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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
Un romanzo geniale e irresistibile sul mondo dell'arte, raccontanto con uno stile intriso di ironia e acume. Pungente, capriccioso, raffinato, imprevedibile: Quanto blu ci mostra la migliore scrittura di Percival Everett e l'irrinunciabile celebrazione di un romanzo perfetto.
«Uno dei romanzi più eclettici e originali mai scritti in America» – Harper's Magazine
«Un romanzo in cui vale la pena tuffarsi» – Los Angeles Times
«Ogni singola pagina esprime l'urgenza di continuare, questo romanzo è un capolavoro» – The Boston Globe
La parola "peccato" non aveva mai significato così tanto e forse così poco come allora, quando uscì dalle sue labbra.»
Kevin Pace è un artista e lavora da tempo a un dipinto che non lascia vedere a nessuno: non ai figli, non al migliore amico Richard e neppure a sua moglie Linda. Questa enorme tela di quattro metri per sette, interamente ricoperta da strati di vernice blu di diverse sfumature, potrebbe essere infine il suo capolavoro. Kevin non sa ancora dirlo o, meglio, non gli interessa, perso com'è nel suo passato di cui questo quadro sembra essere una sintesi, un'enigmatica e incomprensibile rappresentazione. Perché Kevin custodisce un segreto: dieci anni fa, a Parigi, ha avuto una relazione con una giovane pittrice e, seppur oggi non riesca a spiegarsi cosa lo mosse allora, il fantasma della ragazza e le bugie raccontate per anni non smettono di assediarlo. Mentre combatte con i demoni della sua memoria, Kevin deve difendere i sacrifici fatti in nome dell'arte e proteggere la sua famiglia da ciò che non hai mai avuto il coraggio di rivelare: il suo quadro, che racchiude un'indicibile verità, potrebbe essere la sua salvezza, o la sua condanna definitiva.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho trovato godibile gli spazi temporali narrati ci troviamo tre storie in una su binari paralleli nell’ vita di un uomo questo protagonista tormentato che non è riuscito però ad entusiasmarmi. Il libro è scritto molto bene ma nel leggerlo ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una trama troppo costruita poco empatica anche il finale rispecchia questa mia impressione
un pittore di mezza età si trova a fare i conti con le avventure della giovinezza e la vita matrimoniale presente. I capitoli su susseguono in un accavallarsi spazio temporale in quanto ambientati in tre momenti ben diversi della vita dell’uomo. Non entusiasmante, ma nemmeno da scartare. Originale magari nella costruzione, ma sicuramente non nella trama
Libro molto raffinato ed elegante. Forse un po' troppo compiaciuto ed autoreferenziale, per questo a mio avviso non merita 5 stelline, ma stiamo parlando in ogni caso di alta letteratura
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Scrittore eclettico e geniale, Percival Everett ha all’attivo oltre venti libri tra romanzi, raccolte di racconti e poesie, saggi grazie ai quali ha ottenuto presitigiosi riconoscimenti come l’Academy Award in Literature, lo Hurston / Wright Legacy Award, lo Usa Pen Literary Award e, in Italia, il Premio Gregor von Rezzori. Fortemente apprezzato dalla critica, tra i libri pubblicati nel nostro Paese con la casa editrice Nutrimenti ricordiamo: Glifo (2007), La cura dell’acqua (2008), Ferito (2009), Deserto americano (2009), Non sono Sidney Poitier (2010), Il paese di Dio (2011), Sospetto (2013), Percival Everett di Virgil Russell (2014), In un palmo d’acqua (2016). Torna nelle nostre librerie con il romanzo Quanto blu (315 pagine, 20 euro), pubblicato dalla Nave di Teseo nella traduzione di Massimo Bocchiola.
Everett dimostra ancora una volta di essere uno dei più grandi scrittori con un romanzo, considerato perfetto, sul potere dell’arte e uno stile originale e raffinato. Il protagonista è Kevin Pace, un artista che lavora da tempo a un dipinto che non lascia vedere a nessuno, protetto da lucchetti e finestre sigillate: non ai figli, non al migliore amico Richard e neppure a sua moglie Linda. Nell’enorme tela di quattro metri per sette, interamente ricoperta di strati di vernice blu di diverse sfumature, c’è la raffigurazione astratta di tutta la sua esistenza, del suo passato e dei segreti inconfessabili.
La sinossi presenta tre piani narrativi e temporali, opportunamente intrecciati e alternati tra loro: 1979 racconta di un viaggio fatto da Kevin trent’anni prima in El Salvador con il migliore amico Richard per trovare il fratello di quest’ultimo; Parigi narra di un altro viaggio nella capitale francese, durante il quale inizia una relazione con una giovane pittrice; Casa descrive il presente, la famiglia e il lavoro. Ogni piano temporale, però, custodisce un segreto diverso: tutti approdano sul quadro che racchiude un’indicibile verità e rappresenta, allo stesso tempo, la salvezza e la condanna definitiva.
