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Numeri per parlare. Da «quattro chiacchere» a «grazie mille»
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Numeri per parlare. Da «quattro chiacchere» a «grazie mille» - Carla Bazzanella,Rosa Pugliese,Erling Strudsholm - copertina
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Numeri per parlare. Da «quattro chiacchere» a «grazie mille»
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Numeri per parlare. Da «quattro chiacchere» a «grazie mille»

Descrizione


I numeri sono fondamentali per la nostra quotidianità per tanti e diversi motivi: contare, dare prezzi alle cose, misurare quantità e grandezze; organizzare il tempo in minuti, ore, anni, secoli; esprimere valutazioni nelle interrogazioni scolastiche o negli esami universitari; dare un ordine riconoscibile in caso di code. Insomma, viviamo in un mondo di numeri, che usiamo in modi e con finalità diverse. Ma oltre a un modo preciso per descrivere una quantità, o a fare calcoli in aritmetica o previsioni e bilanci in economia, i numeri servono anche ad altro, a indicare una quantità indeterminata o approssimata. Eppure, a dispetto di questa imprecisione, riusciamo a capirci, e, in certi casi, è proprio quell'imprecisione che serve per trasmettere altri significati, sfumature, o usi particolari. Non a caso, quando "tuo marito dice che arriva tra 'due minuti'" tu capisci perfettamente che dovrai aspettarlo anche dieci, forse quindici minuti. Così come capiamo che quando Manzoni ha scritto "i miei 25 lettori" non pensava proprio a venticinque ma a molti, molti di più. E non battiamo ciglio, quando qualcuno in maniera paradossale ci dice: "sono d'accordo al mille per cento" per sottolineare la propria adesione assoluta, esagerata. In due parole: Carla Bazzanella indaga su numerosi esempi di parole e di usi linguistici con i numerali da zero a un miliardo nelle conversazioni tra amici, nei proverbi, nella pubblicità e nelle varie forme discorsive.
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Dettagli

2011
13 gennaio 2011
Libro universitario
165 p., Brossura
9788842095224

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maurizio .mau. codogno
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«Ce li famo, du' spaghi?» Ma gli spaghetti da cuocere non sono certo due a testa! O meglio non lo sono per noi italiani, che a differenza di altri popoli usiamo il numerale "due" anche come sinonimo di "pochi". Insomma i numeri, lungi dall'essere qualcosa di estremamente preciso, nel linguaggio spesso assumono un significato sguisciante. Ecco così che in questo agile libretto si raccontano i numeri come li può vedere il linguista. Tra i quattro capitoli, direi che il secondo ("Approssimare con i numeri nelle lingue") è quello meno riuscito, proprio perché un po' troppo approssimato e senza un filo logico almeno per il mio modo di pensare; molto belli gli altri tre, con una menzione speciale a Erling Strudsholm che nell'ultimo racconta dei numerali in una lingua come il danese, che proprio per non essere così nota o almeno orecchiata permette di vedere meglio le differenze anche culturali e toglierci quindi certi pre-giudizi legati all'abitudine di parlare nella nostra madrelingua. Comunque non preoccupatevi se la matematica non vi piace, e se per questo non preoccupatevi se non sapete nulla di linguistica: il libro può tranquillamente venire goduto.

