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Vincitore nel 2018 del Prix Maison de la Presse, presieduto da Michel Bussi, con la seguente motivazione: “un romanzo sensibile, un libro che vi porta dalle lacrime alle risate con personaggi divertenti e commoventi”.
«Per chi ama l'originalità e l'ironia intelligente della comédie française, sarà un piacere leggere "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin» - Venerdì di Repubblica
«Una storia che con toni lievi preme sul cuore, Violette è una protagonista che fa bene e non somiglia a nessun'altra» - la Stampa
«Un libro sull'amore silenzioso. Un romanzo che vorresti non finisse mai» - Luciana Littizzetto
«Un romanzo avvincente, commovente e ironico la cui lezione universale è la bellezza della semplicità e l’eterna giovinezza in cui ci mantiene il sogno»
Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una vita piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale. Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime, che parevano nere, si rivelano luminose. Attraverso incontri, racconti, flashback, diari e corrispondenze, la storia personale di Violette si intreccia con mille altre storie personali in un caleidoscopio di esistenze che vanno dal drammatico al comico, dall’ordinario all’eccentrico, dal grigio a tutti i colori dell’arcobaleno. La vita di Violette non è certo stata una passeggiata, è stata anzi un percorso irto di difficoltà e contrassegnato da tragedie, eppure nel suo modo di approcciare le cose quel che prevale sempre è l’ottimismo e la meraviglia che si prova guardando un fiore o una semplice goccia di rugiada su un filo d’erba.
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una storia sorprendente che prende le mosse da un piccolo cimitero francese. Bellissimo.
Scrivere qualche parola riguardo questo libro senza che gli occhi non si velino di lacrime è un’impresa titanica. La trama presenta non accenna neanche alla potenza di questo libro e cela il 99% degli eventi, per cui diventa abbastanza difficile raccontare la grandezza di questo testo. Posso però dire che si tratta di una lettura che esorcizza il dolore del lettore, qualunque esso sia, e che connette con i valori della vita. Lo consiglio soprattutto a chi sta attraversando un periodo difficile, di convivenza con il dolore, perché questo libro è davvero un balsamo. La delicatezza delle parole accompagna il lettore e la protagonista verso le tortuosità della vita senza indorare la pillola, con la schiettezza di chi sa che si tratterà di un cammino tortuoso ma che ti fornisce scarpe giuste per affrontarlo. La penna di Valérie Perrin racconta una storia che pone il lettore dinanzi all’amarezza della vita, all’imprevedibilità degli eventi che, come spesso avviene nella realtà, non concorrono alla formazione di un eroe, non concludono un ciclo che può essere ammirato con soddisfazione alla fine di un racconto: le cose accadano senza che ci sia un disegno, colpiscono chi non lo meriterebbe, chi è già stato condannato dalla vita. Questo libro è libero dai cliché e dai trope narrativi, i personaggi sono tridimensionali, sfaccettati nel bene e nel male, spezzati dalla vita, pieni di cicatrici. Non c’è nulla di assoluto: il bene e il male, il buono e il cattivo, l’amore, il sesso, la morte. Eppure, un barlume di speranza c’è. Profondamente consigliato.
La scrittura di Perrin è delicata e poetica, capace di tratteggiare con finezza le emozioni dei suoi personaggi. La prosa è arricchita da descrizioni dettagliate, che danno vita ai paesaggi e agli interni, riflettendo lo stato d'animo dei protagonisti. Il ritmo narrativo è lento, meditativo, ma questo si adatta perfettamente all'atmosfera riflessiva del romanzo. Uno degli aspetti più affascinanti di "Cambiare l'acqua ai fiori" è la sua capacità di trattare temi difficili come il lutto, l'amore, la perdita e la rinascita con una sensibilità rara. L'autrice riesce a trovare bellezza e speranza anche nelle situazioni più buie, senza mai cadere nel sentimentalismo. Il romanzo è anche un omaggio alla vita di provincia, con i suoi ritmi lenti e i suoi personaggi secondari indimenticabili, che arricchiscono la trama con le loro storie e i loro piccoli drammi quotidiani. C'è un'attenzione particolare ai dettagli che rende ogni scena vivida e credibile, un invito a fermarsi e ad apprezzare le piccole cose. È una lettura che lascia il segno, invitando il lettore a riflettere sul valore delle relazioni umane e sulla capacità di resistere e ricostruirsi dopo le avversità.
