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E’ un dialogo, «come due jazzisti che si rimandano dei motivi, avanti e indietro» tanto che «le voci cominciano a mescolarsi». L’anima si riscopre attraverso la patologia nell’individuazione junghiana di diventare sempre più se stessi, mentre la crescita è una idealizzazione che predispone al fallimento. La cognizione non precede la volizione e il fare: questo l’errore della terapia. Non bisogna che siano eliminati i démoni perché si porterebbero via anche i miei angeli (Rilke). I miti sono reali e il pathos va vissuto fino in fondo, assumendoselo. In questo serve fantasia e ridefinire il concetto di Sé, fuori dalla cartesiana scissione interiore/esteriore. Abbiamo bisogno di un pensiero più antico (psicologie animistiche tribali) nell’anima delle cose, non nella individualità. Insomma, il problema terapeutico non è come sono diventato così, ma cosa vuole da me il mio daimon. L’interiorità per la nostra società è tutta nell’atto di presentarsi (trama è mythos). Ma noi non moriamo soli: ci incontriamo con gli antenati e il nostro mondo notturno dei sogni. Ecco perchè serve la follia messaggera degli dèi. Un testo che va letto dopo aver letto i libri più tosti di Hillman per comprendere talune sfumature....
1993: in ''Cento anni di psicoterapia [o psicanalisi, nelle ristampe] e il mondo va sempre peggio'' la coppia Hillman-Ventura espone cause, antidoti e rimedi solo nella prospettiva della ''psicologia architipica/-ale'', eludendo un'approfondita e dettagliata indagine d'un secolo di fallimenti. Era auspicabile un confronto incentrato sulla maslowiana ''piramide dei valori'', poiché basata sul ribaltamento degl'assunti terapici di partenza: attenzione rivolta non a psicosomatopatie ideoaffettive, bensì a modelli esemplari di successo. Sembrerebbe un approccio filosoficamente corretto: la "negativité sans emploi" ("negatività senza impiego"), il rigetto tanto della "negatio negationis" dialettica o "raddoppio del negativo" quanto dell'eterogenesi dei fini. Eppure anche l'approccio di Maslow rientra nella secolare lista di flop. Alcuni motivi sono ovvi, altri meno: senz'anelli di retroazione fra i vari stadi, ci si può percepire autorealizzati "in tutto il necessario tranne che nell'essenziale" (commiato frequente tra i suicidi). Al "be yourself" e al winnicottiano distinguo tra vero e falso sé Guzzanti/Quelo replicherebbe con "La risposta è dentro di te, e però è sbagliata". Raggiungere i propri obiettivi soggettivi quand'essi rischiano di svelarsi oggettivamente insoddisfacenti può suscitare un'angoscia insostenibile. Ma per disporre di parametri oggettivi bisogna aver risolto l'eterno problema dell'"analogia entis" e della "via eminentiae": aver individuato cosa ci sia mai di salvabile e salvifico in enti ed eventi per ampliarlo, estenderlo, amplificarlo, e/o viceversa aver compreso in cosa consista l'Assoluto monovalente positivo, univocamente benigno, e da ciò inferire l'intersezione col nostro qui e adesso. Il che non è ancora dato. Ergo?