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recensione di Tiliacos, N., L'Indice 1995, n. 4
Chi conosce Giorgio Celli sa che all'eclettismo di questo scienziato-umanista (docente universitario di entomologia, etologo, ecologo, poeta, drammaturgo, divulgatore di successo in televisione e sulla carta stampata) fa riscontro un amore per i gatti assoluto, monotematico, diremmo quasi "monoteista". Amore dichiarato, proclamato, esibito: "gattofilo impenitente, e forse intransigente", si autodefinisce Celli, e non per la prima volta, in questo libro dedicato interamente ai felini della sua vita. I gatti, cioè, che via via hanno vissuto con lui, o attorno a lui, e grazie ai quali, a partire dall'infanzia, ha contratto una invincibile "gattodipendenza": sindrome ormai discretamente diffusa, come testimoniano i sei milioni di mici un giro per le case Italiane.
Giorgio Celli non è, però, solo un gattofilo militante. È anche, come sottolineano gli etologi Gemma Calamandrei ed Enrico Alleva nella loro prefazione, un etologo professionista. Che non dimentica mai di esserlo, nemmeno a tu per tu con l'adorata "minitigre", che riesce, tutt'al più, a ridimensionarlo alla funzione di etologo dilettante o "da appartamento". Ciò, si badi, non corrisponde a una diminutio di ruolo. Non per Celli, almeno, che dell'"etologia da camera" è da sempre sommo teorico e assiduo praticante (un suo libro con questo titolo, uscito nel 1983, è stato ripubblicato lo scorso anno, nella Bur) e che in questa dimensione "scalda" felicemente le sue scientifiche osservazioni comportamentali al fuoco di un'invincibile empatia per i piccoli felini domestici.
"La vita segreta dei gatti" (titolo che parafrasa il fortunato "La vita segreta dei cani" dell'etologa dilettante americana Elzabeth Marshall Thomas) è costruito come una sequenza di storie divertenti, a volte commoventi, sempre profonde e in grado di raccontare qualcosa di imprevedibile (di "segreto", effettivamente) sul più imprevedibile dei quattrozampe domestici e sulla natura misteriosa del legame che ci lega a lui. Perché gli umani possono amarlo moltissimo ma anche, a volte, odiarlo terribilmente; fatto, quest'ultimo, che giustifica per Celli (come dargli torto.?) la rottura senza ripensamenti di amicizie e flirt.
Ma in queste storie il gatto non è semplicemente il protagonista, il piccolo grande totem da cui partono e a cui ritornano riflessioni di varia umanità e felicità: esso è soprattutto l'essere mercuriale che introduce l'autore, bambino appena in età di ragione, ai misteri della vita e della morte, e che lo avvia, una volta per tutte, alla professione di osservatore e interprete della vita animale. Se Celli è etologo lo si deve, insomma, alla gattina che lo iniziò, a poco più di sei anni, al rituale dell'allattamento e, insieme, alla vertigine dell'analogia: il piccolo etologo si rese conto, stupefatto, che, come la puerpera felina, anche una mamma umana allattava il suo neonato. E da qui la folgorazione: non sarà che l'uomo, come il gatto, è un mammifero? Di queste e di molte altre conoscenze, e autocoscienze, Celli si dichiara debitore alla stirpe gattesca. Perciò non gli appare così assurdo il nonsenso di Ionesco "Tutti i gatti sono mortali, ma anche Socrate è mortale: quindi Socrate è un gatto". Secondo Celli, "la battuta può venir presa sul serio, perché se è vero che Socrate spronava gli uomini a cercare, e a trovare 'se stessi', il gatto, o per meglio dire una mia gatta, di nome Giuditta, ha rivestito per me una funzione socratica".
Analoga funzione rivelatrice assegna al gatto lo scrittore egiziano Naghih Mahfuz, premio Nobel per la letteratura, nel racconto intitolato "La taverna del gatto nero". Il felino in questione farà ricordare ai prosaici avventori che, un tempo, era una divinità: Bastet, dea lunare dalla testa di gatta, scesa sulla terra perché baleni in noi, di tanto in tanto, la nostalgia di quell'età dell'oro in cui forse anche gli uomini erano divini. E come Bastet, anche i suoi piccoli parenti terreni sembrano fatti della materia dei sogni. "Che cosa diavolo avrà sognato?", si interroga Celli, inquieto, a proposito delle escursioni oniriche del suo convivente felino di turno, di cui gli è possibile apprezzare, mentre dorme nel cestone, le reazioni turbolente a chissà quale avventura vissuta nel regno di Morfeo.
Certamente, la voluttà e la lunghezza del sonno dei gatti è parte fondamentale della loro "essenza", così come l'aggressività (sempre a ragion veduta, avverte l'autore), l'espressività, la curiosità, la memoria e l'unicità: ogni gatto è individuo, con una propria personalità, afferma Celli, che porta ad esempio i "sette e forse otto gatti" con i quali ha vissuto: indipendenti o coccoloni, sfuggenti o giocherelloni o addirittura (consapevolmente) burloni.
Ma allora, "Il gatto è, veramente, un animale domestico? Oppure, come ha scritto Marcel Mauss, è il solo animale che, al contrario, abbia addomesticato l'uomo?", si do manda e ci domanda Celli, nel prologo alla deliziosa storia della gatta di Maometto, il cui sonno era così sacro per il suo padrone che questi si fece tagliare la manica della vestaglia su cui la bestiola si era addormentata, per non correre il rischio di disturbarla. Nel XX secolo, quel sonno prezioso per il Profeta è diventato molto importante per motivi più scientifici e meno affettuosi: sono i gatti i soggetti ideali per lo studio della "fase Rem", o "sonno paradosso", che il neurobiologo Michel Jouvet ha scoperto e approfondito anche grazie a loro. "In termini tassonomici, il gatto è alla fine di un 'phylum' e non si è evoluto da cinquanta milioni di anni", dice Jouvet (nel libro-intervista "La natura del sogno", edito da Theoria), e individua. nel gatto "l'animale del neurofisiologo". Blasone a cui, e è da scommettere, i felini oggetto di esperimenti rinuncerebbero assai volentieri.
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