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Van Gogh. Il suicidato della società
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Van Gogh. Il suicidato della società - Antonin Artaud - copertina
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Van Gogh. Il suicidato della società

Descrizione


«Come un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno», la società suicidò van Gogh. Non fu dunque il pittore a soccombere a un suo delirio, ma un delirio ben più vasto e maligno, l’affatturamento capillare che è la prima opera della società stessa, a farlo soccombere. Non si creda, però, che qui Artaud anticipi le innumerevoli accuse alla società cattiva e oppressiva che hanno ammorbato i nostri anni. Artaud, come sempre, è ben più radicale. Non gli basta il predominio di una classe sull’altra, o la malvagità del denaro, per inchiodare la società. Ma è la magia nera della società stessa, l’universale fattura che essa fa agire su tutti a essere chiamata qui da Artaud con il suo nome. È questa la prima e insuperata forma di «crimine organizzato» che ci governa. Van Gogh, e come lui Gérard de Nerval, o Artaud stesso, stavano per sottrarsi alle maglie di quella fattura, ma ne furono alla fine catturati di nuovo, come vittime preziose, di cui spartirsi le spoglie. Un anno prima di morire, nel 1947, Artaud affrontò van Gogh, raccontando la sua «funebre e rivoltante storia di garrottato da uno spirito malvagio», e illuminando con la luce barbagliante delle sue frasi spezzate ciò che significa la maledizione dell’artista, il nemico occulto del suo opus: «In fondo ai suoi occhi come depilati, da beccaio, van Gogh si abbandonava senza tregua a una di quelle operazioni di oscura alchimia che hanno preso la natura per oggetto e il corpo umano per marmitta o crogiolo».

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Dettagli

6
1988
30 novembre 1988
182 p.
9788845903137

Valutazioni e recensioni

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Nellaseradamorediviola
Recensioni: 5/5
Il genio Van Gogh

Saggio consigliato a chi ama l'arte di Van Gogh e la scrittura dissacrante di Antonin Artaud, due geni che in vita furono etichettati pazzi da una società malata, una società che voltò la spalle dinanzi al loro estro creativo. Questo saggio fu scritto da Artaud nel 1947, dopo che aveva trascorso nove anni in manicomio, e chi meglio di lui poteva capire e conoscere l'animo del pittore olandese? Artaud ci trasporta in alcuni quadri di Vincent e ci mostra che, dove gli altri vedevano la follia, lì si celava l'originalità di un grandissimo pittore. ESTRATTO: "Van Gogh ha scagliato i suoi corvi come i microbi neri della sua milza di suicidato a qualche centimetro dall'alto e come dal basso della tela, seguendo lo sfregio nero della linea in cui il battito del loro ricco piumaggio fa pesare, sul rimescolarsi della tempesta terrestre, la minaccia di un soffocamento dall'alto. Eppure tutto il quadro è ricco. Ricco, sontuoso e calmo il quadro. Degno accompagnamento per la morte di colui che, in vita sua, fece volteggiare tanti soli ebbri su tanti covoni liberi da ogni vincolo, e che, disperato, con una fucilata nel ventre, non seppe non inondare di sangue e di vino un paesaggio, inzuppare la terra di un'ultima emulsione, gioiosa al contempo, e tenebrosa, con un sapore di vino inacidito e di aceto andato a male''.

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Allen W. Beat
Recensioni: 3/5

Artaud parla di Artaud, accennando a van Gogh. Tesi: Vincent non si è suicidato ma è stato suicidato dalla società che lo ha affatturato. La fattura della società nei confronti di una mente illuminata. La fattura, la maledizione. Gli psichiatri hanno demolito il genio, l’artista (chi, van Gogh o Artaud?). La società non può contenere l’artista geniale e allora lo dissolve, lo annienta, lo emargina, lo aliena, lo suicida appunto. Ecc. Intanto il testo in esame, letto e riletto, in quanto ridondante di note a margine e stesure doppie, sembra una esegesi biblica. Venerazione palese dell’autore ispirato nella lettura e nella variazione del versetto, del periodo, del paragrafo, della virgola, insomma una sofferenza letteraria da pochi eroici pazzi lettori che vogliono capire, non tanto la figura del pittore van Gogh, quanto il processo creativo di scrittura-dettatura del sacerdote Artaud. Alcune parti interessanti. Il resto è culto. Cuore di tenebra, dov'è la luce?

