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Suttaterra - Orazio Labbate - copertina

Descrizione


Milton, West Virginia. Giuseppe Buscemi è il figlio di un predicatore emigrato in giovane età dalla Sicilia. Trentenne, di mestiere becchino, è ormai capace solo di consumarsi nel ricordo della moglie, scomparsa un anno prima. Un giorno però gli arriva una lettera della defunta, che lo invita a raggiungerla a Gela, luogo del loro matrimonio. Spedita qualche giorno prima, pare scritta proprio da lei. Giuseppe, sconvolto dalla paura e dal desiderio, decide di partire verso la Sicilia delle sue origini maledette. In equilibrio tra l'immaginario onirico di David Lynch, l'horror di Thomas Ligotti e le pagine stregate di Vincenzo Consolo, Orazio Labbate rinnova l'epica de Lo Scuru con un romanzo che conduce nel cuore nero del gotico siciliano.
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Dettagli

2017
9 novembre 2017
140 p., Brossura
9788867902491

Valutazioni e recensioni

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Antonella Iantomasi
Recensioni: 4/5
Un libro a tratti inquietante ma originale.

Orazio Labbate coinvolge noi lettori nello stato "allucinatorio" di Giuseppe, protagonista tormentato di "Suttaterra". Becchino per ribellione e per istinto di sopravvivenza, il ragazzo ricompone le salme. In ogni tempo e presso ogni popolo, la cura per i propri morti è sintomo di civiltà in cui si esprime un senso comune di forzata aderenza alla finitezza, in cui si manifesta una reazione alla caducità umana. Qui il mondo dei vivi e quello dei morti dialogano a singhiozzi tra loro. Il mondo "di sopra" e quello "di sotto" si contendono le persone. Il sogno e la realtà si confondono. Gli universi si mescolano senza soluzione di continuità, intrisi di simboli pagani, ma anche di religiosità popolare che sconfina nel fanatismo. C'è una ricerca di Dio che non offre sollievo. In una Sicilia inedita e oscura, scorre questo romanzo sul significato del dolore, sull' incapacità di accettare la perdita delle persone care, sull' impossibilità di custodire la vita per come la immaginiamo, di preservare coloro che amiamo dal decadimento, dalla sofferenza, nella vita e nella morte. Da apprezzare anche la ricerca linguistica e lessicale lontana da stereotipi e banalità.

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Patrizio 78
Recensioni: 5/5
Cinema dell'orrore

Una Sicilia mai vista, da cinema dell'orrore.

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Sandro Grammauta 1974
Recensioni: 2/5

Non ci volevo credere, non mi sarei mai aspettato un romanzo così forzatamente artefatto, nell'intenzione ispirato alle atmosfere di Lynch e Ligotti,in pratica scialbo, spesso inverosimile, nelle solite ambientazioni come i cinema in disuso, stradine buie o collinetre spettrali, ma soprattutto insensato in tutti i dialoghi, benzinai, nani, o il becchino protagonista che parlano come (finti) letterati, il vento diviene rapsodico(?), e diverse parole come glossa o glossolalia usate a sproposito come assurdo vezzo poetico. Le visioni e le apparizioni sovrannaturali molto spesso appaiono come caricature patetiche, insincere o risibili, Molto meglio Lo scuru, primo atto della trilogia di Labbate, più sperimentale linguisticamente. Per finire un consiglio a chi ha scritto la sinossi, l'accostamento stilistico a immensi autori come Vincenzo Consolo o Gesualdo Bufalino è una vera e propria bestemmia letteraria, capisco che dovete presentare al meglio il capolavoro di turno, ma di certo almeno in questo caso, avete rimediato un gran bella figura....

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Voce della critica

Labbate, amore e morte quindi letteratura

Almeno un paio di grossi equivoci aleggiano attorno al secondo romanzo di Orazio Labbate, siciliano di Butera (come il troppo in fretta dimenticato Fortunato Pasqualino). Uno sta nell’affastellarsi di grandi nomi che vengono accostati a lui come ispiratori o termini di paragone, perfino nelle bandelle del libro. Invece è chiaro che questo giovane autore ha una sua voce inconfondibile e originale, che si sarà anche abbeverata a certa tradizione isolana e americana, ma che calca ormai orme tutte sue. E certi confronti ripetuti, certe volte stucchevoli, non sono positivi, rischiano di far passare il messaggio di un epigono. Continuare a tirar fuori collegamenti, a volte anche forzati, con maestri del passato e del presente, oltre a coltivare etichette di genere (“gotico”), quando i generi sono paletti invisibili. Altro qui pro quo, fatto probabilmente in buona fede da molti osservatori, critici, su giornali di carta o sul web, è ritenere che ciò che è complesso sia anche complicato. Suttaterra, secondo romanzo di Labbate, secondo atto di una trilogia che prossimamente lo scrittore completerà, è stato descritto come qualcosa di incomprensibile ai più, quasi un verbo per pochi iniziati: è invece letteratura della più bella, quella che scava dentro; è una storia d’amore capace di attraversare l’oceano e di sfidare perfino la morte; è una vicenda che indaga il male, ma non solo, anche la contrapposizione fra religione e fanatismo, e tra fede e paganesimo, con un diluvio di simboli che galleggiano sulle pagine.

“Arriverai dal mare e ci rivedremo nel nostro posto speciale. Tra un mese. La tua Maria”. La lettera è inequivocabile e invita il destinatario a lasciare gli Stati Uniti e a partire per la Sicilia meridionale, laddove tutto è iniziato, la storia fra un uomo e una donna. Il destinatario è Giuseppe Buscemi, figlio di Razziddu (predicatore emigrato dalla Sicilia, protagonista de Lo Scuru). Giuseppe è il becchino di Milton, in West Virginia, ed è vedovo da un anno, anche se non s’è mai rassegnato e s’è lasciato andare a malinconie alcoliche e a idee suicide. Il mittente della lettera è la moglie morta, Maria Boccadifuoco, che era anche incinta; lui, fra sconcerto e amore, s’imbarca su una nave fantasma, la petroliera Christmas, a Baltimora, e parte per Gela, la città del Petrolchimico fosforescente, trasfigurata da Labbate, che conosce benissimo quelle terre. Ecco la scintilla di Suttaterra, con una lingua scrostata da dialettismi, ma sempre ricercata, evocativa, affascinante e febbrile: per la parola scritta l’autore e il suo editor Vanni Santoni hanno una devozione totale.

La narrazione visionaria è un susseguirsi di incubi e deliri, di cupe reinvenzioni di luoghi marginali a cui Labbate conferisce inquietante spessore. Quello dell’italo-americano Giuseppe, più che un ritorno a casa è una discesa apocalittica agli inferi, tra fantasmi, leggende, epifanie e presagi, un viaggio lungo luoghi claustrofobici, in cui incontra personaggi misteriosi. Se proprio bisogna azzardare qualche avo letterario, per Labbate, viene da pensare a Moresco, o a certa tragedia classica, a qualche eco grottesco di Kafka. Metafisico e terreno convivono in una miscela speciale, luce e buio si alternano, le suggestioni si sprecano. Spesso si scrive che certi romanzi sono pronti per diventare un film, leggendo Suttaterra viene da pensare: “Chissà se qualcuno avrebbe il fegato e la capacità di realizzarne una trasposizione cinematografica…”. Forse la Sicilia, salutati i giganti affermatisi nella seconda metà del Novecento, ha trovato un suo nuovo grande scrittore, o almeno la strada è tracciata.

Recensione di Arturo Bollino

 

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