Recensioni
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La casa dove vive Violette è profumata. Sa di candele, tè, saponi, altre candele e altri romanzi. La casa di Violette si trova al limitare di un cimitero di cui Violette è guardiana. E no, questa storia non parla solo di morte, di donne che si strappano capelli sulla tomba e di una triste guardiana che passa la sua vita col capo chino sui fiori; è malinconico, sì, c’è da ammetterlo, ma tra le pagine si scorge una luce inaspettata. Si intravedono germogli che, crescendo tra le crepe di un terreno che si credeva arido, danno vita a un romanzo infinitamente toccante. Mai forzato. Mai ripetitivo. Con grande delicatezza Valérie Perrin, in questa pubblicazione per l’editore E/O, costruisce magistralmente un coro di voci tra cui risalta quella di Violette.
Ho cominciato malissimo. Sono nata con un parto in anonimato nelle Ardenne. Il giorno in cui sono venuta al mondo non ho pianto, così mi hanno appoggiato in un angolo come un pacco da 2,670 kg senza francobollo. Nata morta. Bambina senza vita e senza cognome. L’ostetrica doveva trovarmi in fretta un nome da scrivere sul modulo, e ha scelto Violette.
Scaldata dal tepore di un termosifone, Violette riprende vita e cresce. Passa un’infanzia in silenzio, convinta che meno darà fastidio, più possibilità avrà di non essere lasciata dall’ennesima famiglia affidataria. Cresce con la consistenza di un fantasma invisibile, finché un giorno i suoi occhi non si posano su Philippe. Bello da togliere il fiato. Avido di avere su di sé gli sguardi truccati delle donne. Ma questa volta è diverso. Questa volta anche Philippe ricambia lo sguardo. Perché lui, Violette, la desidera.
La mia ombra era sempre in quella di Philippe. Mi risucchiava, mi beveva, mi avviluppava, era di una sensualità pazzesca. Mi si squagliava in bocca come caramello, come zucchero filato. Ero perennemente in festa. Se ripenso a quel periodo mi vedo come al luna park.
Ma questa non è solo la storia del matrimonio infelice di Violette e Philippe. È la storia di Célia, la prima amica che Violette abbia mai avuto. È la storia di Luc e Françoise, la giovane zia dalla gonna troppo corta. È la storia di Sasha, guardiano e guaritore, il primo che riesce a far ridere una madre cui viene strappata la figlia. Ed è anche la storia di Julian, un poliziotto che da Marsiglia arriva alle porte del cimitero in cerca di risposte. Sarà che è un poliziotto, e un poliziotto deve portare dietro di sé una scia di misteri da risolvere, ma da quando compare nel romanzo, le pagine si popolano di domande. Le vite di tutti si intrecciano, si scontrano, si separano, facendo emergere urgenze fino ad allora sconosciute. Urgenze che il lettore beve, ubriacandosi, fino all’ultima pagina.
Chiudo il diario di Irène col cuore pesante, come si chiude un romanzo di cui ci si è innamorati, un romanzo amico da cui ci si separa a fatica, che vogliamo tenere accanto a noi, a portata di mano. […] Quando tornerò a casa lo metterò tra i libri che tengo preziosamente sulle mensole di camera mia.
Con calma, dunque, gustatevi ogni parola che – calibrata, affilata, precisa – dipinge un quadro popolato di personaggi vividi e reali. Una cartolina di uno squisito borgo francese.
