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Fata Morgana - Gianni Celati - copertina
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Fata Morgana

Descrizione


Il narratore risiede in un villaggio normanno. Nella solitudine brumosa della campagna, in una casa dalle scale scricchiolanti, piena di piccoli notturni rumori, raccoglie materiali documentali sul misterioso popolo dei Gamuna: le fonti maggiori sono le lettere e i taccuini di un amico viaggiatore, gli articoli di un aviatore argentino e il diario che una suora vietnamita gli legge quando egli si reca a trovarla al di là della Manica. Gianni Celati dà vita a un romanzo di antropologia fantastica ricreando la storia dei Gamuna, della loro lingua, dei loro costumi, del mistero che li circonda.
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Dettagli

2005
23 giugno 2005
188 p., Brossura
9788807016684

Valutazioni e recensioni

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Gio' Di Bernardo
Recensioni: 5/5

Riporto il pensiero di Gianni Celati sul tema delle "popolazioni" che mi pare dominante in Fata Morgana. "La nozione di "popolazione" si riferisce ad un aggregato di persone che stanno insieme per certi tratti comuni, oltre alla lingua, ma dove non esiste mai una netta divisione tra "noi" e "gli altri"; i confini di una popolazione sono sempre contingenti e variabili e mai netti quanto quelli imposti dai concetti di "stato" e "nazione". Quando infatti subentra l'ordine imposto dallo stato, fatto di calcoli che non possono prendere in considerazione il fondo etnico delle popolazioni, che si perpetua attraverso mestieri, rituali, culti, modi di parlare, di pensare e di agire, è come se di colpo venissero cancellate tutte le sfumature, e non avessero più rilevanza le differenze, ad esempio, fra siciliani e milanesi, britannici e irlandesi, ispanici del sud degli Stati Uniti e Yankees lanciati alla conquista dei loro territori. (...)" Letture in cerca di popolazioni.

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ant
Recensioni: 2/5

L'unica cosa che può incuriosire il lettore è la ritualità nelle azioni di questi "gamuna", non vedo altro di interessante in questo testo volutamente surreale e francamente banale

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Costantino
Recensioni: 3/5

Libro intelligente, ma il ritmo latita e presto arriva la noia. Un pò ripetitivo, anche se vista la genesi, questo sembra inevitabile.

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Voce della critica

Se la narrativa di Gianni Celati è un processo che ci "fa guardare un racconto con un altro racconto" (secondo un'indicazione di Raffaele Manica), Fata Morgana è la chiave per reintrodursi nei libri che egli ha scritto dal Lunario del paradiso (1978) in avanti: cioè i libri marcati dalla tensione empatica verso l'esterno, a cui ha fatto da volano l'incontro con la fotografia di Luigi Ghirri nei primi anni ottanta. Fata Morgana ha così il sapore del compendio o del referto – talvolta sghembo, sempre percorso dalle malinconie – sulla civiltà contemporanea, sulla scrittura che la descrive, sui modi per vederla. Non deve sorprendere che nel libro circoli l'aria dell'epicedio. L'allucinato consuntivo sigilla le rovine di un tempo – il nostro – dove i disinganni sono utopie che non offrono consolazioni. E mette in allarme perché ammette lo sbriciolio dell'atto stesso del raccontare, il suo rallentamento-affondamento.

Di Fata Morgana si conosceva già una buona parte. Le prime pagine dello pseudo-saggio di etnografia sono state pubblicate nel 1987 su "Arsenale", poi sul secondo numero del "Semplice" nel 1996; altri frammenti sono stati successivamente proposti da "Altofragile: Foglio di scrittura" (1997), da "Nuova Prosa" (2001) e dalla rivista online "Zibaldoni ed altre meraviglie" (2003). L'edizione in volume riprende e rielabora quel materiale ampliandone le dimensioni (il che non sempre giova, il libro procede talvolta a strappi, i meccanismi si inceppano). Complessivamente, secondo un ritmo che replica quello delle Avventure in Africa, Fata Morgana è costituito da una notizia d'apertura più sedici capitoli (equilibrati: ciascuno contiene dai dodici ai quindici brevi paragrafi), introdotti da un titolo esplicativo, sul calco della novellistica medioevale, che dà informazione anche dei mesi tra il 1986-1988 in cui la voce narrante dice di averlo scritto.

Il libro è dedicato allo studio della vita dei Gamuna, il cui territorio si trova agli antipodi del mondo occidentale, stretto tra un massiccio basaltico difficile da attraversare e un deserto a placche di argilla che durante la stagione delle piogge si riempie di acquitrini, i wadi. A descrivere la vita dei Gamuna è un io narrante che abita a Noron l'Abbaye, in Normandia. L'"uomo che scrive" – il visionario viaggiatore immobile, affascinato dalle sovrapposizione tra i luoghi che immagina e quelli in cui vive – riferisce fatti che gli sono stati raccontati da fonti diverse, in particolare dall'amico e compagno di studi Victor Astafali e da una suora vietnamita, sorella Tran, che alla fine del libro scopriamo ospite in una clinica psichiatrica inglese. A loro volta questi raccontatori si sono avvalsi delle notizie raccolte da fonti locali, su tutte quella del colonnello argentino Augustìn Bonetti, che dichiara di essere morto precipitando in territorio Gamuna.

