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La masseria delle allodole - Antonia Arslan - copertina
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masseria delle allodole

Descrizione


Ispirato ai ricordi familiari dell'autrice, il racconto della tragedia di un popolo "mite e fantasticante", gli armeni, e la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute. La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell'Anatolia, dove nel maggio 1915, all'inizio dello sterminio degli armeni da parte dei turchi, vengono trucidati i maschi della famiglia, adulti e bambini, e da dove comincia l'odissea delle donne, trascinate fino in Siria attraverso atroci marce forzate e campi di prigionia. In mezzo alla morte e alla disperazione, queste donne coraggiose, spinte da un inesauribile amore per la vita, riescono a tenere accesa la fiamma della speranza; e da Aleppo, tre bambine e un "maschietto-vestito-da-donna" salperanno per l'Italia...
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Dettagli

2015
Tascabile
16 aprile 2015
233 p., Brossura
9788817080767
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Indice


Le prime frasi del romanzo

Prendemmo la strada sotto i portici per andare al Santo. Era il 13 di giugno, il giorno del mio onomastico. Pioveva, e io non volevo muovermi, ma il nonno Yerwant, il patriarca a cui nessuno disobbediva, aveva detto: «E ora che la bambina conosca il suo santo. È già quasi troppo tardi, ha cinque anni. Non sta bene far aspettare i santi. E dovete portarcela a piedi». Lui ci avrebbe raggiunto con la sua automobile Lancia, e con Antonio, l'autista. Così, percorsi con la zia le due lunghe strade porticate che conducono alla basilica, con la zia Henriette, piccola piccola, dal gran naso armeno e dai lucidi capelli neri a caschetto, che aveva molti segreti e se li teneva stretti, non portava mai tacchi bassi e non permetteva che aprissi la sua borsetta. Neppure lei era contenta dell'ordine del nonno: aveva caldo, aveva "quasi" mal di testa, pensava che andare alla basilica nel giorno del Santo fosse poco fine, cosa da provinciali e da turisti, temeva di perdermi, si angosciava per nulla, come sempre.
Zia Henriette era una sopravvissuta al genocidio del 1915. Creatura della diaspora, non aveva più una lingua madre. Parlava molte lingue, compresa la sua, l'armeno, in modo legnoso, innaturale: come una straniera. In tutte faceva patetici sbagli, e non volle mai raccontare la storia della sua sopravvivenza. Aveva dimenticato anche la sua età (in Italia, quando sbarcò, era così minuta e patita che le tolsero due o tre anni). Ma ogni sera, a casa nostra, veniva a cena portando vassoi di biscotti alla moda austriaca, enormi vasi di yogurt fatto in casa, paklavà colmo di noci e di miele: e la sua presenza riempiva la casa di memorie oscure.
Io l'amavo moltissimo, e mi facevo viziare. A casa sua i dischi di Edith Piaf andavano tutto il giorno, e si poteva ballare con le scarpette di panno. Sicché mi facevo trascinare verso il Santo con pigra curiosità, sperando in un gelato, o in una medaglietta, o in un libro colorato, chissà. Per me, ero aperta a tutti i doni - e mi aspettavo un dono, fiduciosamente.
E quando arrivammo allo sbocco della via del Santo nella immensa piazza, ebbi il mio dono. La pioggia era cessata da qualche minuto, e improvvisamente le nuvole si spostarono, come un sipario, e un raggio caldo di luce e di sole fece della piazza, un teatro, dove innumerevoli figurine colorate cominciarono a sgrullarsi e a chiudere gli ombrelli, affrettandosi verso l'ingresso. Tante Aide, Nives, Esterine, Gigie si chiamavano allegre e urgenti, accompagnate da bambini compunti vestiti da piccoli frati, e da uomini atticciati, seri, addobbati di nero; nel centro, un gruppo solenne e ieratico si faceva notare per i chiassosi costumi, le gonne lunghe e i fieri capelli delle donne, i mustacchi erti degli uomini. Fermi, fissavano concentrati il grande portone socchiuso della basilica.
«Vedi? Ci sono anche gli zingari» disse preoccupata la zia. «Tienimi stretta la mano.» Io non pensavo a sciogliermi. Mi bastavano gli occhi. Ero incantata e confusa. Erano quelli, gli zingari? Quelli che andavano sempre, e non si fermavano in nessun luogo; quelli che abitavano i carrozzoni sgargianti, che erano come case piccolissime, con dentro tutto quello che serve? Anche noi armeni siamo andati in tutti i paesi ma, giunti in un posto, ci fermiamo; e così abbiamo parenti in tutte le parti del mondo. E cominciai a ripetermi l'elenco delle città dove avevamo parenti, e i loro nomi, rigirandomeli in bocca come una caramella.
La zia lo ripeteva sempre: «Quando sarò proprio stanca di stare con voi, quando sarete stati troppo cattivi, io me ne andrò. A Beirut da Arussiag, ad Aleppo da zio Zareh, a Boston da Philip e Mildred, a Fresno da mia sorella Nevart, a New York da Ani,* o anche a Copacabana dal cugino Michel. Lui però per ultimo, perché ha sposato un'assira». Io ero affascinata dalla signora zia assira. Avevo visto in un libro illustrato i costumi degli antichi assiri e le loro barbe, mi avevano raccontato la storia di Nabucodo-nosor e delle grandi città di Babilonia e di Ninive, e mi figuravo questa zia incedere, avvolta in stoffe sontuose, su e giù per i giardini pensili di Babilonia (che suonava abbastanza simile a Copacabana). Altro che lasciarli per ultimi, come voleva zia Henriette; lo splendore di questa parentela brasiliana a mio parere doveva avere il primo posto. Ma nessuno in verità chiedeva il mio parere...
Continuando a stringermi nervosamente la mano, la zia si guardava intorno. Era piccola, patetica e subito sperduta, e cercava la rassicurante presenza del nonno, che infatti arrivò in quel momento. Con una curva impeccabile, l'auto argentea scivolò lungo il perimetro della piazza e si fermò silenziosamente proprio accanto a noi.

