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Anno edizione: 2018
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Vincitore del Premio Andersen 2018, miglior libro oltre i 15 anni.
Una grande saga familiare che dai primi dell'Ottocento giunge agli anni Sessanta del secolo scorso.
L'isola non aveva nome. Qualcuno l'aveva chiamata lo Scoglio, perché era esattamente quel che sembrava, un frammento di terra staccatosi per ribellione e andato alla deriva.
Arne Bjørneboe è un ex marinaio dal volto deturpato a causa di una ferita di guerra. In lotta con il mondo, decide di smettere di parlare e da allora, per tutti, diventa il Muto. Solitario e disperato, trascina i suoi giorni sopravvivendo fino al momento in cui gli viene offerta la possibilità di un riscatto: diventare il primo custode del nuovo faro costruito sull'isola di fronte al porto. Su questo scoglio inospitale, Arne si sente da subito a casa e mette radici, dando vita alla stirpe dei Bjørneboe, i custodi del faro, una discendenza che rivelerà, di volta in volta, ribelli, eroi, filosofi, donne coraggiose, patrioti, contrabbandieri. La vita dei successori di Arne sarà indissolubilmente legata a quella dell'isola, sia che essi decidano di abbandonarla che di restarvi per sempre. Età di lettura: da 10 anni.
Il 2018 è stato un anno piuttosto ricco di novità interessanti, per quanto riguarda l’editoria young adult. Prima di soffermarmi in particolare su alcuni titoli, due brevissime considerazioni di carattere generale: in primis, sebbene il mondo anglosassone rimanga il riferimento ineludibile per chi cerca storie potenti, che parlino da sole e non attraverso il filtro di un tema scelto a tavolino, il panorama del 2018 può allargarsi anche ad altre frontiere e individuarne alcune anche nel nostro paese. Secondariamente, prosegue un trend iniziato negli ultimi anni, che vede una certa predilezione per storie realistiche, familiari, a discapito dei vari filoni emersi a inizio decennio, come quello delle distopie o della cosiddetta letteratura sick-lit.
Inizierei quindi con due titoli che mi pare abbiano in comune la caratteristica di poter accompagnare i giovani lettori nel tragitto accidentato verso la letteratura adulta: parlo di due libri editi da San Paolo, L’isola del muto, di Guido Sgardoli (vincitore del premio Andersen) e L’alba sarà grandiosa di Anne-Laure Bondoux. Due epopee familiari che sviluppano l’intreccio attraverso varie generazioni. Il primo racconta la storia di una famiglia, i Bjorneboe, i cui membri hanno – per due secoli – l’incarico di guardiani del faro in una piccola isola norvegese: attraverso duecento anni di storia, Sgardoli ricostruisce non solo le loro vicende immaginarie, ma anche quelle del luogo che li ospita e del paese da cui sono governati, come a dirci che a seconda del contesto in cui si vive cambia l’idea stessa che si ha di famiglia, legami, affetti. La seconda, invece, è una storia incentrata sul rapporto madre-figlia in cui la seconda, inconsapevole fino ai sedici anni, scopre in una sola notte (fino a una grandiosa alba, appunto) la vera storia della sua famiglia e conosce una nonna e due zii di cui ignorava l’esistenza. Bondoux sembra interrogarsi molto sul tema della scelta, a un duplice livello: quello delle azioni concrete da compiere e quello della trasmissione della storia familiare. Che cosa è giusto tramandare ai figli, e soprattutto, quando? Venire a conoscenza dei segreti di famiglia non è un modo di diventare adulti che deve essere vissuto né troppo presto né troppo tardi? Anche il nuovo romanzo di Allan Stratton, Un viaggio chiamato casa (Mondadori), si muove con grazia nel territorio delle relazioni domestiche e dei segreti di famiglia e ci regala un rapporto nonna-nipote che, per quanto non nuovissimo nei topoi della letteratura per ragazzi, fa breccia nel cuore del lettore per la profondità e il realismo, anche crudo, con cui è ritratto.
È assai interessante notare come anche quando si sconfina oltre le barriere del realismo propriamente detto, i titoli più originali che incontriamo sono romanzi che in qualche misura costituiscono un inno all’adolescenza media, quotidiana, profondamente ordinaria anche se messa in scena in contesti extra-ordinari: penso a Paesaggio con mano invisibile di Matthew Tobin Anderson (Rizzoli), in cui la terra è stata consegnata volontariamente a una razza aliena, i vuuv, che non hanno mantenuto alcuna delle promesse iniziali e hanno ridotto il pianeta alla miseria e alla dipendenza economica. I vuuv però sono presenti nel romanzo quasi unicamente come spettatori: riproducendosi per gemmazione, sono attratti dalle storie d’amore che non vivranno mai. Adam, il protagonista, vende ai vuuv la sua storia d’amore, sostentando così la sua famiglia, ed è costretto a proseguire la messinscena anche quando l’amore finisce. Penso a Spontaneous, di Aaron Starmer (Dana) in cui una comunità di adolescenti deve fronteggiare un’emergenza: uno dopo l’altro, alcuni di loro esplodono, letteralmente, per autocombustione, mentre gli altri, con l’apocalisse che incombe e con la prospettiva di sparire da un istante all’altro, vivono la più tradizionale delle adolescenze: feste, musica, innamoramenti. E penso a Mentre noi restiamo qui, di Patrick Ness (Mondadori), in cui la crescita di Michael, costellata di tutte le paure e le difficoltà di ogni adolescente, è inserita in un contesto post-apocalittico. David Almond, poi, da sempre attento al mito, ne riscrive uno, quello classico di Orfeo e Euridice, facendoli rivivere in due adolescenti inglesi (La canzone di Orfeo, Salani).
Degni di attenzione, per motivi diversi, mi sono parsi anche Mosquitoland, di David Arnold (Rizzoli), Jonas e il mondo nero di Francesco Carofiglio (Piemme) e L’unico ricordo di Flora Banks di Emily Barr (Salani).
Che cosa dovremo attenderci per il 2019? La prosecuzione di questa tendenza o un ritorno in auge del fantasy classico? L’autrice di una delle ultime uscite dell’anno, Figli di sangue e ossa (Rizzoli), la giovanissima Tomi Adeyemi, è salutata come “la nuova Rowling”. Appuntamento tra dodici mesi!
di Matteo Biagi
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