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“Ci sei ricascato, hai letto di nuovo la biografia di una rockstar?” “Eh....si”. “Ma solo pochi anni fa, a proposito proprio di un’altra, sempre di Cliff Richards, scrivesti che era disgustosa...”. “Hai ragione....mi faccio pena”.”Ma c’è un po’ di spazio dedicato alla musica vera e propria stavolta?”. “Forse....appena un po’ più delle altre volte, ma sempre in funzione del mito di turno. Non sembra esserci vera competenza da parte del presunto biografo.”. “Ma almeno l’edizione è decente?”.”No. La traduzione è chiaramente rudimentale, e poi è strapiena di refusi, almeno un paio per pagina”. “Quindi a questo punto spero tu abbia chiuso con questo tipo di libri....”.”No, non credo, ne leggerò ancora”. “Ma allora sei proprio scemo!”.”......si”.
Recensioni
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Il numero di resoconti sulla carriera dei Rolling Stones e di biografie e autobiografie dei componenti del gruppo è elevato e in continua crescita. Dobbiamo aspettarci altro, nei prossimi mesi: nel luglio del 2012 "la più grande rock and roll band" festeggerà mezzo secolo di attività. Non è solo la longevità artistica a sollecitare tanta scrittura: è anche e soprattutto il senso di una vita sempre ai limiti, sull'orlo del baratro, al confine tra l'esistenza delle rockstar spericolate e il mito delle rockstar morte. Brian Jones, il fondatore del gruppo, appartiene dal luglio del 1969 alla seconda categoria, Keith Richards è il paradigma della prima, lo zombie del rock per eccellenza: forse per questo ha ispirato il maggior numero di biografi, e per la stessa ragione il resoconto più accurato della carriera degli Stones non è il suo (l'autobiografia Life, uscita a fine 2010 per Feltrinelli), ma quello del più "tranquillo" Bill Wyman (Rolling with the Stones, Mondadori, 2002), limitato però al 1990, tre anni prima dell'uscita del bassista dalla formazione.
Keith Richards: Before They Make Me Run è un resoconto più aggiornato di quello di Wyman (spesso citato nel testo), ma non quanto sembra: l'edizione originale è uscita nel 2004, ed è dunque sorpassata dall'autobiografia di Richards, pubblicata nell'ottobre del 2010 e tradotta in italiano a tamburo battente. Questo non diminuisce l'interesse del volume pubblicato da Dalai, che è indubbiamente ben documentato e non meno vivace dei numerosi altri. Anzi, spesso le biografie/agiografie non scientifiche come questa sono viziate dalla distanza generazionale tra l'autore e l'oggetto dello studio, per cui ci tocca leggere storie dei Beatles che iniziano con il White Album, o dei Rolling Stones che partono da Exile On Main Street: Kris Needs aggira l'ostacolo e rende con una certa vivezza anche il primo periodo (ai tempi di Satisfaction aveva undici anni), ricorrendo a documenti ben raccolti, anche se, per ragioni di genere bibliografico, non annotati e catalogati. Ovvio, però, che la scrittura faccia un salto di qualità quando Needs racconta degli anni successivi al 1970, e soprattutto dopo il suo incontro, da giornalista, con Richards. Le coincidenze e le concomitanze (cose di droga, oltre che di musica) incrementano, man mano che si va avanti nel libro, la sintonia tra Needs e Richards, e giustificano un po' di indulgenza verso qualche eccesso di vanità autobiografica.
Un certo livello di compromissione fra autore e soggetto fa parte, del resto, delle norme di genere della biografia di una rockstar: ci si aspetta, entro certi limiti, che l'autore sia una sorta di rappresentante della comunità dei fan. I lettori che amano questi libri sono abituati a identificarsi con i musicisti, ma anche con chi fa da tramite. Anche se l'autore indulge a raccontare di quella volta in cui prese in mano per la prima volta un disco o assistette a un concerto del gruppo preferito, glielo si perdona, perché in fondo sta parlando di noi. Needs, del resto, sa bene il suo mestiere: fa parlare spesso Keith Richards in prima persona, ma non si dimentica di annotare che non si tratta di ricordi, ma di citazioni prese dalla stampa. Tutto sommato, anche il buon vecchio trucco editoriale di allineare in copertina senza interpunzioni nome dell'autore, nome del soggetto e titolo (Kris Needs, a capo, Keith Richards, a capo, Before They Make Me Run: Richards è coautore o no?) non disturba più di tanto: la differenza tra una biografia giornalistica costellata da racconti in prima persona estratti dalla stampa e un'autobiografia raccolta da un giornalista, in casi come questo, è più di natura formale che sostanziale.
L'edizione italiana è discreta. Buona la traduzione: anche se non manca qualche durezza sintattica, ci vengono risparmiati per fortuna gli svarioni terminologici che affliggono una percentuale insopportabile di libri sulla musica tradotti dall'inglese. Certo, Richards e il suo biografo non indulgono in dettagli tecnici, e questo è un bene: nell'album Stripped, Keith Richards inizia Love in vain, sbaglia l'arpeggio, si ferma, e poi biascica (con la sigaretta in bocca, probabilmente): "I missed the right archipelagio". Ma Tommaso Iannini, il traduttore, si destreggia bene con quella parte del lessico musicale (più che altro, il gergo del blues e del rock) che l'autore della biografia con moderazione impiega. Inspiegabili, invece, i refusi e la grande quantità di paragrafi spezzati da a capo non dovuti: a cosa si deve una redazione così frettolosa?
Aspettiamo, comunque, i prossimi capitoli della saga. Forse perché la carriera dei Rolling Stones non è ancora conclusa, manca nel loro caso un'analisi musicologica approfondita, come quella che invece ha scritto Walter Everett sui Beatles, in due magnifici volumi (The Beatles As Musicians, Oxford University Press, 2001), e che nessun editore italiano c'è da scommettere si affretterà o attarderà a tradurre. Ma chissà.
Franco Fabbri
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