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I volumi della collana “Passaggi di dogana” sono piccole guide di viaggio non convenzionali, che descrivono le città attraverso lo sguardo di scrittori, registi, artisti o musicisti ad esse legati. L’itinerario bolognese è costruito attorno alla figura di Lucio Dalla, uomo e musicista dalla personalità «in diagonale», eclettica, sfaccettata, proprio come certe prospettive di Bologna. La Bologna di Dalla è una città notturna, quella delle osterie ma soprattutto dei bar, quella dei racconti veri o immaginati, quella delle passioni forti, per la musica, per il calcio, per il basket, per il cibo e per il sesso, ma anche quella sonnolenta e silenziosa delle fughe estive sui colli. Chi ama Bologna, chi si è perso sotto i suoi portici, chi è rimasto senza fiato davanti ai suoi panorami, chi si è divertito ad assaggiarla, trarrà certamente piacere da questa lettura per (ri)scoprirne i luoghi, ma Dalla in questo libro è come un fantasma, presente più come persona che come musicista, e trovo sia un peccato. A dispetto della rotondità e della circolarità che l’autore individua come caratteristiche peculiari della città, in alcuni punti sembra piuttosto di girare in tondo, le cose e gli aneddoti spesso si ripetono, la scrittura s’inceppa: sembra quasi un libro scritto di fretta (anche l’editing pecca, ci sono errori che non dovrebbero sfuggire al primo giro di bozze!). Soprattutto, non mi è piaciuta la nostalgia per certi ambienti e certi modi di fare o di vivere che tradiscono un maschilismo neanche troppo velato. Considerando la città e il personaggio, si poteva sicuramente fare di meglio.
Un bellissimo modo per scoprire le particolarità di Bologna attraverso la vita di un grandissimo artista. Scopriamo i luoghi, le osterie, le piazze e gli edifici tanto cari a Lucio Dalla e che sono stati un simbolo di quegli anni, punti di ritrovo anche per altre personalità del panorama artistico del tempo.