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Descrizione


La vita può lasciare senza fiato. Tutta quanta la vita, non solo quella di chi se n'è andato, come Lucy Barton, lasciandosi ogni cosa alle spalle. Anche la vita di chi è rimasto, la vita piccola e ordinaria della provincia americana, pur brulicante di emozioni impetuose sotto la cappa dell'immobilità

«In questo libro perfetto e ricercato, dolore e guarigione coesistono in uno stato di perpetua dipendenza, come fratelli in lotta» - The Wall Street Journal

«Tutto è possibile è un romanzo splendido e profondo. Il sogno di essere compresi, forse il più umano di tutti i desideri, è la sostanza che unisce le sue storie» - The Guardian

La vita di Pete Barton, ad esempio, un bambino di mezza età, eterno custode e prigioniero nella casa di famiglia. O le vite deragliate delle «Principessine Nicely», nomignolo ormai grottesco per promesse giovanili non mantenute. Riprendere quelle vite dopo molto tempo, conoscerle e riconoscerle, dà la stessa lancinante felicità di ogni ritorno a casa. Ad Amgash, Illinois, le vetrine dell'unica libreria ospitano l'ultima fatica di una concittadina, Lucy Barton, partita molti anni prima alla volta della sfavillante New York e mai piú ritornata. E non vi è abitante del paese che non voglia accaparrarsene una copia. Perché quel libro, un memoir a quanto pare, racconta senza reticenze la storia di miseria e riscatto di una di loro, e insieme racconta la storia di tutti loro, quelli che sono rimasti fra le distese di mais e di soia del minuscolo centro del Midwest, con il suo carico di vergogna e desiderio, di gentilezza e rancore. A Patty Nicely la lettura di quelle memorie regala una dolcezza segreta, come avesse «un pezzo di caramella gialla appiccicata in fondo alla bocca». Patty, da bambina tanto graziosa da meritare, insieme alle sorelle, l'appellativo di «Principessina Nicely», è oggi una vecchia e grassa vedova, ancora tormentata dalla vergogna di un antico scandalo familiare e zimbello dei ragazzini della zona. Eppure lei, dal libro di Lucy Barton, si sente finalmente capita. Livida e aggressiva appare invece la reazione di Vicky, sorella maggiore di Lucy, quando, con il fratello Pete, invecchiato in solitudine senza mai davvero crescere, i tre si ritrovano nella casa di famiglia per la prima volta dopo diciassette anni. Vicky, rimasta al palo delle occasioni mancate, non perdona alla sorella scrittrice di aver tagliato i ponti con un passato insopportabile, di avercela fatta, e le parole che i tre fratelli si scambiano sono coltelli che affondano nella carne viva dei loro ricordi di bambini. Eppure Vicky si è presentata all'incontro con un commovente velo di rossetto sulle labbra, e Pete, nel disperato tentativo di rendere la casa casa, ha comprato un tappeto nuovo. Certo, le cicatrici sono quasi piú della carne, per i personaggi di questi racconti, queste storie-capitolo di un'unica biografia collettiva, in dialogo serrato fra loro e con il romanzo che li ha preceduti, Mi chiamo Lucy Barton ; certo, «siamo tutti quanti un casino, e anche se ce la mettiamo tutta, amiamo in modo imperfetto». Ma se ci si può rinnamorare ben oltre i settant'anni su un lungomare italiano, come capita a Mississippi Mary; se si può trovare sollievo dal dolore indicibile dell'esistenza in un momento di assoluta condivisione nella stanza anonima di un bed and breakfast, come capita a Charlie Macauley; se si può scovare un amico, un amico vero, nel retro di un teatrino amatoriale, proprio alla fine di ogni cosa, come capita a Abel Blaine, allora tutto, ma proprio tutto, è possibile.
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Dettagli

2017
5 settembre 2017
216 p., Rilegato
9788806229696

Valutazioni e recensioni

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Giuber63
Recensioni: 5/5

Come riesce a scrivere così? Sentimenti sopiti o sepolti riemergono, ripuliti e cesellati nel nitore di un linguaggio implacabile, ma umano. Splendido libro.

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_joefalchetto_
Recensioni: 5/5

Elizabeth Strout mi incanta sempre. Non sono belle solo le sue storie, vite ordinarie di inciampi e gioie semplici, i suoi personaggi imperfetti, il suo Midwest cuore pulsante di umanità e connessioni, culla di un passato che resta aggrappato in ogni momento del presente; è bellissima anche la libertà che concede a ogni lettore di creare il suo palcoscenico, la sua personalissima chiave di accesso dentro la storia. Amgash non è solo la cittadina polverosa dell’Illinois che ha dato i natali a Lucy Barton, è soprattutto un mosaico di volti che si intrecciano, ritornano dopo un accenno, buttano sul foglio la loro tenerezza, il loro bisogno di essere compresi, i fantasmi del passato, gli angoli bui della giovinezza, i desideri e le passioni che sono sostanza della vita di ognuno. La bravura di Elizabeth Strout risiede proprio nel suo saper raccontare le persone, i gesti più semplici, profondi… universali. Il suo stile scarno e intimo sottolinea bene le imperfezioni della vita, si modella sul tema forte della sue narrazioni, la famiglia, e al contempo la sua scrittura è capace di lampi di luce e bellezza che celebrano la portata dei sentimenti e delle vicende narrate. Non pensate che sia il seguito di “Io sono Lucy Barton”, ma piuttosto una prospettiva più ampia sugli accadimenti della sua vita e sui personaggi che ne hanno fatto parte. Così come l’inarrivabile “Olive Kitteridge”, anche questo testo è composto di short story e nonostante la protagonista appaia in un solo capitolo, è perno per tutte le altre storie che gravitano qui. Regalatevelo, vi sembrerà il raggio di sole che squarcia le nuvole.

