La sua maestosa lentezza. L'esplodere di una natura inattesa, a volte estrema. Un tuffo in acqua. Lo sfiorarsi delle labbra. I silenzi. Gli incontri. Le città deserte. Le notti che si dissolvono nel giorno senza cesura. Al pari di esploratori che si nutrono dell'ignoto, ogni anno siamo pronti a perderci dietro la chimera dell'estate, la stagione piú effimera. La piú luminosa, ma forse anche la piú amara. Quando finisce infatti sentiamo un vuoto dentro. E il ricordo delle emozioni che abbiamo provato non smette di inseguirci. Quali che siano le esperienze vissute, le gioie o le disfatte, al pari dell'araba fenice l'estate risorge sempre dalle sue stesse ceneri, riproponendoci, mescolati insieme, la meraviglia, il sogno e il disincanto. Senza che ci si possa difendere. Seguendo le trasformazioni che porta con sé la stagione piú fugace e inafferrabile, quel che avviene al pianeta, alle piante, agli animali, e soprattutto a ciascuno di noi, Federico Pace racconta da angoli inediti storie emblematiche e avvincenti che hanno preso vita durante quei giorni cosí infuocati da suscitare le aspettative piú vertiginose. Storie accadute a chi ha lasciato che l'estate, ancora una volta, portasse con sé una strana felicità.
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C'è leggerezza e profondità nelle storie di questo libro. Un'atmosfera seducente che attraversa i diversi racconti e muove i diversi personaggi. Forse il più bel racconto è quello, di Antonio Machado e Leonor Iziquierdo, che appare alla fine. Coraggioso metterlo proprio al termine del libro. L'autore dice che la felicità è una "visitatrice restia, si muove di rado, quasi mai si fa annunciare e quando infine arriva, per ragioni che non conosciamo, preferisce restare per un tempo molto breve".
Raccontini su grandi personaggi che si vorrebbe avessero fatto qualcosa di significativo durante l'estate. Velleitario.
Delicato e onirico. Grande capacità descrittiva dell'autore. Lettura leggera e consigliata.