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Elena8573
Recensioni: 5/5

Una non facile lettura di denuncia sull'incapacità sociale di accettare il vero talento nelle persone, raccontata in maniera assolutamente sublime. Artaud è uno scrittore dalla genialità estrema e dal pensiero assoluto, capace di una scrittura complessa e poetica, una gioia sintattica leggere il suo pensiero, un arricchimento personale che porta a ragionamenti che vanno oltre una semplice visione personale del soggetto, in questo caso il pittore Van Gogh e l'idea che sia stata una società incapace di elevarsi abbastanza per capire la genialità insita nelle sue opere che vanno oltre alla visione ottica. Un piccolo pensiero "Credo che Gauguin pensasse che l'artista deve ricercare il simbolo, il mito, ingrandire le cose della vita sono al mito, mentre Van Gogh pensava che bisogna saper dedurre il mito dalle cose più terra terra della vita. E in questo, io penso che avesse maledettamente ragione. Perché la realtà è terribilmente superiore a ogni storia, a ogni favola, a ogni divinità, a ogni surrealta' Basta avere la genialità di saperla interpretare."

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Voce della critica


recensione di Streiff Moretti, M., L'Indice 1989, n. 6

Il 16 gennaio 1948 il premio Sainte-Beuve per la saggistica veniva assegnato a questa requisitoria allucinata, firmata da uno scrittore notoriamente "pazzo": tramite l'identificazione con il pittore (geniale, pazzo, suicida), Artaud bollava la società e gli psichiatri con lo stesso marchio d'infamia che essi avevano adoperato nei suoi confronti. E l'attribuzione a "Van Gogh il suicidato della società" del paludatissimo "Sainte-Beure" è senz'altro indicativa della cattiva coscienza di una collettività che tante colpe recenti sentiva ancora inespiate.
Quando, nel gennaio del 1947, era stata allestita dal Musée de l'Orangerie una mostra dedicata a Vincent Van Gogh, Artaud era da soli sette mesi tornato in libertà, dopo quasi nove anni trascorsi in asili psichiatrici. La Francia aveva appena terminato la conta dei reduci e delle vittime di altri internamenti, ed erano gli anni dell'esistenzialismo. Negli ambienti intellettuali ed artistici di Parigi, Artaud era tutt'altro che uno sconosciuto, anche se pochi serbavano un ricordo diretto del fondatore dell'effimero Théatre Alfred-Jarry, del traduttore del "Monaco di Lewis" e dell'autore di "Héliogabale". Le manifestazioni di solidarietà organizzate da scrittori ed artisti a favore del poeta redivivo, nonché alcuni testi apparsi in riviste quando ancora era ospite del manicomio di Rodez (come la "Lettre sur Lautréamont", accolta con entusiasmo dai "Cahiers du Sud") avevano contribuito a circondare il personaggio di un'aura di scandalo e di attesa. Si aggiunga che l'editore più prestigioso, Gallimard, già si era offerto a curare l'edizione integrale delle opere.
Il testo nasce da una provocazione di Pierre Loeb il quale, nel preciso intento di spingere Artaud a scrivere su Van Gogh, gli spedì un articolo apparso sul settimanale "Arts", a firma di un medico che pretendeva "fare il punto del pensiero moderno sulla pazzia del pittore" (l'articolo è allegato al saggio di Artaud, ottimamente curato da Paule Thévenin e tradotto con grande onestà e precisione in una lingua asciutta, molto vicina allo stile artaudiano). In questa esercitazione da psichiatria positivista alla Lombroso, Artaud riconosceva gli ingredienti di una diagnosi che aveva giustificato agli occhi dei benpensanti e dei suoi stessi famigliari la reclusione, i maltrattamenti fisici, la camicia di forza e gli elettrochoc: la scienza ufficiale continuava insomma a considerare l'opera di un artista come prova a carico in un processo per degenerazione mentale. Ribellatosi contro il luogo comune della contiguità tra genio e follia e contro l'inevitabile corollario dell'ereditarietà, egli inserisce invece l'individuo di eccezione nel filone degli esseri superiori perseguitati in quanto tali da una società "tarata".
