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Descrizione


In questo viaggio attraverso l'italiano cantabile dai primi decenni del Novecento a oggi si incontrano testi che risentono, in varia misura, degli esempi dei classici della tradizione letteraria. Echi e lasciti illustri, a volte evidenti, a volte mimetizzati, usati consapevolmente oppure emersi da lontani ricordi di scuola. Dante, naturalmente, è il più citato, con l'assoluta preminenza del Canto di Paolo e Francesca. Petrarca, soprattutto per il suo assunto che oggetto primo della poesia e quindi delle canzoni è l'amore, a maggior ragione quando è un amore che fa soffrire e piangere. Il terzo è Leopardi, il cui testo canonico, a sorpresa, è proprio L'infinito, che, tradotto nel lessico del discorso amoroso, ha costituito il riferimento continuo di canzoni che vanno da Gino Paoli a Vecchioni, da Don Backy a Battiato. Certo, nei cantautori di seconda e terza generazione fanno sempre più la loro comparsa poeti stranieri (Ginsberg, Villon, Edgar Lee Masters), un fenomeno che meriterebbe una trattazione a parte. Qui, però, in appendice, esaminiamo tre casi anomali: nei primi due, troviamo canzoni che usano solo i titoli di opere famose di cui ignorano il contenuto (i romanzi di Françoise Sagan, "I fiori del male" di Baudelaire). Nel terzo, scopriamo in tre successi degli anni 1967-1970 l'eco addirittura di Saffo.
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Dettagli

2019
3 dicembre 2019
151 p., Brossura
9788877687470

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alida airaghi
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Polese conduce una documentata ricerca sull’utilizzo di citazioni letterarie nella produzione musicale del nostro ’900. Lo scambio di parole tra letteratura e canzoni è quasi sempre stato unilaterale: più frequenti sono le tracce di poesie nei testi delle canzoni che viceversa. I modi in cui si attua questa trasfusione lessicale sono sostanzialmente quattro: reminiscenze, imitazioni, allusioni nascoste, citazioni. Inoltre, ci possono essere accostamenti inconsapevoli, in quanto il patrimonio musicale di un paese deriva da una koinè d’uso sia generalizzata sia personale, per cui ogni fruitore può cogliere individualmente una risonanza emotiva, ignorata da altri. Il canone letterario di riferimento delle canzoni nella prima metà del secolo era decisamente classico: Dante, Petrarca, Leopardi, come venivano recuperati dai ricordi scolastici, attraverso l’immagine stereotipata del poeta innamorato e infelice, o più raramente ripresi con intento satirico o dissacratorio. Dante è il più citato dai parolieri nostrani, non solo nel recupero di versi, ma anche come personaggio, figura esemplare inserita nell’ambiente fiorentino trecentesco e memorizzata collettivamente. Nella sua “Danthology”, l’autore ricostruisce cronologicamente tutti gli apporti danteschi al canzoniere nazionale dalla metà dell’800 ad oggi. Anche i lasciti della poesia petrarchesca e leopardiana sono evidenti nei testi delle nostre canzoni: il tema dell’amore perduto, i richiami alla giovinezza fugace, alla natura, alla solitudine, alla morte. Nelle due appendici finali vengono affrontati i casi in cui le canzoni rimandano a poesie e a titoli di libri di autori stranieri, e alla poesia erotica di Catullo e Saffo. A testimonianza della vastità degli interessi culturali di Ranieri Polese, spazianti attraverso epoche e argomenti diversi, documentati da dettagliate informazioni bibliografiche e di cronaca, resi in uno stile vivace e accattivante.

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Ranieri Polese

1946, Pisa

È inviato per il «Corriere della Sera», giornale di cui ha diretto le pagine culturali. Tra le sue pubblicazioni, II film della mia vita, Rizzoli) e la prefazione di Le mie canzoni di Vasco Rossi (Mondadori). Dal 2005 è curatore dell'Almanacco Guanda, pubblicazione a cadenza annuale che affida a scrittori diversi il compito di approfondire un tema monografico.

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