Quando Michail Aleksandrovič riceve dalla Mongolia i resti di un cavallo selvatico, ne rimane folgorato: il teschio che tiene tra le mani corrisponde a quello di un esemplare considerato estinto da lunghissimo tempo, tanto che il giovane zoologo di San Pietroburgo comincia subito a sognare una spedizione negli altipiani a oriente, alla ricerca della specie che affonda le sue radici in tempi remoti, forse la più antica esistente, di cui i nomadi non hanno mai smesso di raccontare. Un'impresa apparentemente impossibile, che l'incontro con un esploratore entusiasta renderà d'un tratto concreta. Poco più di cento anni dopo, Karin lascia Berlino insieme al figlio e si avventura nella riserva di Hustajn per realizzare il più grande piano di salvaguardia naturale di tutti i tempi: grazie a lei, quegli stessi cavalli un tempo liberi e selvaggi, con i quali sin da bambina condivide un legame profondo, stanno per tornare alle vaste steppe delle origini. Ce la faranno a sopravvivere? E che ne sarà di quelli rimasti nei parchi faunistici di un continente sconvolto dai cambiamenti climatici, da carestie e alluvioni, di cui Eva, in un futuro molto vicino, si prende cura nella sua fattoria?
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Un testo brillante che si inserisce nel progetto letterario dell'autrice norvegese, sui disastri ambientali. Questo romanzo si concentra sull'estinzione delle specie animali a causa dei cambiamenti climatici, in questo caso specifico quella dei cavalli di Przewalski, noti anche come takhi. Il romanzo si sviluppa su tre linee narrative parallele, ambientate in epoche e luoghi diversi, ma legate dal comune destino di una specie animale e dalla passione dei suoi protagonisti umani. Lo zoologo Michail Aleksandrovič (San Pietroburgo, 1881) sogna di salvare la specie, convinto di aver trovato gli ultimi esemplari viventi, e il suo resoconto di viaggio si configura come un diario avventuroso che ci trasporta in una Russia zarista, lontana e fredda. Emerge la figura carismatica del mercante di animali Wilhelm Wolff. Karin veterinaria tedesca, (Berlino e Mongolia, 1992) dedica la sua vita al progetto di ripopolamento dei cavalli di Przewalski. Un viaggio di speranza, ma anche un racconto intimo sulle complesse dinamiche familiari e sul difficile equilibrio tra vita personale e dedizione al lavoro. Eva e sua figlia Isa tentano di sopravvivere in una fattoria isolata, in un futuro distopico resistendo al collasso della civiltà (Norvegia 2064). prendendosi cura degli ultimi due takhi rimasti, animali che rappresentano per lei un simbolo di speranza in un mondo sull'orlo dell'estinzione, la loro storia è un monito per il lettore sulle possibili conseguenze dell’operato umano. Il destino dei cavalli di Przewalski diventa così metafora della vita umana stessa, con i suoi cicli di nascita, lotta, morte e speranza. "Gli ultimi della steppa" non è solo un romanzo sui cavalli, ma una potente riflessione sulla nostra stessa sopravvivenza, un inno all'empatia e un invito a coltivare la speranza, anche negli scenari più bui.