Recensione di Federica Martina Iarrera
Principale, ma non unica voce narrante di questo insolito e commovente romanzo di Valérie Perrin – moglie del regista Claude Lelouch – alla sua seconda prova letteraria, è Violette Toussaint, abbandonata in fasce da una madre che non ha mai conosciuto. Un’infanzia passata migrando da una famiglia affidataria all’altra, Violette, non ancora diciottenne, ha trovato lavoro come barista. Sera dopo sera, serve colui che diventerà il suo futuro marito, il bellissimo e fatuo Philippe, finché costui, benché attorniato da una miriade di ammiratrici alle quali pare incapace di resistere, non si accorgerà di lei. Travolti da una passione struggente, andranno a vivere insieme nella monocamera che Philippe, unico figlio di una coppia benestante di dirigenti delle poste, ha ricevuto in dono dai genitori. Genitori che mai accetteranno la sua unione con Violette, considerandola una poco di buono, inadeguata al loro adorato e splendido Philippe. E non cambieranno idea neppure quando lei resterà incinta dando poi alla luce una bambina: Léonine.
Con la nascita della piccola, Philippe, che non ha mai combinato alcunché nella vita, accetterà di diventare casellante presso la stazioncina ferroviaria di Malgrange-sur-Nancy e si trasferirà lì con Violette. Ma sarà lei, alla fine, a occuparsi di tutto: figlia, casa, passaggio a livello. Perché Philippe, in testa, ha solo la sua motocicletta, i videogiochi e le donne, tutte le donne possibili.
Eppure, sebbene delusa nel suo sogno di amore e futuro, Violette non si arrende. Si prende cura di sua figlia con profondo amore e devozione, impara di nuovo a leggere e nonostante la presenza/assenza di Philippe, trova una sua dimensione di serenità e appagamento nella vita faticosa e monotona di casellante. Questo finché un evento terribile non sconvolgerà l’esistenza non solo di Violette, ma di molti altri comprimari della vicenda. Philippe e Violette lasceranno la stazione ferroviaria e diventeranno i guardiani del cimitero di Brancion-en-Chalon.
In realtà è da qui che il racconto ha inizio con una serie ininterrotta di flashback e digressioni che, come i rami di un albero frondoso, arricchiscono la storia principale narrata da Violette in prima persona, con le voci di Célia, Iréne Fayolle, Sasha, Luc e Françoise Pelletier e dello stesso Philippe che rivelerà, pagina dopo pagina, una natura ben diversa da quella iniziale. Ciascun personaggio, con le sue memorie di dolori, passioni, momenti di pura felicità e indicibile disperazione, racconterà in terza persona, nelle parole di Violette o attraverso un diario la propria vita.
E se di primo acchito un cimitero può sembrare un luogo improponibile dove ambientare un romanzo, la Perrin riesce con rara maestria a renderlo addirittura gradevole e di sicuro interessante e speciale. Proprio qui e grazie a Sasha, il precedente guardiano, Violette imparerà di nuovo a vivere, a prendersi cura di un orto, dei fiori, delle tombe abbandonate e a trasformare la propria casa in un luogo di pace e accoglienza per i parenti dei defunti e i tanti animali abbandonati dei dintorni. Accompagnata per tutto il racconto dal libro di John Irving ‘Le regole della Casa del sidro’, Violette tornerà a innamorarsi, a ritrovare la speranza e a vedere un futuro proprio in un luogo, il cimitero di Brancion-en-Chalon, dove il futuro ha fine per tanti.
Cambiare l’acqua ai fiori è un romanzo, ma presenta, come si accorgerà chi vorrà leggerlo, anche un risvolto giallo la cui soluzione ci aspetta solo alla fine, inattesa e terribile come solo la vita vera talvolta riesce a essere.
La Perrin scrive e descrive ogni accadimento con garbo e senza compiacersi né del bene né del male che i suoi personaggi compiono, creando figure piene, dense e indimenticabili e raccontandoci quante diverse facce possa mostrare l’amore e come la vita stessa e pure la morte riservino infinite sorprese a chi abbia voglia di ascoltare e capire.