Ma chi sono i Gamuna? Di aspetto filiforme, vivono in un mondo continuamente minacciato dai crolli. I palazzi del capoluogo, Gamuna Valley, sono insidiati dalle rovine, dalla vegetazione che cresce senza ostacoli, dalla desolazione. Gli uomini adulti sono fragili, confusi, incerti, schiacciati dall'"incanto greve della terra", la forza che conduce tutto verso il basso e che rende intollerabile a ogni Gamuna anche la meno erta ascesa. Le donne sono più energiche, lanciano gli "sguardi della civetta losca", però mal sopportano i loro compagni che le cercano solo per copulare. Talvolta si innamorano furiosamente di altre donne o di ragazzi della loro stessa famiglia e allora scappano verso la brughiera che sta ai piedi del massiccio basaltico. I bambini, invece, sono di straordinaria ferocia, ritenendosi gli emuli di Tichi, un eroe della mitologia Gamuna. I rari stranieri – perlopiù avventurieri che cercano di occidentalizzare quelle terre – reagiscono a questi comportamenti con la noia, la malinconia, il nervosismo.

Il mito fondativo della civiltà Gamuna – che ritengono le zanzare anime dei morti – è costruito attorno all'idea della brevità: la vita è una "scintilla d'iridescenza", cioè il tempo che separa il miraggio delle origini – suscitato dalla polverizzazione dell'eroe Eber-Eber – e la sua fine è brevissima. Del resto, il miraggio di Fata Morgana è alla base della vita Gamuna. Tutto è illusione, ognuno vive prigioniero dei suoi miraggi. Le visioni dell'uno non coincidono però con quelle dell'altro. Per ridare armonia all'esistenza ci sono le "chiacchiere notturne medicinali", quando i Gamuna a bocca chiusa modulano i racconti che restituiscono continuità e senso alla loro vita piena d'incertezze, paure e prudenze. I vecchi sono i più saggi. Hanno acquisito la certezza che la "propria vita sia stata solo un bagliore d'iridescenza". Si privano volentieri dei propri beni, facendo affari sbagliati (e nell'aria si diffonde l'"essenza del tempo perso") o comportandosi da imbecilli. I vecchi sanno che "ognuno si dà da fare (…) perché vuole essere glorificato dagli altri", ma hanno perso questo desiderio. Essi vogliono "avvicinarsi alla morte come un'ombra che scompare da un muro senza lasciare traccia". Secondo quanto scrive Augustìn Bonetti, i Gamuna sono più morti che vivi. La morte è dappertutto nel libro – perfino nei "bollori" del sesso – e la fine è dietro l'angolo. Gli ultimi due capitoli la raccontano: i Gamuna vengono sopraffatti da eserciti invasori. Scappano, sono uccisi, sono ridotti in schiavitù. La loro civiltà è finita.

Come ha suggerito Rebecca West nel libro che ha dedicato a Gianni Celati (The Craft of Everyday Storytelling), i Gamuna più che un "altrove" rappresentano il "qui". La loro civiltà destinata alla catastrofe improvvisa non è "altra da noi". C'è una differenza però, ed è quella che fa parlare West di utopia: i Gamuna si sono meglio adattati alla civiltà dei "non luoghi". Non hanno certezze, non hanno sistemi di pensiero definitivi e definitori. Come Bartleby lo scrivano, accettano tutto con mitezza e indolenza, si abbandonano al flusso della vita. Sanno che l'identità è un'illusione. Conoscono il pericolo di parlare troppo, di vantarsi, di ritenersi importanti, di cercare la ricchezza e la gloria, come ritengono ridicole le visioni dall'alto delle mappe occidentali. La polvere del deserto, quella che lasciano liberamente circolare nelle loro case, li fa essere consapevoli della propria insignificanza. Per loro esiste soltanto il "ta", cioè il "questo", lo spazio in cui si trovano per avere il miraggio. Soprattutto sanno che "per sfuggire ai cattivi pensieri" ci sono le "chiacchiere medicinali notturne".

I racconti permettono di ristabilire contatti verticali e orizzontali, hanno quindi, secondo West, un potere organizzativo e affettivo. Fata Morgana è intessuto di racconti che si intrecciano su racconti. La vita è un insieme di racconti. I racconti sono il cerimoniale residuo che consente di rendere abitabili i luoghi in cui ci troviamo. In tal senso Celati ritrova quanto caratterizza la sua riflessione narrativa da Narratori delle pianure in poi. La vita è una trama di racconti sull'orlo del baratro.

 

andrea giardina

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Conosci l'autore

Gianni Celati

1937, Sondrio

Scrittore, traduttore e critico letterario italiano. Dopo aver trascorso l'infanzia e l'adolescenza in provincia di Ferrara, si laurea a Bologna con una tesi su James Joyce. Scrive articoli per numerose riviste come "Lingua e stile", "Il Verri", "Il Caffè". Nel 1971 pubblica per Einaudi - per volontà di Italo Calvino - il suo primo romanzo, «Comiche». Docente in varie università italiane, al Dams di Bologna ha fra i suoi allievi Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Andrea Pazienza, Freak Antoni. Tra le sue opere più note edite da Feltrinelli: «Narratori delle pianure» (1985, premi Cinque Scole e Grinzane Cavour), la trilogia «Parlamenti buffi» (1989, premio Mondello 1990), «La banda dei sospiri. Romanzo d'infanzia»...

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