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Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998 - Claudio Magris - copertina
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Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998 - Claudio Magris - copertina
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Descrizione


"Utopia e disincanto" raccoglie un'ampia scelta della produzione saggistica di Claudio Magris. Il lettore incontrerà scritti che analizzano la nostra attuale condizione umana e storica, ma anche fulminei commenti alle bizzarrie della Grande Storia o della cronaca spicciola, riscoperte di libri dimenticati e incontri con destini randagi. Ci sono Borges e Jünger, Goethe e Hugo, Mann e Dostoevskij, Nievo e Hesse, Broch e Andric, Tagore e Primo Levi... Ma anche i libri di viaggio e d'avventura e le opere di "non scrittori", di marginali della letteratura come il lappone Turi, lo sciamano groenlandese Qippingi o l'anonimo poeta amazzonico. Non mancano, infine, alcune riflessioni sull'attualità, a volte su problemi di rilevanza morale e politica, a volte su situazioni quotidiane.
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Dettagli

2
2016
Tascabile
13 ottobre 2016
336 p., Brossura
9788811672258

Voce della critica

"La letteratura difende l'eccezionale e lo scarto contro la norma e le regole; essa ricorda che la totalità del mondo è infranta e che nessuna restaurazione può fingere di ricostruire un'immagine armoniosa e unitaria della realtà che sarebbe falsa."


Una raccolta di brevi saggi e di articoli giornalistici, molti già noti al lettore, altri forse meno conosciuti: eppure un volume che fa trascorrere alcune ore in compagnia di Claudio Magris è sempre e comunque un evento, uno dei rari piaceri della vita, la possibilità di avere una chiave di lettura in più sul mondo, sulla realtà che ci circonda, su noi stessi. E infatti possiamo attribuire allo scrittore triestino la qualità di "maestro", proprio nel senso che lui stesso dà a questo termine nel saggio del 1996, Maestri e scolari: maestri non sono infatti "le figure che trasmettono la Legge; possono essere anarchici che la trasgrediscono, ma sempre in nome della necessità di trovare la propria via alla Legge". Così quando nel primo saggio, che dà il nome alla raccolta, viene dichiarata la necessità della coesistenza di utopia e disincanto (che ridicola cosa sarebbe don Chisciotte se non avesse al suo fianco Sancho Panza!), della indispensabile coscienza del peccato originale, ma dell'altrettanto indispensabile ricordo dell'Eden, Magris svolge appunto, nel modo più rispettoso per il lettore, questa funzione di "maestro".
La ormai rara capacità d'indignazione davanti all'osceno spettacolo dell'indifferenza dei vivi di fronte allo scandalo della morte, fotografata su di una spiaggia estiva e riprodotta su vari quotidiani, è presente in un articolo del 1997, posto quasi a chiusura della raccolta, Foto d'agosto: lo sgomento davanti alla morte, il valore dei riti come sicurezze a cui aggrapparsi davanti a ciò che è solo mistero, il rifiuto assoluto di una indifferenza che testimonia non il gusto ineludibile del godere, sempre e nonostante tutto, ma il trionfo della morte nella sua negazione, nel rifiuto di offrirle omaggio, si chiude con una richiesta di perdono, che deve essere fatta propria da ogni lettore, anche dal più distratto.
E così l'utopia e il disincanto si uniscono continuamente al tema dell'amore: un amore più vasto, che "implica il disincanto e la capacità di fissare il nulla", ma che non si arrende davanti alla brutalità dell'oggi e della vita; o l'amore per una donna che può non essere logorato dallo scorrere del tempo, ma che, col passare degli anni sa inventare nuove emozioni, nuove forme di complicità e di unione, "come l'acqua di un fiume che trascina via, ma aggiunge anche cose nuove".
La letteratura è offerta come strumento di conoscenza, proprio per la sua ambiguità ("non si può accarezzare né rifiutare l'ambiguità; essa è nelle contraddizioni delle cose e del nostro animo e l'unico modo di esserne adeguati è cercare di districarla pur sapendo di non riuscirvi"), nonostante la sua "inadeguatezza a rappresentare la vita" (citando Borges), ma anche per la sua irregolarità, per quello scarto perenne che testimonia la frantumazione dell'ordine universale e delle nostre identità.
Proprio il tema dell'identità è presente in Dall'altra parte. Considerazioni di frontiera del 1993. La frontiera è vista simbolicamente talora come "ponte per incontrare l'altro, talora barriera per respingerlo", e ogni uomo si trova ora di qua, ora di là, anzi ognuno necessariamente è unione delle due cose: sicurezza di identità, necessità del limite, ma altrettanto doverosa consapevolezza dell'inconsistenza, della precarietà di tali barriere. "La letteratura insegna a varcare i limiti, ma consiste nel tracciare i limiti, senza i quali non può esistere nemmeno la tensione a superarli", utopia a e disincanto, appunto, identità ironica e sempre da verificare. Per chi, come Magris, è nato a Trieste, la frontiera (e le sue simbologie) è stata elemento di formazione sentimentale e intellettuale, così come il mare: frontiera anche come confine morale e mare come momento di indistinta unione, di luogo del ritorno: essere Ulisse è cercare la patria attraverso il mare.
Così la modernità, le sue contraddizioni, le sue "utopie", ormai inseparabili dal nostro "disincanto", (non siamo certo più affascinati dalle magnifiche sorti e progressive) diventa quasi uno specchio della condizione umana. Il sondaggio, l'uso del questionario come forma di conoscenza di cui la società computerizzata fa largo uso, "non snatura la vita, ma dice forse la verità, lascia filtrare, negli spazi bianchi fra una 'D.' e una 'R.', il vuoto, il niente, l'indicibile e impensabile morte". A questo punto la letteratura è un'ancora, la salvezza se "il gesto di narrare crea, finge e costruisce un'identità, mentre chi risponde ai test sente di perderla", chi più dello scrittore, del narratore, di Claudio Magris, può e sa regalare a sé e a noi qualche "utopia" che ci illuda che la rozza Aldonza sia l'incantevole Dulcinea?

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Claudio Magris

1939, Trieste

Scrittore, germanista e senatore (nella XII Legislatura) italiano. Ha insegnato letteratura tedesca prima presso l'Università di Torino, poi presso quella di Trieste. Impostosi giovanissimo all'attenzione della critica con Il mito Absburgico nella letteratura austriaca moderna (1963, elaborazione della tesi di laurea), è stato fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all'interno della letteratura mitteleuropea con Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971). Danubio (1986), forse il suo capolavoro, lo consacra come uno dei massimi scrittori italiani contemporanei. Con questo libro vince il Premio Bagutta nel 1986 e successivamente il Premio Strega nel 1997 con il romanzo Microcosmi e il Premio Principe delle Asturie nel 2004 nella...

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