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«Di questa epopea Lupo, con L'albero di stanze, si conferma appassionato e sincero testimone, autentico e luminoso cantore, in un romanzo che segna con dolente e sofferta coscienza la conquista di una vita nuova». - Cesare De Michelis
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Allegorico, visionario, in una parola sorprendente, il romanzo di Giuseppe Lupo è un degno discendente di "Cent'anni di solitudine". I componenti della famiglia Bensalem, dal capostipite Redentore, alla voce narrante del pronipote Babele hanno dato vita ai muri della casa/albero fino all'ultimo giorno del millennio, che rappresenta l'epilogo della antica dinastia e l'inizio di una nuova. Il romanzo è così attraente nella sua lucida follia, nella descrizione dei suoi strampalati personaggi, ognuno dei quali trova comunque una strada da percorrere che, come spesso accade, il finale scelto dall'autore è inferiore alle aspettative. Decisamente criptico lascia, è vero, ampio spazio all'interpretazione del lettore, ma anche una leggera delusione ed una sensazione di incompiutezza. Un romanzo comunque che si presta ad una rilettura per meglio apprezzare il ricco linguaggio e le efficaci metafore che nobilitano la narrazione.
Babele, voce narrante del romanzo L'albero di stanze di Giuseppe Lupo e ultimo discendente della centenaria stirpe dei Bensalem, racconta l'epopea della sua famiglia. Come in tutti i romanzi di Lupo anche qui i personaggi vivono in un'aura incantata, dove è davvero labile il confine tra realtà e immaginazione; un mondo dove tutto è possibile: i muri parlano, i sordi ascoltano e bisnonno Redentore, capostipite dei Bensalem, costruisce per ciascun figlio o nipote stanze sempre più in alto, realizzando una torre simile ad un albero, "un pioppo alto e a filo di piombo". Quattro giorni prima dell'arrivo del nuovo millennio Babele parte da Parigi, dove vive con moglie e due bambine, per raggiungere la casa dei suoi antenati, in un paese (Caldbanae) che non si trova su nessuna mappa. La casa è stata venduta e lui deve seguire lo sgombero dei mobili. Passando da una stanza all'altra della vecchia dimora, che i falegnami provvedono a svuotare, si srotolano i ricordi e le storie di tutti gli zii, prozii, padre, nonno e bisnonno di Babele. Il tema dominante del libro è la nostalgia dell'abbandono: uno dopo l'altro, i membri della famiglia sono in qualche modo "costretti" a lasciare il mondo dove sono nati e cresciuti. L'albero di stanze, da microcosmo famigliare e da mondo di Babele diventa il mondo di tutti: ne fanno parte i parenti di Babele, ma ne fanno parte anche i mercanti, i forestieri, il misterioso personaggio Yousuf e gli echi di lontane civiltà mediorientali. E poi ci accorgiamo di farne parte anche noi. È questa la magia di Lupo: ha trovato un modo oggettivo per far rivivere al lettore gli stessi suoi sentimenti, grazie a un linguaggio nuovo, ricchissimo di metafore e usando tutta la forza evocatrice della parola. Trasformando un romanzo in una poesia epica. Come tutti i buoni libri anche questo di Lupo ha il difetto di finire ma, come tutti i grandi libri, ha il pregio di farsi rileggere volentieri.
Quando il mondo si sgretola troppo vicino a noi, e non solo metaforicamente, il luogo dove rifugiarci è la casa. O un libro che contenga una casa. Come "L'albero di stanze" (Marsilio) di Giuseppe Lupo che, fin dalla copertina, ci mostra una casa a forma di albero, ogni ramo per un ramo della famiglia in un guazzabuglio di spigoli e tetti, con i mattoni fatti di pietra e farina perché chi la costruì, il bisnonno patriarca, era cavatore e mugnaio. Mattoni che ora, cioè negli ultimi giorni del secolo scorso, quando è ambientato il romanzo e quando la casa sta per essere venduta, parlano a Babele Bensalem, il protagonista sordo di orecchi ma non di cuore, raccontandogli una storia antica da non dimenticare in queste pagine immaginifiche che sono un lungo e amorevole addio per un nuovo meraviglioso inizio.
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