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Recensioni La macchia della razza. Storie di ordinaria discriminazione

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Dragan è un bambino. Un bambino rom. Bisogna schedarlo, prendergli le impronte. Come a tutti gli stranieri che invadono il nostro paese e le nostre città. Il razzismo non c'entra. E che bisogna tenerli sotto controllo, rispedirli a casa prima che ci infastidiscano ai semafori, rubino nelle nostre case, stuprino le nostre donne. Perché la nuova parola d'ordine dei nostri politici, da destra a sinistra, è "sicurezza". Non c'è quotidiano o telegiornale che non tenga a specificare la nazionalità o l'etnia del criminale di turno - rumeno, albanese, marocchino - quando invece andrebbero ricordate le vittime più recenti dell'immigrazione clandestina e del razzismo strisciante nel nostro paese. Eppure noi italiani, "brava gente", qualche decennio fa eravamo proprio come "quelli lì", guardati con sospetto, maltrattati, offesi, quando cercavamo lavoro e fortuna all'estero. La storia non ci ha insegnato proprio nulla, sembra dirci Marco Aime, e allora certe cose bisogna ripeterle, e ripeterle ancora, perché la macchia della razza scolori, per poi un giorno sparire per sempre.)
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