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Orfani bianchi - Antonio Manzini - ebook
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Descrizione


«Commovente, bello, un omaggio alla forza delle donne.» Valeria Parrella «Manzini ribalta stereotipi e luoghi comuni spostando al centro chi sta ai margini della storia. Un romanzo potente e bellissimo.» Teresa Ciabatti «Le rinunce e i traumi di chi, ogni giorno, «bada» a una parte delle nostre vite. Abbiamo sempre evitato di pensarci. Dopo questo libro, per fortuna, non è più possibile. » Vanity Fair - Enrica Brocardo «Solo Manzini è davvero all’altezza.» Antonio D’Orrico - Corriere della Sera “Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che per trovare un angolo di serenità è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania. E mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?” Antonio Manzini Mirta è una giovane donna moldava trapiantata a Roma in cerca di lavoro. Alle spalle si è lasciata un mondo di miseria e sofferenza, e soprattutto Ilie, il suo bambino, tutto quello che ha di bello e le dà sostegno in questa vita di nuovi sacrifici e umiliazioni. Per primo Nunzio, poi la signora Mazzanti, “che si era spenta una notte di dicembre, sotto Natale, ma la famiglia non aveva rinunciato all’albero ai regali e al panettone”, poi Olivia e adesso Eleonora. Tutte persone vinte dall’esistenza e dagli anni, spesso abbandonate dai loro stessi familiari. Ad accudirle c’è lei, Mirta, che non le conosce ma le accompagna alla morte condividendo con loro un’intimità fatta di cure e piccole attenzioni quotidiane. Ecco quello che siamo, sembra dirci Manzini in questo romanzo sorprendente e rivelatore con al centro un personaggio femminile di grande forza e bellezza, in lotta contro un destino spietato, il suo, che non le dà tregua, e quello delle persone che deve accudire, sole e votate alla fine. “Nella disperazione siamo uguali” dice Eleonora, ricca e con alle spalle una vita di bellezza, a Mirta, protesa con tutte le energie di cui dispone a costruirsi un futuro di serenità per sé e per il figlio, nell'ultimo, intenso e contraddittorio rapporto fra due donne che, sole e in fondo al barile, finiscono per somigliarsi. Dagli occhi e dalle parole di Mirta il ritratto di una società che sembra non conoscere più la tenerezza. Una storia contemporanea, commovente e vera, comune a tante famiglie italiane raccontata da Manzini con sapienza narrativa non senza una vena di grottesco e di ironia, quella che già conosciamo, e che riesce a strapparci, anche questa volta, il sorriso.
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Dettagli

Testo in italiano
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
256 p.
Reflowable
9788861908840

Valutazioni e recensioni

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alberto51
Recensioni: 4/5
Storia triste

Questo racconto narra le vicissitudini di una colf/badante moldava che ha dovuto abbandonare temporaneamente il figlio per lavorare in Italia. Storia triste ma purtroppo non affatto rara. Lasciata dal marito o dal compagno che, spaventati da una gravidanza non prevista né voluta, ha fatto perdere le proprie tracce. Non sto' a spoilerare il finale, ma più o meno prevedevo potesse finire in questo modo. Comunque lettura consigliata per entrare in un mondo a noi sconosciuto e purtroppo abbastanza comune per queste donne dell'est europeo.

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Francesca
Recensioni: 4/5
Storia tragica un po’ scontata!

Il libro racconta la storia di Mirta cittadina moldava che fa la badante a Roma. Ha lasciato il figlio di 12 anni Ilie dalla madre vedova ma un po’ svanita. Infatti fa bruciare la casa con la stufa e muore. Nel frattempo Mirta perde il lavoro perché Olivia, la persona a cui badava, viene messa in casa di riposo. Dapprima lavora per un’impresa di pulizie poi rientra in Moldavia e sistema il figlio in un orfanotrofio non avendo altra scelta. Non ha un marito perché il padre del bambino se n’è andato. Rientra a Roma e manda continui messaggi al figlio che però non risponde mai. Dall’ orfanotrofio le danno notizie rassicuranti sul bambino che si sta ambientando. Ma Pavel che porta pacchi e fa viaggi l’ha visto male ma non glielo dice. Le trova però un lavoro presso una famiglia facoltosa che paga molto bene ben 2100,00€ al mese! Viene assunta con l’inganno perché dá false referenze dicendo di essere infermiera in quanto ruba il cellulare ad una russa che teme le rubi il posto. Deve badare a Eleonora, un’anziana sulla sedia a rotelle, sola per una settimana. Nel frattempo Pavel le offre un lavoro come segretaria nella sua azienda e le propone di sposarlo. Eleonora è dispettosa e vuole morire e le chiede di aiutarla a morire in cambio di denaro. Perde il cellulare ai giardini e Carmen, una signora incontrata, lo trova e lo restituisce. Sul cell ci sono molti messaggi tra cui alcuni dell’orfanotrofio. Chiama e scopre che il figlio si è tolto la vita . Lei si dispera, soffre e si butta nel fiume. Spesso tra le righe emerge critica alle famiglie italiane che abbandonano gli anziani alle badanti! Storia tragica e straziante che prende anche se molte cose sono scontate! Certo è un libro totalmente diverso dal Manzini che siamo abituati a leggere!

