione della tonalità emotiva e semantica nella quale siamo costantemente immersi con il flusso temporale che ci costituisce"). Il tempo non è una cosa, ma è l'eventuarsi: "Non c'è un tempo nel quale accadono gli eventi, ma l'accadere degli eventi è il tempo". Il discorso filosofico, il discorso sulla mente, il discorso sulla materia, il discorso sul sacro sono tutti discorsi sul tempo. Il tempo è anche l'altro nome della morte, qualità essenziale della vita che sorge a tramonta. "Il tempo è l'unica divinità reale, è il pan, il tutto nel quale siamo e che siamo". Nella fisica classica, il tempo è un parametro di indifferenza, che si manifesta nella perfetta reversibilità delle equazioni del moto, eterne, immutabili e assolute: in questo senso è come lo spazio, in cui si può andare e tornare tra due punti qualsiasi. Ma nel mondo biologico, e in generale nel mondo reale, questo andirivieni non è possibile, poiché esiste un'inesorabile freccia del tempo, che si manifesta nella legge dell'entropia crescente e che costituisce l'insegna di quella "scandalosa" branca della fisica che è la termodinamica, lo studio dei processi irreversibili. Penetrando nel cristallino edificio parmenideo della dinamica classica, dove la novità era bandita, il cavallo di Troia della termodinamica ha introdotto (o meglio giustificato) la storia, le rotture di simmetria e la nascita dell'informazione. La vittoria di Eraclito su Parmenide, dell'irreversibilità sulla reversibilità, si riflette nella concezione del corpo: contaminato, molteplice, ibridato, vero e proprio "simbionte" in perpetua trasformazione, il corpo è nomade, è dislocato "nello spazio delle esperienze più diverse e nel tempo delle memorie, dei progetti e delle attese". Ma l'irreversibilità non è solo dell'umano: bisogna "riconoscere che il tempo è la struttura coniugante la materia cosciente di se stessa e la materia conosciuta da tale coscienza". Materia e coscienza mostrano così una struttura unitaria. Nella materia dunque è implicita la coscienza, che fiorisce e sboccia in quelle sue parti che si complessificano sino a formare il vivente. L'enigmatica elusività del tempo scaturisce dalla sua natura duplice e in apparenza contraddittoria: esso trascorre e insieme permane, sta e fluisce. Il corpomente che è l'essere umano si rivela essere un dispositivo semantico che ricorda il passato (richiamandolo sempre diverso) e lo interpreta in bilico sul presente protendendosi verso il futuro: siamo costantemente volti a una "decifrazione interminabile dei segni", ma anche all'esercizio costante della capacità di dimenticare, per non finire nel marasma insensato in cui si dibatte il borgesiano Funes el memorioso. Il libro è una continua variazione modulata che contempera l'identità e la differenza: dunque è esso stesso una forma del tempo. La pregnanza del corpo si conferma nella natura essenzialmente fisica dei ricordi, come dimostra la memoria involontaria che intrama la Recherche proustiana. Ma la ricostruzione degli eventi è attiva, così come è attiva la conoscenza: tra noi e le cose (presenti o ricordate) vi è sempre un filtro creativo la cui funzione è quella di dare ai ricordi e agli eventi un significato utile alla sopravvivenza e alla costruzione narrativa del senso. Alla fine di questo mirabile cammino, percorso con trattenuta commozione e con raffinato argomentare, l'enigma del tempo permane: la sua complessità ci impedisce di coglierlo in un solo sguardo, come siamo sempre tentati di fare di fronte a ciò che ci si offre: «L'enigma del tempo è ciò che renderà sempre enigmatico l'umano a se stesso", e in un certo senso ciò è un bene, perché pensare il tempo è fare filosofia. Giuseppe O. Longo
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