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Claudia
Recensioni: 5/5
Un libro bellissimo nella sua crudeltà

Uno spaccato di storia poco conosciuto, un popolo distrutto dall'orrore della deportazione. Da leggere assolutamente. Straordinario

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Alce67
Recensioni: 4/5
Armenia: il racconto di un mondo e di una tragedia

Un libro che racconta magistralmente il mondo degli armeni di inizi '900 e della tragedia che li ha travolti. Un mondo orientale integrato con l'impero Ottomano. Eppure un mondo già connesso con l'occidente, anche grazie alla prima ondata di Armeni che, dopo gli eccidi di fine '800, avevano lasciato le loro terre. In questo caso la relazione è con l'Italia, il Veneto in particolare. Si parla sempre di persone mosse dalla curiosità per "l'altro mondo" o la nostalgia per le radici. La prosa è tanto ricca nel descrivere gli ambienti, le sensazioni e le vite dei protagonisti quanto secca del raccontare il genocidio. E' proprio questa narrazione cupa, cronacistica che mi ha colpito, rendendo all'osso la più tragica delle storie. Un'opera che racconta eventi ai più sconosciuti e che consiglierei a tutti.

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B.B.
Recensioni: 4/5

Tanti anni fa vidi il film omonimo, tratto da questo romanzo e girato dai fratelli Taviani e ne rimasi profondamente colpito. Decisi così, nel 2016, di acquistare quest'opera di Antonia Arslan. Non lo lessi subito, sapevo che si trattava di un libro troppo importante e volevo dedicargli la dovuta attenzione e quindi è rimasto nella mia libreria sino a qualche settimana fa, quando finalmente ho sentito che era il momento giusto per dedicarmici. Lo faccio spesso: acquisto un libro per poi non leggerlo subito, lasciandolo nella libreria, nell'attesa che giunga il suo tempo. Perché ne sono convinto, ogni libro ha il suo momento; passano spesso giorni, settimane, mesi o anni, ma alla fine un'ispirazione, una particolare sensibilità o interesse, mi portano a ritrovare libri apparentemente dimenticati. E così dopo sei anni mi sono ritrovato tra le mani quest'opera. E' un romanzo che consiglio a tutti di leggere perché ha il grande merito di aver portato a conoscenza del grande pubblico le terribili pagine di eventi storici che dai testi scolastici non vengono quasi mai menzionati. Io non conoscevo la tragedia patita dal popolo armeno ed è grazie al romanzo della Arslan e al film dei Taviani che sono venuto a conoscenza di queste pagine drammatiche di storia recente, pagine di sangue, di odio e persecuzione ai danni della gente armena. Purtroppo devo dire che non si tratta, dal punto di vista specificamente letterario, di un capolavoro. Infatti, la scrittura non è elegante, la prosa scorre a volte pesantemente e la lettura mi è parsa poco scorrevole. Nonostante tutti questi limiti, che ne fanno un libro letterariamente modesto, è un libro per cui essere grati all'autrice e che va assolutamente letto. Segnalo che questa edizione della Rizzoli manca di una vera introduzione, le note sono poche e tante parole armene o personaggi storici menzionati ho dovuto cercarli da me per comprendere meglio il racconto.

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La recensione di IBS