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Gabriele Della Torre
Recensioni: 4/5

Le vite di persone differenti si intrecciano all'interno di una comunità mostrando anche lati sconcertanti. Lettura molto apprezzata.

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Recensioni

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Voce della critica

Tutto è possibile, nel posto in cui lo sembra meno

Nella bandella di questo libro ci sono quattro parole che sembrava cercassero proprio i miei pensieri di questi giorni: vergogna e desiderio, gentilezza e rancore. Si presentano così, a coppie, con un lieve ma percepibile chiasmo: i sentimenti più belli allinterno, quelli meno belli allesterno. Un chiasmo come fosse una piccola fortezza, è la mia sensazione.

Queste parole stanno definendo il Midwest, in particolare la storia di tutti loro, quelli che sono rimasti fra le distese di mais e di soia del minuscolo centro del Midwest [Amgash], con il suo carico di vergogna e desiderio, gentilezza e rancore. Il Midwest, in questo caso, è lIllinois, uno stato piatto e diffusamente conservatore (Chicago è un altro mondo) dove ogni paesino sembra diventare quella piccola fortezza dei sentimenti che sulla pagina ha la forma di un chiasmo. Quattro pareti esterne (la gentilezza, il rancore, la vergogna e il desiderio), uno sconfinato soffitto di cielo sopra e un enorme pavimento di grano sotto.

Anni fa, di ritorno da un mio lungo soggiorno nellIllinois centrale, scrissi un reportage proprio su uno dei sentimenti di quel chiasmo: la gentilezza. Alla base del mio scritto cera uno sconcerto: come potevano essere così gentili i modi di quegli stessi personaggi (persone reali, ospiti, genitori, giocatori di golf) in cui albergavano e fiorivano pensieri tanto violenti e intolleranti verso il resto del mondo? Tanto violenti e intolleranti anche verso la sottoscritta? Non trovai una risposta allora, in quel reportage, né lho trovata di recente dopo la lettura di questo libro. Sono anni che continuo a chiedermi: com’è possibile?

Eppure ho capito delle cose. Ho capito almeno una cosa per ogni personaggio che popola questo romanzo. Ho rivisto in ognuno di quei nomi e in ognuna di quelle storie almeno un episodio che tanti anni fa mi portò allo sconcerto e, lo confesso, a una buona dose di fascinazione. Il paesino immaginario di Amgash è come il romanzo che abbiamo tra le mani: potrebbe chiamarsi con un nome reale (Rantoul, Charleston, Danville, Petersburg o Monticello) e raccontare cosa succede ai loro abitanti reali, la sua funzione resterebbe quella di accogliere le vite che apparentemente non capiamo e avvicinarle. Esistono dei posti chiusi e minimi, nel mondo, in cui ogni giorno di cose ne accadono poche, ma queste poche hanno tutte a che fare con una fortezza dei sentimenti in cui a un certo punto si insinua la voglia di libertà. La voglia di evadere. Nelle forme meno consuete e più tortuose.

Lultimo romanzo di Elizabeth Strout è un piccolo compendio di storie collegate le une alle altre dalle relazioni che i diversi personaggi intessono tra loro. Ogni storia è concentrata su uno degli abitanti di Amgash ed è una combinazione diversa di quei quattro elementi quando, appunto, cercano e incontrano forme proprie di libertà. Il Midwest e lIllinois sono zone in cui lAmerica proclama più forte il proprio attaccamento ai valori puritani e conservatori: spesso, uscire dalla fortezza provoca dolore o psicosi o, ancora peggio, violenza e autocommiserazione. A volte è la guerra che porta fuori dalla fortezza, e allora rientrarci diventa la più dolorosa delle consolazioni; o è un incendio che cambia gli equilibri di quello che fino ad allora si riteneva certo; o, ancora, è lamore quello più stravagante e insolito a forzare una volta per tutte la porta e a obbligare a una fuga il più lontano possibile. Le storie di Pete, Vicky, Patty, Abel, Dottie; i segreti e il destino di Charlie Macauley, il più memorabile, tra tutti; persino il racconto di Linda e suo marito, quello più noir e inquietante della raccolta; tutte le storie di questo libro ci portano a un passo da una risposta che non afferreremo mai in pieno perché la sua essenza è quella di contenerle tutte.

Tutto è possibile. Anche qui, forse soprattutto qui, nel posto in cui lo sembra meno.

Recensione di 
Marta Ciccolari Micaldi 

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Conosci l'autore

Elizabeth Strout

1956, Portland (Maine)

Vive a New York con il marito e la figlia, ed è originaria del Maine.Ha insegnato letteratura e scrittura al Manhattan Community College per dieci anni e scrittura alla New School. Suoi racconti sono apparsi in numerose riviste, tra le quali il «New Yorker».Con Amy e Isabelle (2000), acclamato da pubblico e critica, e vero e proprio caso editoriale, il suo primo romanzo, è stata finalista al PEN/Faulkner Prize e all'Orange Prize, e ha vinto il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award per l'opera prima e il Chicago Tribune Heartland Prize. Con Olive Kitteridge (2009) ha vinto il Premio Pulitzer. Citiamo anche Resta con me (2010) e I ragazzi Burgess (2013). Tra le sue pubblicazioni con Einaudi Mi chiamo Lucy Barton (2016), Tutto è possibile (2017), Olive,...

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