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Tutto è ritmo, tutto è swing. Il jazz, il fascismo e la società italiana - Camilla Poesio - copertina
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In Europa il jazz arrivò agli inizi del Novecento, ma in Italia fece il suo ingresso negli anni Venti, proprio quando si affermava il regime di Mussolini. Prodotto di quell'America verso cui il fascismo mostrava amore e odio, il jazz sbarcò con i transatlantici di ritorno da New York, con gli emigrati, le grandi orchestre in tournée, i balli ma soprattutto la radio e il cinema. In alcune realtà si radicò grazie a ricchi turisti americani come il compositore Cole Porter che villeggiava a Venezia. Gli italiani reagirono positivamente a quella nuova musica, soprattutto i giovani, e ascoltarla significò presto assumere comportamenti diversi e utilizzare nuovi prodotti di consumo. Tutto ciò in un paese in cui la Chiesa tuonava con violenza contro quei ritmi considerati amorali e pericolosi. E soprattutto sotto un regime liberticida, quello di Mussolini, che decideva tutto della vita del cittadino, anche cosa ascoltare, dove farlo, con quali restrizioni e quali permessi. Tra proibizioni, censure e esternazioni nazionaliste e razziste da una parte, e impulsi alla modernità e tentativi di italianizzazione dall'altra, la musica americana sopravvisse e mise radici. Questo libro è una storia dell'impatto del jazz sulla società italiana, dall'instaurazione del regime fascista alla fine della seconda guerra mondiale.
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Dettagli

2018
1 maggio 2018
VIII-184 p.
9788800748872
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Indice

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Introduzione; 1. Il jazz, il fascismo e l'America; 2. Il jazz si diffonde: dai transatlantici a Louis Armstrong; 3. Turismo, stranieri, mondanità. Il caso di Cole Porter; 4. Il jazz e il mondo giovanile; 5. Il jazz e il nazionalismo musicale; 6. «Il gez un avvilimento della razza»: jazz e razzismo; 7. Censura e ordine pubblico; Conclusioni; Note; Bibliografia; Indice dei nomi.

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