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Roma, Annus Domini… no, nessun dio, nessun tempo in questa storia. Forse nessuno spazio. Quella che un tempo era la patria della cristianità ora è simboleggiata dal suggestivo scheletro della cupola di San Pietro. Un altro mondo, un’altra esistenza, quella post-atomica. La vita è un groviglio di anime mutilate che calpestano la città eterna, corrotte nel corpo e nella mente. Roma, l’Urbe Ferox, spartiacque tra un Nord che ha proclamato la sua Frattura dal resto dello stivale e un Sud assediato dalle popolazioni straniere, è la città di Marzia, di Sybil, di Rog. La prima, una donna che vende il suo corpo, un destino quasi rispettabile, considerando che c’è chi il corpo lo vende davvero, in maniera più letterale, dove il carnale diventa carne, pezzi di ricambio offerti in cambio di pochi spiccioli. La seconda, una killer che ha commesso l’errore di toccare un intoccabile. Il terzo, un gladiatore che si guadagna da vivere combattendo in un fatiscente Colosseo. Una società malata che reclama la sua pace attraverso una droga potente, l’Overkill, l’unica sostanza in grado di far dimenticare l’orrore che si è costretti a testimoniare, ora che i governi sono caduti e l’unica parvenza di ordine è data da poche, deliranti direttive che si perpetuano attraverso il Source, un astratto sistema operativo che nulla può contro la bestialità che ha contribuito a creare. Ed è qui che subentra il genio ribelle dell’autore con un romanzo che fa del degrado una critica serrata a una società già profondamente assuefatta dal soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, con la conseguenza di essersi snaturata del tutto. Urbe Ferox è un delirio profetico di un mondo che vive delle sue contraddizioni, dei suoi problemi, e che emergono in maniera più distruttiva, allegorica, attraverso una scrittura fredda e brutale, ma allo stesso tempo fluida e viva, capace non solo di raccontare, ma anche di instillare delle immagini spaventose, crude e disumane. Un incubo a libro aperto.
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