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Anche in ragione del trasferimento a Hollywood, relativamente recente, di numerosi autori e attori della contemporanea produzione cinematografica di Hong Kong, la critica e il pubblico in questi ultimi anni hanno dedicato la loro attenzione e la loro curiosità ai film provenienti dal paese che dal 1° luglio 1997 ha cessato di essere una colonia britannica per diventare parte della Repubblica popolare cinese. Anche in Italia, da qualche tempo a questa parte, sono uscite sull'argomento diverse pubblicazioni, l'ultima delle quali, il volume di Alberto Pezzotta, tenta un'analisi stilistica delle opere avvalendosi dell'utilizzo del videoregistratore e dichiarando, in sede di premessa, tutte le difficoltà inerenti il reperimento dei testi da analizzare, il bilinguismo dei titoli e dei dialoghi, la mancata conoscenza di questa doppia lingua, ma anche alcuni indubbi vantaggi "tecnici", come il fatto che la stragrande maggioranza dei film di Hong Kong sono sottotitolati in inglese. Puntualmente introdotto da un profilo storico del cinema di Hong Kong, il volume si dedica quindi a decifrare quelli che sono i suoi modelli di rappresentazione e le cifre stilistiche. In due capitoli dal tono lucido e brillante, l'autore non manca di citare i contributi di studiosi come Noël Burch e David Bordwell, ma soltanto per considerarli come punti di partenza e confronto in vista di una definizione delle precipuità della messa in scena made in Hong Kong e della sua percezione da parte dello spettatore. Arrivando a sintetizzare un modello di cinema in cui convivono "immagini che invocano una sospensione dell'incredulità e una visione ingenua" e "codici articolati"; e andando così a individuare, proprio in questo insieme di libertà espressiva e di complessità narrativa e di linguaggio, la ragione più piena del fascino irresistibile esercitato da queste opere sullo spettatore occidentale. In realtà l'autore si dedica soprattutto a decifrare lo spettatore di Hong Kong, dipingendolo come di certo non ingenuo e addirittura smaliziato, assolutamente consapevole delle regole e dei codici dello spettacolo cui si dedica, sapendo tuttavia preservare una gran voglia e curiosità di continuare a guardare, distinguendosi per la sua raffinata ricerca di un equilibrio tra "ripetizione e innovazione" (caratteristica, quest'ultima, che non lo rende molto diverso dallo spettatore occidentale). Pezzotta ci parla di tutto questo, ma naturalmente ben lungi dalla presunzione di aver individuato l'unico modello di rappresentazione possibile, manifestando le proprie cautele soprattutto in virtù della complessa articolazione in generi della produzione analizzata. Produzione che in ogni caso viene organizzata in una lunga serie di profili biografici e filmografici dedicati ai registi (Clara Law, Kirk Wong, Wong Kar-way, Stanley Kwan, ecc.), agli attori (dal mitico Bruce Lee al politicamente scorretto Anthony Wong, dalla "drammatica" Maggie Cheung alla Ann Hui cresciuta con horror e fantasy) e alle case di produzione (Shaw Brothers, Golden Harvest, Cinema City). Si individua tuttavia nel cinema di arti marziali (miglior esempio contemporaneo: Jackie Chan) un modello sufficientemente compiuto e a se stante in cui isolare un preciso sistema di riferimento tra la messa in scena, con le sue esigenze di "spettacolarità elementare", e la dimensione voyeuristica dello spettatore che, come in un film porno, tende a "vedere col fast forward, fermandosi solo alle uniche scene che contano, quelle d'azione". L'autore del volume, facendo affiorare strutture narrative e soluzioni espressive privilegiate, non manca di dedicare preziosi riferimenti alla loro diretta relazione con le modalità realizzative dei film, come quando scrive che "un regista di Hong Kong (...) scende in strada senza aver chiesto permessi a nessuno, e filma quello che succede, con attori che rischiano la vita in mezzo alle macchine vere". Dichiarando la centralità dei film d'azione e partendo dalla definizione della poetica e dell'estetica di autori imprescindibili come King Hu e Zhan Che, che a metà degli anni sessanta segnarono una rottura definitiva con i modi di espressione del cinema cinese classico, Pezzotta si dedica a trattare quelli che sono da considerarsi i caratteri distintivi del cinema di Hong Kong: la suddivisione in generi, il ruolo della violenza, l'attitudine al fantastico, lo spazio dedicato nei film alla riflessione sul cinema, il numero elevato di autori che sono anche gli attori nelle proprie opere, infine il problema del passaggio a Hollywood (da parte di autori come John Woo, Tsui Hark e Ringo Lam), relativo al bagaglio da portare con sé e il confronto con l'immaginario e le strutture produttive americane, ma anche l'influenza su alcuni capisaldi degli anni ottanta da parte dei film di Scorsese e De Palma.
recensioni di Mosca, U. L'Indice del 1999, n. 07
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