Fin dalle prime righe è palpabile la tensione narrativa che tiene incollati fino all’ultima pagina e dà la dimensione della bravura dello scrittore nel creare il senso d’attesa e nel coinvolgere con una trama che mantiene in sospeso il lettore.
È una storia di fantasmi del passato che ritornano e ossessionano. «Ogni uomo è in potere dei suoi fantasmi fino al rintoccare dell’ora in cui la sua umanità di desta», scriveva William Blake e nessuna frase è più appropriata per descrivere la lotta che Kevin porta avanti contro i mostri che abitano la sua testa e le difficoltà dell’esistere che si trasformano in spettri che turbano i suoi sonni fino a spingerlo verso una dipendenza non solo dall’alcool, ma anche dal suo quadro segreto.
Se è vero che l’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività che porta a forme di creatività e di espressione estetica, è altrettanto vero che ogni pittore ha una propria dimensione artistica con la quale trasmette emozioni e messaggi. Il protagonista di Quanto blu usa l’arte per guardarsi l’anima, per liberarsi da quei fantasmi che si affastellano nella sua mente e per scuotere dall’esistenza la polvere che si è accumulata nel corso degli anni e che si è stratificata, segreto su segreto. Inconsapevole forse di come tali segreti abbiano influenzato la sua visione, il quadro non è altro che il disperato tentativo di razionalizzare le emozioni che vengono dal passato e si ripercuotono sul presente. Ogni pennellata dai toni blu è intinta nella sua anima: è da lì che nascono i colori.
«Tutti i colori hanno un senso», pensa Kevin. Nella cosiddetta psicologia dei colori ogni tonalità ha un significato universale e obiettivo; ogni tinta è un mezzo per influenzare l’anima. Nei momenti più complicati o cruciali, a Parigi o in Salvador, è ai colori che pensa il nostro protagonista perché l’interiorità e l’arte si influenzano a vicenda. Un’influenza che si esprime attraverso le diverse tonalità che sembrano possedere una vera e propria dimensione spirituale. Kandinskij, per esempio, sosteneva che l’armonia dei colori è fondata sul principio della necessità interiore, ovvero sul contatto con il proprio io. Ciò vuol dire che ogni colore produce un effetto particolare sulla nostra psiche. «Decisi – si legge nel romanzo di Everett – che se quel sentimento fosse stato un colore sarebbe stato il filamento arancione di uno zafferano appena diluito», con tale tonalità Kevin descrive l’amore clandestino e intenso vissuto a Parigi con la giovanissima Victoire. In El Salvador sono le tonalità del blu a tratteggiare il dolore che ha conosciuto laggiù, dal blu cobalto al blu manganese molto chiaro fino al blu- nerastro, a ciascuna gradazione corrisponde una diversa intensità di dolore. Altre volte, invece, la sensazione è che tutto il colore abbia abbandonato il mondo. Nel tentativo disperato di razionalizzare o affrontare tali spettri del passato, il nostro protagonista tenta di distruggere il quadro segreto, celando forse il tentativo di colpire se stesso e l’impossibilità di controllare la vita.
I fantasmi si materializzano nel presente e il quadro non diventa altro che il “luogo” dove mettere i pezzi di tale materializzazione. Sulla tela il blu acquista un significato importante, essenziale: è «il colore della fedeltà, della lealtà, l’argomento di filosofi, il nome di una forma musicale» verso cui Kevin ha sempre avuto un’avversione, un’ostilità dietro cui si nascondono la paura, gli errori e il bisogno di ritrovare se stesso. Una tela astratta schizzata di colpa e di colore, raschiata con la vergogna non meno che col coltello e la spatola: nel suo astrattismo c’è il distacco dalla realtà, l’allontanamento da ciò che è visibile per avvicinarsi all’invisibile, a ciò che è taciuto e nascosto. Capire chi si è, ma soprattutto cosa si è stati: è questo il vero scopo del nostro artista. Uno scopo o una verità che si mostrano al lettore poco alla volta.
Nel corso delle trecento pagine il libro di Everett ruota intorno a fatti indicibili e inconfessati che fanno venire in mente una citazione di Zafòn, «Un segreto conta quanto coloro da cui dobbiamo proteggerlo». In questo caso, spetta al lettore capire se il protagonista stia tentando di proteggerlo dalla propria famiglia o da se stesso. La trama è perfettamente attenta a stuzzicare la curiosità di chi legge e assecondare un effetto tematico e temporale di suspense. Forse Everett scivola sullo stereotipo della ricerca della felicità e del lieto fine, ma gli effetti eclatanti d’intreccio fanno da contraltare. Finito il romanzo, viene da pensare che se l’arte può cambiare un solo uomo, è in grado di cambiare l’umanità intera.
Recensione di Arcangela Saverino
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