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Un libro, sorprendente , ironico ma pieno di spunti di riflessione: lo inizi e non lo lasci sino alla fine
Una storia originale che, però, viene molto penalizzata dalla stesura in forma di dialogo.
Avvincente, emozionante, pieno di spunti di riflessione, mi sono davvero divertito ! Spero tanto ci saràaun seguito. Just loved it !
Recensioni
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Din don!
S’ode a destra uno squillo d’Achille: “Non c’è alcun rapporto fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima”.
A sinistra risponde un Achille: “Fra l’anima e le acciughe c’è decisamente qualcosa in comune”.
Il primo Achille – quello degli asparagi, per intenderci - è il Campanile più famoso di un Paese che attorno ai campanili ha costruito la sua identità. Era un pamphlet delizioso, quello nel quale il maestro dell’umorismo cercava provocatoriamente di stabilire una connessione, un nesso purchessia fra l’ortaggio più prosaico e il concetto più ineffabile, alzando infine le mani in segno di resa.
Neppure il nostro Achille - che di cognome fa Mauri - nasconde il proprio tallone: editore, produttore televisivo, viaggiatore instancabile e oggi anche romanziere, Achille Mauri è una persona la cui vita ne contiene cento, e che anche attorno alla sua finitezza di uomo ha saputo imbastire un racconto di sé godibile e universale.
“Anima e acciughe” alza il sipario cinque minuti dopo la morte dell’io narrante.
Ma l’aldilà che si presenta agli occhi di quell’anima novella e freschissima, come un germoglio di stagione, non ha nulla di lutulento o di funereo: in “Anime e acciughe”, la morte è piuttosto l’anticamera necessaria ad una comunione perpetua di anime, carosello di fusioni sincretiche e sensuali fra le tracce e le eco lasciate dai vivi. Quella propostaci da Mauri è la verità che resta nel setaccio di una vita riassumibile con un aggettivo spesso evocato dal protagonista: immaginifica.
Politici, intellettuali, amici, militari ancien régime, belle donne, tate, balie, artisti… ce n’è per tutti i gusti.
Da Radetzky - che apre le danze con passo austroungarico, perfetto esemplare del mondo di ieri – ai personaggi che hanno costellato una vita fertile di incontri, eventi e riflessioni, quello tratteggiato nel libro è un bilancio in itinere, un tirar le somme cui manca ancora il computo a fine colonna, e forse nel suo non poter - necessariamente – mettere la parola “fine” a questa ricognizione sta l’irriducibile vitalità del racconto.
Il libro s’inscrive sin dal principio in un orizzonte dal sapore teatrale. La zona in cui coesistono la coscienza della propria finitezza e la consolazione derivante dall’essere ancora vivi disegna una sorta di quinta: uno sfondo nero, materico come il velluto dei sedili di una splendida automobile vintage, dove far risuonare un monologo che è fatto di tanti dialoghi.
Il registro vira poi sui toni di un divertissement sapido e colto, fra acciughe, tonni e pesci di ogni genere, che sembrano evocare satiricamente il simbolo di riconoscimento e comunione fra i cristiani perseguitati prima dell’editto di Costantino.
Qui la fantasmagoria si apre come il bouquet di un vino che possa finalmente sprigionare i suoi aromi più autentici e profondi, e porta spesso il lettore al riso: gli animali diventano interlocutori e metafora ad un tempo, fino a un’animistica conclusione in forma di filastrocca tribale.
E le mosche – anch’esse insetti dalla straordinaria densità simbolica in molte culture – volano via, libere.
Quel che sarà – dopo - si vedrà. Per dirla con le parole di un altro finissimo umorista, Marcello Marchesi: “L'importante è che la morte ci trovi vivi”. E tutti interi, aggiungeremmo noi. Acciughe comprese.
Recensione di Matteo Baldi
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