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Polese conduce una documentata ricerca sull’utilizzo di citazioni letterarie nella produzione musicale del nostro ’900. Lo scambio di parole tra letteratura e canzoni è quasi sempre stato unilaterale: più frequenti sono le tracce di poesie nei testi delle canzoni che viceversa. I modi in cui si attua questa trasfusione lessicale sono sostanzialmente quattro: reminiscenze, imitazioni, allusioni nascoste, citazioni. Inoltre, ci possono essere accostamenti inconsapevoli, in quanto il patrimonio musicale di un paese deriva da una koinè d’uso sia generalizzata sia personale, per cui ogni fruitore può cogliere individualmente una risonanza emotiva, ignorata da altri. Il canone letterario di riferimento delle canzoni nella prima metà del secolo era decisamente classico: Dante, Petrarca, Leopardi, come venivano recuperati dai ricordi scolastici, attraverso l’immagine stereotipata del poeta innamorato e infelice, o più raramente ripresi con intento satirico o dissacratorio. Dante è il più citato dai parolieri nostrani, non solo nel recupero di versi, ma anche come personaggio, figura esemplare inserita nell’ambiente fiorentino trecentesco e memorizzata collettivamente. Nella sua “Danthology”, l’autore ricostruisce cronologicamente tutti gli apporti danteschi al canzoniere nazionale dalla metà dell’800 ad oggi. Anche i lasciti della poesia petrarchesca e leopardiana sono evidenti nei testi delle nostre canzoni: il tema dell’amore perduto, i richiami alla giovinezza fugace, alla natura, alla solitudine, alla morte. Nelle due appendici finali vengono affrontati i casi in cui le canzoni rimandano a poesie e a titoli di libri di autori stranieri, e alla poesia erotica di Catullo e Saffo. A testimonianza della vastità degli interessi culturali di Ranieri Polese, spazianti attraverso epoche e argomenti diversi, documentati da dettagliate informazioni bibliografiche e di cronaca, resi in uno stile vivace e accattivante.
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