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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2004
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Questo libro è bellissimo, Eddie Virago è un personaggio che non si dimentica.
Cosa si trovano davanti i giovani sulla soglia dei 25 anni? Eddie Virago, punk per scelta, cerca di fare i conti con se stesso, provando a non tradire quei valori che lo hanno accompagnato nel corso della sua vita, valori spesso incompresi o addirittura derisi da amici e conoscenti. Sullo sfondo una Londra caotica, a tratti provinciale, dove potersi perdere oppure ritrovare...
La copertina sembra bella..
Recensioni
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recensione di Bajani, A., L'Indice 1998, n. 9
I libri una volta chiusi si propagano in indefinibili onde di risonanza, si ripetono in echi ondulati adagiandosi poi come impressioni nella mente del lettore. Il romanzo di Joseph O'Connor, "Cowboys & Indians", produce delle inquietanti zone d'ombra che lavorano nascoste, sotterranee alla narrazione, e che avviluppano poi come morse i personaggi stessi del racconto. La trama è semplice, si sviluppa in un narrare chiaro che riporta i fatti senza distorsioni temporali. Eddie Virago - protagonista già di un racconto di "I veri credenti" (Gamberetti, 1995, Einaudi, 1996), esordio narrativo di O'Connor - è un giovane chitarrista punk di Dublino; decide di partire per Londra alla ricerca di un successo in campo musicale; a Londra vive una morbosa e distruttiva storia d'amore con Marion, una ragazza fuggita da Belfast per una gravidanza non voluta. Londra è lo scenario dell'annientamento di Eddie, braccato senza volontà e senza capacità di reazione nei propri eccessi, che scivola nell'alcol, nella droga e nello spietato annullamento sessuale del proprio corpo. O'Connor sembra lasciare che la storia vada avanti da sola, che le vite, le esistenze quotidiane dei personaggi si affianchino e poi separino con la quasi indifferenza di uno sguardo distratto, con la velocità di un montaggio serrato. Usa il linguaggio con una rapidità sorprendente; alterna lo slang, la volgarità e la citazione joyciana puntualmente abbassata di tono (""I morti", ecco dove mi sembra di stare (...) il racconto di Joyce con tutto quel cazzo di neve alla fine") e tutto lasciando che così come è arrivato sul foglio si dilegui poi presto in un niente gelato. Perché la cifra reale del libro di O'Connor sta in una sottrazione continua dell'appena scritto. L'impressione è che lo scrittore irlandese proceda in un'accumulazione frenetica di fatti per nascondere continuamente che sotto il rapporto tra gli uomini, e tra gli uomini e le cose, si nasconde un vuoto. E il vuoto emerge in O'Connor nella risonanza che il suo romanzo lascia, nella sensazione che tutto sia stato scritto per essere negato, che i personaggi si distanzino parlando perché le loro parole evidenziano come in una deriva il freddo che c'è sotto, nella sensazione che Londra sia un pretesto per lasciare che affiori la loro condizione di esuli irlandesi. È in questo vuoto la modernità di O'Connor, nel coraggio di affrontarlo. O'Connor sceglie il mezzo della velocità e della sottrazione.
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