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Questi di Rafael Courtoisie sono racconti a dir poco taglienti. Soprattutto Sfregi, che dà il titolo alla raccolta e che occupa un terzo del volume, ricorda per certi versi la scrittura di Agota Kristof e la sua Trilogia della città di K. Come già segnalato a proposito di Vite di cani (cfr. "L'Indice", 2001, n. 6), l'altra sua opera pubblicata in Italia, Courtoisie è una voce davvero nuova e originale nel panorama delle lettere ispanoamericane, purtroppo vittima, in libreria, della consueta scarsa visibilità riservata ai piccoli editori.
La peculiarità della scrittura di questo ancorauniversitario, classe '58, è ben inquadrata nell'introduzione di Lucio Sessa, che continua a farsi promotore dell'opera di Courtoisie in Italia. Il curatore insiste sulla perfetta e innaturale secchezza della prosa dell'autore di Sfregi, così adatta a tradurre il mondo anti-fiabesco dei suoi protagonisti che raccontano sempre in prima persona da uno straniamento portato alle estreme conseguenze. Si tratta di una distanza che, secondo parole dello stesso Courtoisie, va trovata nel linguaggio "per nominare le cose in un altro modo". E questa prosa "tagliente", "scontrosa", senz'altro poetica dal momento che "va al di là del narrativo" per farsi a tratti surreale, traduce esattamente quello sguardo impietoso e crudele che solo un'eccessiva innocenza può posare sui dati convenzionalmente acquisiti della realtà finendo per disarticolarli e rovesciarli.
Raúl, ad esempio, protagonista di Sfregi, vive la sua quotidianità come una grande domanda senza risposta, e i suoi gesti brutali o asociali, come l'entrare in un supermercato e squarciare tutto ciò che gli capita a tiro, sono solo tentativi rabbiosi e inutili per trovarla. Di Raúl non sappiamo nulla, salvo che è un adolescente abbandonato a se stesso dopo la morte della nonna, unica persona che si occupasse di lui. Ma sappiamo che a Raúl piacciono irresistibilmente i coltelli e che con il coltello sfregia e incide - letteralmente e metaforicamente - la banalità delle cose e delle persone tirandone furori budella di non senso o di un senso nuovo. Al suo passaggio le cose si umanizzano - cadaveri di lattuga, cetrioli decapitati, lattine sanguinanti, bibite che muoiono di sete, natiche di arance aperte, pagnotte oneste, reggicalze tentacolari come polpi - e gli esseri umani si reificano o mostrano l'astrusità delle loro abitudini: donne sepolte "nella nebbia delle stoffe", che non hanno pelle ma abiti e che quando si spogliano "si vede il vestito assente"; preti ridicoli nelle loro sottane ad aspettare i clienti al confessionale come puttane;per bestemmiare.
Tanto irriverente quanto veritiero, il pensiero l'ipocrisia dei moralisti, il consumismo sfrenato, l'ecologia, la guerra e il terrorismo. "In città spariscono cinque bambini al giorno. Trentacinque a settimana. Più di cento al mese. Milleduecento all'anno. Chi li porta via? Cosa ne fanno? - si chiede Raúl - Hamburger", si risponde. "I terroristi hanno messo una bomba in un pallone", un bambino gli ha dato un calcio. "Cosa fa un bambino senza gambe?", si chiede Raúl. La solidarietà dei telespettatori gli regala una sedia a rotelle, ma il bambino "voleva una bicicletta", osserva laconico, e tutte le volte che passa davanti a un negozio di scarpe pensa a lui: "È peggio un paio di scarpe senza bambino che un bambino scalzo", perché "I piedi senza scarpe possono camminare comunque, ma le scarpe senza piedi non vanno da nessuna parte". E conclude: "Per il terrorismo le scarpe sono più importanti dei piedi".
Pietà e indifferenza mescolate senza soluzione di continuità sgocciolano in frasi brevissime come piombo fuso sulla pagina e si coagulano talvolta in sentenze che ricordano il pensiero zen. Divenuto cieco da un occhio dopo la vendetta di un compagno di scuola, Raúl trova una spiegazione provvisoria alla sua inquietudine, dato che con metà vista vede "la metà dell'odio, la metà dell'amore, la metà delle rose, la metà del tempo, la metà dell'acqua, la metà del mondo", e conclude: "Con metà vista, con un occhio solo, vedo le domande, ma non le risposte". Innamoratosi di una ragazza cieca, che "non vede ma sente. Non vede ma vibra, ma vive" riesce addirittura, a sospettare la felicità. Dice: "Quelli che vedono non vedono la bellezza".
Ciononostante, come osserva Lucio Sessa, non c'è redenzione nella storia di Raúl e, aggiungiamo, nemmeno in quelle dei restanti racconti: una figlia si finge pazza per vivere in manicomio piuttosto che accanto alla madre, un puma allevato come un gatto da un'anziana finisce per sbranarla, un gruppo di amici gioca alla roulette russa con pasticcini al veleno, un uomo fallisce ripetutamente l'attraversamento clandestino della frontiera nordamericana, un chirurgo alcolizzato promette di operare fermando il tremolio della propria mano al quarto bicchiere, una donna racconta come ha staccato la spina al marito in coma, una suora istruisce una novizia contro i sicuri turbamenti, un poeta si pone l'eterno interrogativo sul peccato degli abitanti di Gomorra.
O forse, come suggerisce ancora il curatore, la redenzione sta altrove, in quello straniamento che permette alla tenerezza di arrivare comunque, da un ingresso inatteso, quasi provvidenziale, ovvero nel linguaggio stesso che trasforma in bellezza l'impossibilità di evitare il dolore, incollando il lettore a un pathos di fondo difficile da individuare nella natura del singolo evento narrato.
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