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zombie49
Recensioni: 4/5
Dramma dell'incomunicabilità

Mirta Mitea è una badante moldava, vive a Roma e ha un figlio dodicenne, Ilie, rimasto con la nonna Tatiana a Logofteni, un paesino al confine con l’Ucraina. Il padre del bambino, Adrian, non si è mai interessato al figlio. Lei comunica con Ilie con e-mail inviate a padre Boris, il prete del villaggio, ma il ragazzino non le risponde mai. Invia giochi, abiti, oggetti di prima necessità tramite Pavel, un rumeno che, con un furgone, fa da corriere agli emigrati. La nonna muore nell’incendio della sua casa e Mirta è costretta mettere Ilie in un internat, un istituto statale che ospita bambini come lui, “orfani bianchi” che hanno genitori lontani che non possono occuparsi di loro. Tornata a Roma, Mirta lavora come addetta alle pulizie in un condominio, poi ha una grande occasione: mentendo sulla sua qualifica d’infermiera ottiene un posto presso una ricca famiglia come badante di una signora anziana paralizzata, per l’incredibile cifra di duemila euro il mese. Il lavoro è duro, a volte umiliante, deve attenersi a rigide regole per i pasti e la somministrazione di medicine, la signora Eleonora è ostile, ma può vivere in una stanza confortevole nella villa e riesce a mettere da parte del denaro per far venire Ilie a Roma. Manzini scrive un racconto dalla parte degli emarginati, ma non riesce a coinvolgere, la storia ha qualcosa di disturbante, i caratteri sono esasperati. La narrazione è distaccata e fredda, l’espediente delle e-mail è forzato e poco convincente, ci sono delle incongruenze, perché Mirta conosce parole ricercate, ma parla il linguaggio elementare degli emigranti. Non c’è la minima empatia per l’anziana, né per le sue tristi necessità e menomazioni, considerate solo come fastidio e fatica. Eleonora anche nelle parti descrittive non è mai chiamata per nome, ma solo “la signora”, “la vecchia”, “la mummia”. La solidarietà politicizzata e a senso unico è fastidiosa. La conclusione è amara e deprimente: ciascuno è solo con il proprio dolore.

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Recensioni

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“Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che, per trovare un angolo di serenità, è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania e mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?”Antonio Manzini

Nei romanzi di Antonio Manzini, quelli della serie di Rocco Schiavone, l’assenza di una donna si sente e pesa come un vero e proprio personaggio. Sua moglie Marina manca nella sua vita e appare solo nei sogni. Ma mancano anche le altre donne che solitamente animano le stanze di certi uomini terribilmente soli: mamme, amanti, cameriere…

Per queste donne è evidente che Manzini abbia pensato a un ruolo diverso. O almeno così ci piace pensare. Mirta Mitea, la protagonista di questo romanzo, non è la cameriera di Rocco Schiavone, né la badante del suo vicino del piano di sotto. La sua vita non ruota intorno alle indagini del vicequestore di polizia. Lei è al centro della vicenda raccontata in Orfani bianchi.


E di nuovo, in questo modo, Antonio Manzini ci ricorda Andrea Camilleri, che è tra l’altro uno dei suoi maggiori estimatori, quando lascia le vicende di Montalbano per scrivere di altri personaggi.


Mirta Mitea è una badante moldava, in Italia da cinque anni. La sua vita è vissuta in simbiosi con gli anziani che deve accudire, vecchi di cui nessuno ha tempo o voglia di occuparsi, lasciati a un’estranea qualunque come gatti domestici. Quell’estranea che vediamo al parco trascinare le sedie a rotelle dei nostri nonni, quella donna inesistente che nessuno saluta al mercato, che intravediamo come un’ombra, all’alba, negli androni dei nostri palazzi, in queste pagine si prende la sua rivincita.

Perché scopriamo, leggendo, che Mirta ha una famiglia in Moldavia, una madre anziana che dovrebbe essere accudita anche lei, un figlio dodicenne con un sacco di problemi e amici, confidenti, ex compagni di scuola. Mirta ha un forte amor proprio e una passione per il pianoforte. Ha simpatie e antipatie, eccessi d’ira, momenti di estrema dolcezza, come tutti.


Antonio Manzini non cede alla tentazione di mostrarci lo stereotipo del reietto, dell’invisibile, che cerca il riscatto nella sofferenza, ma dipinge una figura a tutto tondo, capace di eroici slanci di altruismo ma anche di grandi errori di valutazione. È questa capacità di mostrare l’umanità, il tocco magico di Antonio Manzini, ciò che rende ogni suo personaggio credibile.

Grazie al punto di vista di questa donna, possiamo imparare molto su noi stessi, sul nostro rapporto con gli stranieri, con i malati e anche con la morte. Inevitabilmente, alla fine, la storia di Mirta diventa un’operazione di disvelamento dei limiti della società borghese occidentale. Inevitabilmente il cliché della straniera che porta via il lavoro agli italiani viene demolito senza appello.

Mirta Mitea, dicevamo, non è la cameriera di Rocco Schiavone, né la badante del suo vicino del piano di sotto. La sua vita non ruota intorno alle indagini del vicequestore di polizia. E Orfani bianchi non è il classico giallo procedurale di Sellerio. Possiamo anche supporre che i lettori di questi due generi siano diversi, e che magari alcune badanti vorranno cimentarsi con questa lettura. Ma l’autore è Manzini, non si smentisce. Come disse Antonio D’Orrico «Solo Manzini è davvero all’altezza» e oggi lo dimostra come mai prima, raccontando quello che tutti vedono e che nessuno dice. Facendo quello che si dovrebbe fare.

Recensione di Annalisa Veraldi

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Conosci l'autore

Antonio Manzini

1964, Roma

Attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l'antologia Crimini. Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi).Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007).Un suo racconto è uscito nell'antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012).Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014).Nel 2015 pubblica Non è stagione (Sellerio), Era di maggio (Sellerio) e Sull'orlo del precipizio (Sellerio). Del 2016 è Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (Sellerio). Altri suoi romanzi pubblicati...

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