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Za l'immortale. Centodieci anni di Cesare Zavattini - Silvana Cirillo - copertina
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Za l'immortale. Centodieci anni di Cesare Zavattini
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Descrizione


1902-2012: centodieci anni della straordinaria "vita immortale" di Zavattini attraverso vita, opere e "miracoli". L'accuratezza della ricostruzione, coniugata alla ricchezza di storie e aneddoti, alla ricostruzione della vicenda umana "Za" danno vita a un'opera godibile a tutti i livelli. Raccontando di un autore che parlando di sé parlava tanto a (e di) tutti i suoi contemporanei. E di noi.
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Dettagli

2015
10 febbraio 2015
Brossura
9788895884554

Valutazioni e recensioni

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Alice_1391
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Cesare Zavattini è conosciuto soprattutto per la sua attività di sceneggiatore (pensiamo a film come “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano” e “Umberto D”, diretti tutti da Vittorio De Sica). In realtà questi è stato molto di più: scrittore, giornalista e anche pittore. “Za l’immortale” si pone proprio questo come obiettivo: restituire un ritratto completo dell’uomo e dell’artista. E Silvana Cirillo ci riesce, lei che ha dedicato all’autore altri volumi e ricerche; prende per mano il lettore alla scoperta del “pianeta” Za. Il libro contiene l’analisi puntuale di libri del luzzarese come “Totò il buono”, ripercorre gli esordi e i primi successi, la carriera, ma anche presenta una curiosa rassegna di alcune sue opere pittoriche. Un omaggio ad un genio indiscusso de Novecento, a cui forse la critica ha dato poca attenzione. Unica nota “stonata“ il formato: è un po’ grande, ma ci sta, tenendo conto che il volume include pure una piccola galleria fotografica di scatti inediti.

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Voce della critica

  In Madre notte di Kurt Vonnegut ci si imbatte in una frase semplice, universale: "E dove c'è vita… Lì c'è vita", una frase che i più giudicherebbero erroneamente banale, tautologica, trascurandone l'importanza, la necessità. Uno dei pochi, forse l'unico, ad averne colto l'essenza è stato senz'altro Cesare Zavattini. Chi era esattamente Zavattini? Non è forse lo scrittore di libri quali Parliamo tanto di me, Ipocrita 1943, I poveri sono matti? Oppure, lo sceneggiatore di quei capolavori, Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D., diretti da Vittorio De Sica? E la rubrica "Italia domanda", l'ha inventata lui? Ma non è stato anche pittore? È un personaggio caleidoscopico, multiforme, inafferrabile, quello affrontato dal libro di Silvana Cirillo. L'autrice aveva conosciuto di persona il funambolico Za, aveva già scritto di lui, curandone alcuni testi, e finalmente è riuscita a catturarlo. Si è spogliata di quello che Palazzeschi, nel Codice di Perelà, definiva il "cannocchiale della critica": più lungo degli altri, ma "quello che si ripiega meglio". Si è privata, volutamente, di atteggiamenti snobistici di alcune penne, avvezze all'attenzione fittizia e alla lettura superficiale, e ha raggiunto una simpatia effettiva con la vita di questo piccolo grande uomo. Un uomo che ha rivoluzionato il mondo attraverso la vista, per cui i dettagli nascosti potevano celare straordinarie epifanie. Non esistevano uomini senza qualità o donne brutte che non lo interessassero. È proprio qui che emergeva il suo particolare surrealismo: "Direi che sono surrealista, nel senso che mi sposto dalla realtà tradizionale, non per cercare quello che non c'è, ma per cercare quello che c'è e che la realtà tradizionale nasconde". Aveva chiaro il concetto di uguaglianza: parlando di sé, parlava di un uomo. Eroe di un comunismo autentico e mai dichiarato, lontano dai salotti borghesi, popolati di ideali incravattati e di discorsi sterili, alla continua ricerca di un movimento "urgente, drammatico, popolare… dove per popolare si intende gli altri, andare verso gli altri". Il vero artista non doveva guardare all'arte, ma alla vita. Come unico scopo, la verità. Ed è proprio qui che, secondo l'autrice, risiede il carattere profetico di Zavattini ("Capire, e capire subito. La televisione dei giorni nostri. Ancor più: le fondamenta di internet"). In un Novecento dove tutti gridano la propria alienazione, nascosti dentro un quadro di Munch o distesi comodamente sul lettino di Freud, Zavattini diviene un compagno fedele della realtà e non smette mai di corteggiarla: la scrive, la canta nelle trasmissioni radiofoniche, la ritrae. Quando dipinge, si sente felice come Chagall, e Luzzara, "natio borgo selvaggio", pare una piccola Vitebsk. Un artista tout court, dunque, come Alberto Savinio. Entrambi, infatti, occupano un posto di rilievo nelle ricerche di Cirillo, poiché, insieme ad autori come Landolfi, Manganelli, Delfini, Bontempelli, è possibile creare un anti-canone ideale capace di rovesciare i sistemi tradizionali, dando meno spazio alla scrittura mimetico-realistica e privilegiando ad ogni modo lo stile, l'umorismo dissacrante, l'immaginario dirompente. In questo libro, sfogliando le pagine, si sente il respiro zavattiniano, e si ha la sensazione di partecipare vivamente al suo materiale onirico: "Il mio sogno è questo: si alza il sipario, ci sta la sedia e ci sto io". Nella parte conclusiva, l'autrice saluta Za ricordandogli le iniziative che, in ogni parte del mondo (fino al Sudamerica), gli sono state dedicate post mortem. La morte, d'altronde, come disse lui, è solamente un trasloco per luoghi lontani e diversi.   Giorgio Biferali  

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