Ed è così che, in risposta allo sforzo di lucidità compiuto da un individuo, davanti allo scalpello "da beccaio" del suo sguardo scrutatore, il mondo esterno si rinchiude e oppone, per non essere scalfito, un muro di pavidità. Nel silenzio di una massa anonima che lo guarda con occhio vitreo, l'artista - ogni artista geniale - percepisce "ondate massicce di odio", le stesse che Artaud sentiva già nel manicomio di Rodez. Colui che gli psichiatri chiamavano schizofrenico accusa ora il delirio collettivo di una società malata che non ammette e non tollera l'esistenza di un altro da sé. Non c'è posto, dice Artaud, per una personalità non scissa come quella di Van Gogh quando la mediocrità della massa fa appello agli psichiatri per gelosia verso il genio nel quale vede sempre un nemico: non appena un genio del calibro di Van Gogh (o di Artaud) riesce a trovare il posto del proprio io tra spirito, corpo e carne, accingendosi ad aggredire le contraddizioni di cui si nutre e si avvelena la società, quest'ultima si vendica facendo irruzione in lui per ucciderlo. La "follia" suicida è questo irrompere del mondo esterno che riesce a far scoppiare l'involucro dell'io sotto la pressione delle idee collettive. Di qui l'ammonimento a non alzare lo sguardo al di sopra del piano sensoriale, per resistere all'invasione del mondo delle idee: "Non pensate mai!".
Al di là del virtuosismo con il quale lo scrittore riesce ad invertire lo sguardo accusatore, operando quello che in francese si usa definire un 'renversement du stigmate', Artaud ha effettivamente risposto alle attese e consegnato alle stampe un testo "scandaloso": non tanto, e non soltanto, ponendo sotto accusa la società per il fatto incontrovertibile che "non ci si suicida da solo ", ma perché, contrariamente a predecessori illustri come il citato Nerval che narrava da sano l'esperienza della follia, egli ignora la frontiera tra razionale e irrazionale. E se è vero che la libertà è abolizione dei limiti, questo è un testo scandalosamente libero per il fatto di infrangere, insieme alla razionalità, il principio d'ordine che costituisce la regola fondamentale della società civile. Dietro il principio d'ordine, Artaud scorge l'acquiscenza all'autorità: la società fondata sul sacrificio umano, il patto scellerato di esclusione, tortura, uccisione di tutti coloro che non rientrano nei suoi limiti razionali. E la provocazione di questo testo sta, anche oltre le stesse intenzioni dell'autore, nel farci sentire la voce delirante dei "suicidati della società" che sono l'altra faccia dell'ordine.
Ma per lo scrittore, esso è innanzitutto uno strumento, forgiato dall'uomo di teatro che Artaud non ha mai smesso di essere. Di teatro e non di spettacolo: qui non si tratta di commuovere, ma di colpire nel vivo il lettore, di costringerlo talvolta a urlare il suo dissenso verso un discorso che dà forse una buona rappresentazione della realtà, ma che non è la realtà; si tratta di far sì che venga fuori il suo desiderio isterico di ordine, la sua faccia di assassino. E far sì che nel contempo egli si identifichi con la vittima, che senta come un ferro rovente questa sua intima contraddizione, che sia insieme il volto scoperto e la faccia nascosta dell'oppressione. Lo scandalo insomma è che l'irrazionale sia vero.

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Antonin Artaud

1896, Marsiglia

Commediografo, attore teatrale, scrittore e regista teatrale francese, Antonin Artaud nacque in una famiglia borghese. Il padre, Antoine Roi, era capitano di lungo corso e sua madre, Euphrasie Nalpas, era originaria di Smirne, in Turchia.I suoi ricordi d'infanzia sembrano evocare un clima caloroso, affettuoso, che viene però turbato dal manifestarsi di una grave malattia.All'età di quattro anni il bambino è infatti colpito da una meningite, alla quale si tende ad attribuire la maggior parte dei problemi neurologici di cui soffrì in seguito. Questi problemi comprendono la nevralgia, la balbuzie e vari episodi di depressione grave.Convinto assertore del surrealismo, se ne allontana per frequentare la scuola di Ch. Dullin, esordendo come attore all'Atelier. Nel...

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