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La tigre bianca - Aravind Adiga - copertina
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tigre bianca

Descrizione


Seduto alla sua scrivania, l'imprenditore autodidatta Balram Halwai, detto la Tigre Bianca, scrive sette lucide e impietose lettere al primo ministro cinese che si appresta a visitare l'India. Gli racconta delle proprie origini e della propria storia: la storia di un ragazzo di una delle caste più basse che da un fangoso villaggio all'interno del paese (dove "ogni buona notizia si tramuta in una cattiva notizia, e in fretta") arriva a New Delhi, dove mall luccicanti, sontuosi palazzi e auto tirate a lucido da magri autisti in ciabatte si accostano a bordelli di lusso con bionde prostitute dell'Europa dell'est. Qui, nel nuovissimo quartiere di Gurgaon, Balram Halwai assiste alla progressiva e inarrestabile corruzione del suo padrone, ne assimila la mentalità e intuisce che il modo per fuggire dalla gabbia della miseria esiste: commettere un omicidio, rubare e mettersi in proprio. Grazie a un duro lavoro, a pasti trangugiati in fretta, a un codice morale dettato dalle necessità produttive, ma soprattutto applicando le auree regole degli affari apprese da Mr Ashok, il suo defunto ex principale, il successo non tarda ad arrivare. Per il futuro si vedrà: forse potrebbe investire parte del proprio capitale in una scuola per i bambini poveri di Bangalore: una scuola piena di Tigri Bianche, in cui non si parli né di Gandhi, né dei 36 milioni di divinità indiane.
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Dettagli

2008
16 settembre 2008
232 p., Rilegato
9788806192006

Valutazioni e recensioni

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Cristiana
Recensioni: 4/5

Viaggio al termine della notte Terribile e potente viaggio nell'orrore e nel cinismo dei nostri tempi. Disturbante e caustico. Ho conosciuto l'autore ad un incontro letterario: mai avrei pensato che un ragazzo così mite potesse scrivere un romanzo del genere. Volutamente e funzionalmente sgrammaticata è una lettura appena un po' pesante, ma vale la pena di farla!

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Recensioni: 5/5

Forse 5 è troppo ma 4 mi sembrava poco. Bella storia, lettura scorrevole e una descrizione dell'India che, vera o non vera, colpisce. Consigliato.

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umberto
Recensioni: 4/5

libro molto particolare, che ti parla dell'India, dei suoi miti e, se vogliamo, anche dei suoi luoghi comuni come nessun altro te ne ha parlato finora

