«Un uomo nella vita. Un uomo, così, e basta.»
Vitangelo Moscarda arriva a una convizione che lo sconvolge: l'uomo non possiede un'identità ma è condannato a vivere le infinite personalità che gli altri gli attribuiscono. Quella di Uno, nessuno e centomila è una macchina narrativa che sbriciola ogni possibile trama in tanti sbalzi e andirivieni, soste riflessive, digressioni saggistiche improvvise, soliloqui. Un fiume tumultuoso e straripante in cui si sviluppa la lucida follia del protagonista. Un percorso di distruzione dell'io che è insieme una destrutturazione del romanzo demiurgico e un provocatorio sfilacciamento della logica tradizionale del racconto.
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Romanzo breve non semplice. Molto psicologico e interiore. Il protagonista percepisce una frammentazione del proprio io sulla,base di come viene percepito dagli altri (centomila). Sono gli altri che ci rendono esattamente come siamo percepiti anche da noi stessi. E’ la socialità che influisce sul nostro io portando ad una alienazione dello stesso (nessuno). Scrittura d’atri tempi …
E’ curioso che l’intera trama del romanzo (strutturato in 8 capitoli) si basi sulla scoperta da parte dell’autore che il suo naso pende verso destra. Vitangelo Moscarda deve cancellare l’immagine di usuraio che ha ereditato dal padre. Compie atti di liberalità che gli procurano un attestato di pazzia. Interdetto dai familiari e dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi. La solitudine non è mai con voi, è sempre senza di voi. Non ha traccia né voce. La moglie abbandona la casa coniugale e, con due amministratori della banca, inizia un’azione legale per farlo interdire. Triste fine del protagonista che forse avrebbe meritato un epilogo più equo e misericordioso.
Un romanzo per rivalutare e rivalutarsi
Molto bello e interessante.