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Voce della critica

Può essere una sorpresa per molti osservare il modo pervasivo con cui i numeri entrano nel nostro linguaggio quotidiano non solo allo scopo di contare: "fare quattro chiacchiere", "grazie mille", "ci vediamo fra una ventina di minuti", "dammi due fagiolini", "ho preso il cinquantacinque per venire da te"… La lista è inesauribile e in moltissimi casi l'uso delle parole-numero assume le connotazioni più diverse, ben lontane da quello sancito dalle tabelline che abbiamo imparato a scuola.
Gli autori riescono a dare una descrizione sistematica e ampia dei molteplici modi con cui usiamo i numeri "per parlare", in italiano come in altre lingue. Il loro lavoro illustra infatti le molteplici significazioni che i numerali (cioè le parole con cui rappresentiamo i numeri parlando o scrivendo) assumono nell'uso concreto e quotidiano dei parlanti (e degli scriventi).
Il fatto più sconcertante è rendersi conto che i numerali non hanno solo il loro senso canonico di numeri "per contare", definito rigorosamente in matematica, cioè di rappresentare i numeri cardinali (quelli che rispondono alla domanda "quanti sono?"), ma manifestano spesso proprietà che sono la negazione di quella che dovrebbe essere la loro proprietà caratterizzante, e cioè l'espressione precisa delle quantità. Al contrario i numerali, in quanto parole dell'uso quotidiano, riescono a esprimere in modo efficace anche l'indeterminatezza. È una loro peculiarità, che raramente troviamo in altre categorie di parole: un po' come se la parola "bianco" significasse anche "nero", secondo l'uso e il contesto. Cioè i numeri possono esprimere anche un valore indeterminato, che convive con il loro senso primario: ad esempio l'espressione "cento euro" può significare esattamente la quantità indicata in una frase come "devo restituire a Maria i cento euro che mi ha prestato", ma lo stesso parlante in un'altra circostanza può dire "indossava una cravatta che sarà costata cento euro" per esprimere un valore approssimato del numero 100. Il contesto (e il tempo futuro "sarà" nel secondo caso) disambigua i due significati per chi produce o ascolta la frase.
Come scrivono gli autori, "gli usi dei numeri (…) possono definire contrasti netti, polarizzando due elementi, oppure collocandosi in un punto intermedio tra precisione e vaghezza, a volte possono quasi fluttuare tra l'una e l'altra". In questo senso, i numerali hanno sia un significato preciso e univoco (i numeri naturali appunto: 0, 1, 2…), uniforme in tutte le lingue, ma nel contempo esprimono anche i sensi più diversi, che variano da lingua a lingua e in cui appaiono in forma più o meno esplicita le loro profonde radici culturali e antropologiche.
Il discorso è abbastanza complesso ed è sviluppato nel volume lungo due dimensioni complementari. Secondo una di queste, si può per esempio osservare che i numerali parlati esprimono modi diversi di contare che risalgono a culture differenti e molto indietro nel tempo. Le regole con cui nelle varie lingue si esprimono i numerali fanno affiorare spezzoni di questo passato. Per esempio "novantasette" e "quatre-vingt-dix-sept" significano entrambi il numero 97 ma indicano due modi diversi di contare: il senso del numerale francese è "quattro ventine più dieci più sette", mentre in italiano è "nove decine più sette" e, andando più in profondità, si vede che "nove decine" è espresso in italiano con l'aggiunta di –anta a nove, come nel caso delle decine da 40 a 90. Un ulteriore aspetto della dimensione dei numeri per contare deve anche considerare le espressioni che surrogano i numerali standard, spesso a proposito di misure o conteggi particolari. Qui compaiono altre basi (ad esempio nella misura del tempo e degli angoli si usa la base 60, numero divisibile per molti più fattori che non 10: 2, 3, 4, 5, 6 ecc., ciò che può facilitare i calcoli e le suddivisioni in parti di un'unità), a volte espresse con parole specifiche, che troviamo solo in contesti ben precisi ("dozzina di uova", "paio di calze"): si parla in questi casi di numerali concreti.
Questa prima dimensione dell'analisi comprende perciò i numerali con il loro significato preciso di quantità ("numeri per contare"), ma le stesse parole sono anche usate per esprimere significati indeterminati ("numeri per parlare"): si apre una seconda dimensione dei numerali. Anch'essa mette in risalto peculiarità culturali e antropologiche, ma lo fa considerando i modi con cui i numeri per parlare sono usati nella lingua (nelle lingue) di tutti i giorni.
Il volumetto dà conto di queste dimensioni (soprattutto della seconda) in modo semplice e piano, sviluppando il discorso classificatorio e comparativo con una serie di bellissimi esempi. Il lettore è così introdotto a concetti linguistici astratti in modo molto concreto: gli indicatori di approssimazione e di precisione, le risorse lessicali, i quantificatori generici, la pragmatica dei numerali sono altrettanti concetti che il lettore impara a comprendere senza difficoltà proprio per la leggerezza che gli autori hanno nel porgerli attraverso esempi avvincenti e convincenti. Il riferimento continuo alle frasi quotidiane che tutti noi usiamo ci permette di entrare via via nella loro analisi senza alcuna difficoltà e con un interesse crescente. Ci si sente un po' come il Monsieur Jourdain di Molière, che aveva parlato in prosa tutta la vita senza saperlo. Anche noi scopriamo di essere produttori di tutte queste ricche forme linguistiche dei numerali, anche se magari intervistati prima della lettura di questo libro avremmo detto che i numerali sono usati solo per contare, ignorandone i mille diversi usi (appunto).
Un discorso a parte merita l'ultimo capitolo del volume, dove si illustrano le difficoltà di tradurre sensatamente da una lingua all'altra le varie espressioni in cui compaiono i numerali. Una traduzione letterale dei numerali per parlare è impossibile, pena la non comprensione. Impariamo così che "quindici giorni di vacanza" diventa in danese (come in tedesco) "quattordici giorni di vacanza", anche se il numero di giorni è lo stesso (ma noi per contare i giorni compresi in due settimane includiamo anche la terza domenica, a differenza dei danesi che si limitano alle prime due); oppure che certe espressioni sono addirittura intraducibili da una lingua all'altra perché perdono il senso che hanno in una e ne assumono uno completamente diverso se trasposte nell'altra: ad esempio, per un danese (come per un inglese) la "terza pagina" di un giornale significa solo la pagina 3, non quella culturale; analogamente "side ni pige" in danese (letteralmente "pagina nove ragazza") può essere tradotto solo con una perifrasi che spieghi che in un tabloid scandalistico danese comparivano regolarmente foto di ragazze discinte (in inglese si tradurrebbe con "page three girl": il cambiamento del numero conserva il significato dell'espressione). Le differenze culturali fanno affiorare anche un'altra differenza interessante: l'uso degli ordinali (primo, secondo, terzo ecc.) è infatti diverso tra l'italiano e il danese (e altre lingue, ad esempio il tedesco e l'ungherese).
Il volume rappresenta quindi un'interessante dimostrazione di come il linguaggio della matematica (in questo caso quello dei numeri) si intrecci profondamente con il nostro modo di parlare e di pensare. Alla faccia degli "anumerati" (cioè degli analfabeti numerici), che si vantano di non capire niente di matematica. In un certo senso è la dimostrazione del perché nessuno di noi, parafrasando Croce, "non può non dirsi matematico".
Ferdinando Arzarello

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