“Ora deve agire, da sola. Suo padre David Zacharian, il leggendario mercante che aveva percorso tutte le strade, l’aveva avvertita, il giorno delle sue nozze: “C’è un momento, nella vita di ogni donna armena, in cui la responsabilità della famiglia cade sulle sue spalle. Noi moriremmo, per evitare questo peso alle nostre perle, alle nostre rose di maggio: e infatti moriamo”.

Chi ha letto con passione I quaranta giorni del Mussa Dagh, l’epopea di Franz Werfel sul genocidio degli armeni da parte dei turchi durante la prima guerra mondiale, ritroverà nel bellissimo romanzo di Antonia Arslan La masseria delle allodole un frammento della stessa vicenda, ricostruita da una discendente italiana sul filo delle memorie familiari.

È la saga degli Arslanian, di due fratelli che con le loro scelte differenti hanno forgiato per i loro figli due destini tragicamente opposti, di vita e di morte.
Il fratello maggiore, Yerwant, lascia l’Armenia da ragazzo, studiando a Venezia e diventando medico di successo a Padova, dove sposa una nobildonna e ne ha due figli. Il fratello meno avventuroso e più legato alle tradizioni familiari, Sempad, rimane nel villaggio natale in Anatolia, dove riveste uno status preminente, facendo della sua farmacia una finestra sulle novità occidentali. La sua numerosa famiglia incarna i valori e la cultura del popolo armeno, come l’ospitalità festosa, l’intraprendenza mercantile, la religiosità tollerante.

Dopo molti anni di lontananza, nel 1915 i due fratelli combinano una rimpatriata: Yerwant con la famiglia si accinge a tornare in Anatolia con due automobili, carico di doni e di nostalgia. Sempad arreda prestigiosamente la “masseria delle allodole”, la villa in campagna, preparando un’accoglienza memorabile. Ma lo scoppio della guerra spezza all’improvviso ogni progetto e consegna l’intero popolo armeno allo sterminio: i turchi, alleati dei tedeschi, attuano il mostruoso piano di eliminazione delle minoranze etniche. Massacrati tutti i maschi, compresi i bambini, le donne armene, fra cui la moglie e le figlie di Sempad, saranno deportate e trasferite ad Aleppo in un esodo atroce e spietato, destinate a un’inesorabile “soluzione finale”. Grazie all’avventuroso intervento di amici fedeli, per le figlie di Sempad si apre in extremis una via di fuga e il romanzo, teso come un thriller ed emozionante come una storia d’amore, si conclude, in un salto temporale, con la voce della narratrice, la nipote Antonia, che intrecciando storia e poesia, colori, suoni e profumi, ha saputo incidere la sua vicenda familiare nella memoria collettiva.

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Antonia Arslan

1938, Padova

Antonia Arslan è una scrittrice e saggista italiana di origine armena. Laureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova. È autrice di saggi sulla narrativa popolare e d'appendice (Dame, droga e galline. Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento) e sulla galassia delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra '800 e '900).Attraverso l'opera del grande poeta armeno Daniel Varujan — del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane e Mari di grano — ha dato voce alla sua identità armena.Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di...

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