Come definirei Cambiare l’acqua ai fiori con una frase se mi chiedessero di farlo? Difficile per me che sono una chiacchierona e anche un po’ ciceroniana… ma direi ‘un libro non per tutti, ma per intenditori…non un vino beverino, ma apprezzabile solo da un palato capace di notare ogni singola nota di gusto’.
Non è la trama la vera protagonista del libro, non il suo contenuto. O meglio, non è il significato delle parole da solo che comunica il vero messaggio del libro, ma la sua intera struttura. Un volume di tutto rispetto sarebbe riassumibile in poche righe, il che potrebbe essere interpretato come se fosse un libro noioso, la cui lettura risulta talvolta poco avvincente. Non è così. Semplicemente la trama è oltre le pagine: un romanzo ‘multilevel’. Ad un lettore superficiale è la storia della protagonista, Violette, ragazza sfortunata fin dall’infanzia , che ora vive da anni CONFINATA come custode in cimitero, o per meglio dire SEPOLTA, in un luogo in cui è circondata da morti e con i vestiti che ama sepolti sotto abiti da lutto. Ma, al piano ‘interrato’, protagonisti altrettanto importanti sono i defunti con le loro vicende, con le loro vite ossimoricamente sepolte in vita e svelate dopo la morte, quasi questa fosse un evento salvifico. E poi si può salire all’attico, dove il protagonista è il lettore che girovaga di capitolo in capitolo, come fanno le donne anziane- e anche Violette- di tomba in tomba al cimitero, andando a “‘cambiare l’acqua ai fiori”. Così ogni capitolo, come ogni tomba, è introdotto da una sorta di epitaffio e la lettura procede in maniera indolente e incessante, con la percezione di trascinarsi, dall’uno all’altro, dominati da una forza superiore: il piacere dello stile di scrittura e il quasi incontrollabile desiderio del ‘nocciolo’ della trama, così come nella vita di ognuno prevale lo spirito di sopravvivenza. Nonostante, infatti, la trama a tratti sembri cullarci nella rassegnazione che il fulcro del racconto e il messaggio dell’autrice non arrivino mai noi continuiamo nella lettura, così come Violette, anche dopo tutto ciò che ha sofferto, continua a lavorare e alzarsi ogni mattina, e come i defunti si sono arresi a una vita, non desiderata, fino al momento della loro morte. Un lungo trascinarsi nella rassegnazione, in cui noi lettori e Violette siamo più morti dei morti, in cui tutti i vivi a volte lo sono. Ma questa sensazione che condividiamo con Violette è solo frutto della lettura o ci appartiene a tratti nel nostro quotidiano? Questo si chiede continuamente il lettore. Passo anche io i miei giorni come mero custode della vita e della morte degli altri e dei loro segreti e sentimenti?
Ma i cambiamenti avvengono. E sono repentini, rapidi, improvvisi e non necessitano di tante tante pagine per essere raccontati. Bastano poche pagine, dense. Perché quando incombe un cambiamento non si ha tempo per leggere e scrivere, si deve vivere. E allora in poche pagine sparse qua e là e predominanti nella parte finale il ritmo della narrazione cambia. Questo ritmo travolge Violette con una nuova chance per resuscitare dal proprio stato di ‘non morta’ e travolge il lettore che, per interi capitoli, è stato pervaso dal dolore e dalla rassegnazione di Violette e dalla sensazione che spesso, nella propria vita, ci si limita a un susseguirsi di eventi incessanti senza scegliere. E finalmente afferra il fulcro della trama: c’è una chance di felicità per ognuno e chi non ha il coraggio di afferrarla, come i defunti di cui si narra nel libro, sarà più morto in vita che nella morte: la troverà solo quando sarà libero da costrizioni, retaggi culturali e aspettative altrui.
Dopo il nostro pellegrinaggio di ‘tomba’ in ‘tomba’, noi lettori abbiamo voglia di gettare i vestiti da lutto e mostrare gli abiti colorati sottostanti perché scegliamo di vivere, proprio come Violette.
Questo libro è un’opera d’arte, non solo per la bellezza del soggetto che ritrae, ma soprattutto per la poliedricità della pennellata.
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