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Voce della critica

Romanzo d'esordio di Aravind Adiga, La tigre bianca ricostruisce la storia di un imprenditore di Bangalore, che scorre agilissima nelle sette lunghe lettere indirizzate dal protagonista al primo ministro cinese in occasione di una sua visita in India. Quella di Balram Halwai è l'ironica e atroce success story del figlio di un conducente di risciò, morto di tubercolosi in un lurido ospedale di un poverissimo villaggio del Bihar, che diventa un ricco e apprezzato uomo d'affari, percorrendo tutte le tappe tipiche di ogni storia di affermazione personale e allo stesso tempo ribaltandole con feroce cinismo.
Balram è strappato dalla scuola e costretto a lavorare per un possidente locale, in seguito ai debiti contratti dalla sua famiglia in occasione delle nozze di una cugina. Interrotta la formazione scolastica regolare, impara ogni cosa dalla strada, origliando le conversazioni degli altri o apprendendo nozioni sparse di storia e cultura del suo paese dai fogli di vecchi libri usati per incartare le vivande. Da qui inizia la sua scalata, che lo porterà in un primo momento a diventare autista di un imprenditore locale. La realtà del Bihar, uno degli stati più poveri dell'India, è descritta attraverso le immagini scarne della vita del villaggio, fatta di familiari oppressivi e avidi, maestri di scuola ubriachi, possidenti famelici e crudeli. Una realtà intimamente legata al territorio, alla sua asprezza e alle sue bellezze, e alle risorse da esso offerte (il carbone o le bufale), che, nella dimensione indiana attuale, vengono progressivamente abbandonate e sostituite dal sistema virtuale dell'outsourcing. È questo lo scarto tra i vecchi e i nuovi imprenditori: non sono più le risorse del territorio, ma la forza lavoro a basso costo, la nuova ricchezza dell'economia indiana, in uno spostamento verso un sistema che ha trasformato la semplice manodopera in capitale umano dal quale trarre profitto.
Balram ha uno scrupoloso senso del dovere e impone a se stesso un ferreo regime di autodisciplina. Con il rigore di un Benjamin Franklin postcoloniale, animato da propositi più egoistici e meno filantropici, evita il più possibile la compagnia dei suoi simili, gli abitanti del villaggio prima, gli altri autisti in seguito: e proprio la solitudine, la scrupolosa dedizione alle proprie mansioni e un senso maniacale del lavoro alimentano quel rancore verso il mondo che gli permetterà di emergere su chiunque altro, anche a costo di diventare un assassino, e senza il più piccolo rimorso o la minima traccia di pietà.
L'abisso che divide i ricchi dai poveri in una società complessa come quella indiana, tipico di tutti i paesi in via di sviluppo, è tale che le diverse classi sociali possono arrivare a un livello di mutua intelligibilità solo attraverso un meccanismo reciproco di semplificazioni, stereotipi e proiezioni. Quando diventa consapevole della corruzione che alimenta la ricchezza della borghesia indiana, Balram comincia ad attuare una strategia mimetica: rispettare fino al dettaglio l'immagine del servo fedele e devoto, che è quella che i padroni gli hanno cucito addosso, così da accattivarsi completamente e senza riserve la loro fiducia. Solo allora sarà possibile vendicarsi e prendere il loro posto, agendo con lo stesso cinismo spietato del quale loro si sono serviti, sicuri che le classi subalterne, ingenuamente devote, avrebbero risposto con l'asservimento più incondizionato.
La vita di Balram rilegge la storia dell'India e il suo passato recente, spogliando di ogni retorica il nazionalismo e i miti dell'indipendenza, e sottolineandone i contraccolpi negativi sul piano sociale. Il cinismo della nuova India passa intatto attraverso la retorica interclassista della non violenza gandhiana fino ad arrivare al recente trionfalismo della nuova economia indiana, senza che i soprusi e le lacerazioni sociali profonde vengano mai alla luce. Ecco perché Balram decide presto di voler diventare una "tigre bianca", un'eccezione rispetto al destino di "ragno umano" che lo attendeva: una vita di sottomissione, regolata dalle ferree leggi delle caste e mitigata dalle blandizie di un potere che cerca di addomesticare gli schiavi con la retorica della tolleranza.
L'unico modo per raggiungere uno status privilegiato è l'omicidio. È così che Balram riesce a impadronirsi dei soldi con i quali il suo padrone avrebbe dovuto corrompere i politici del governo centrale di Delhi, e a dare una svolta alla sua vita. Mr Ashok, il padrone con cui Balram ha avuto un'intesa quasi immediata, è una vittima emblematica: buono, generoso e comprensivo, può perfino permettersi un atteggiamento magnanimo e compassionevole con i servi, certo che la rigida divisione in caste sia una barriera sufficientemente potente da tenere chi comanda al riparo dal rischio di qualsiasi forma di ribellione. Quella di Balram non è una semplice reazione all'acquisita coscienza di un regime di ingiustizie sociali al quale opporsi. È, al contrario, la fatalistica accettazione dell'ineluttabilità degli eventi, con la consapevolezza, però, che la realtà sociale non dipende dalle leggi karmiche dell'induismo, ma da un più prosaico principio di prevaricazione dei forti e dei furbi. Non si tratta, quindi, di sovvertire le regole inique che disciplinano il sistema, ma semplicemente di trovarsi dalla parte giusta: un abominio fortuito che dipende dal caso, dalla sorte o dall'astuzia. Non a caso, dopo essersi stabilito a Bangalore, e aver avviato la sua attività con l'aiuto della corrotta polizia locale, Balram decide di cambiare nome e diventare egli stesso Mr Ashok. Una semplice sostituzione di ruoli, un cambiamento radicale (nome, identità, ruolo sociale) con l'unico scopo che tutto resti, gattopardescamente, immutato.
È forse questa la sensazione più amara che resta dalla lettura del romanzo, feroce distopia postmoderna; solo che, a differenza degli scenari orwelliani, le circostanze descritte da Adiga sono una riproduzione fedele della realtà, rispetto alla quale nessun incubo sembra più terrorizzante.
Fiorenzo Iuliano

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Conosci l'autore

Aravind Adiga

1974, Madras (India)

Giornalista e scrittore, dopo avere soggiornato in vari paesi - fra cui l'Australia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti - attualmente vive a Mumbai. Ha iniziato la carriera professionale come giornalista finanziario nella redazione del Financial Times, poi come corrispondente del Time in Sud Asia, diventando in seguito freelance. La Tigre Bianca (Einaudi, 2008) è il suo primo romanzo, e grazie ad esso ha vinto il Man Booker Prize 2008. Fra due omicidi è edito da Einaudi nel 2010, L'ultimo uomo nella torre nel 2012.

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